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Giurisprudenza

Ammissibile l’appello elettronico,
anche con primo ricorso cartaceo

Agli albori della vigenza del Ptt, le modalità telematiche di notifica potevano essere applicate ai singoli atti compiuti a decorrere dal 15 aprile 2017, anche se il processo era iniziato prima

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Una volta attivata la sperimentazione del processo tributario telematico nella realtà territoriale di riferimento, la notificazione a mezzo posta elettronica certificata dell’atto di appello doveva ritenersi rituale anche laddove il precedente grado di giudizio fosse stato introdotto in modalità cartacea.
Così ha concluso la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 25713 dello scorso 11 ottobre che, nel caso concreto, ha fatto implicita applicazione della medesima regula iuris positivizzata dal decreto legge n. 119/2018 con norma di interpretazione autentica.

La vicenda processuale
Un contribuente impugnava vittoriosamente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma il sollecito di pagamento emesso a seguito dell’omesso versamento delle somme recate da alcune cartelle per vari anni d’imposta.
L’appello dell’Agenzia delle entrate, notificato il 19 luglio 2017 a mezzo di posta elettronica certificata, veniva dichiarato inammissibile dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con sentenza n. 3014/16/2018, del 9 maggio 2018.
Il Collegio fiscale osservava che, essendo stato il ricorso di prime cure notificato prima dell’entrata in vigore del processo tributario telematico (Ptt), la notifica telematica dell’appello doveva considerarsi inesistente, in quanto difforme dal modello legale: ciò perché, secondo il consesso capitolino, l’articolo 2, comma 3, del decreto ministeriale n. 163/2013 prevedeva che dovessero utilizzarsi in primo grado e in appello le stesse modalità di notifica.

Avverso la richiamata sentenza, la parte pubblica presentava ricorso in sede di legittimità, affidato a tre motivi con i quali, per brevità, denunciava violazione e/o falsa applicazione della disciplina in tema di notificazione telematica degli atti del processo tributario di merito (in particolare, articoli 16-bis e 49 del Dlgs n. 546/1992 e il Dm n. 163/2013; il decreto del direttore generale delle Finanze 4 agosto 2015 e i decreti ministeriali 30 giugno 2016 e 15 dicembre 2016), sostenendo che, ratione temporis, dette norme, in realtà, legittimavano la notificazione a mezzo pec dell’atto di gravame.

La pronuncia della Corte
Il supremo Collegio ha accolto i riferiti motivi, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla medesima Commissione tributaria del Lazio, in diversa composizione, per l’eventuale prosieguo del contenzioso.
In particolare, ricordano i giudici di legittimità, la possibilità di procedere alla notificazione degli atti del contenzioso tributario tramite pec è stata prevista in via sperimentale, dapprima (a decorrere dal 1° dicembre 2015) soltanto presso le Commissioni tributarie di due regioni, e successivamente, in via graduale, su tutto il territorio nazionale (nel Lazio, per quanto d’interesse, a partire dal 15 aprile 2017).
Ciò comporta che, in coerenza con il principio tempus regit actum, le modalità telematiche di notifica “trovano applicazione ai singoli atti compiuti a decorrere dal 15 aprile 2017, anche se il processo è iniziato prima di tale data”: di conseguenza, l’appello dell’ufficio proposto a mezzo pec il 19 luglio 2017 doveva ritenersi ritualmente notificato appunto perché in quel momento nel Lazio il Ptt era già attivo.

Né, prosegue ancora l’ordinanza in rassegna, a smentire tale conclusione potrebbe invocarsi la norma, richiamata nella sentenza impugnata, di cui all’articolo 2, comma 3, del Dm n. 163/2013 in base alla quale “La parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche di cui al presente regolamento è tenuta ad utilizzare le medesime modalità per l’intero grado del giudizio nonché per l’appello…”.
Tale disposizione, conclude la Corte, non va interpretata nel senso che l’utilizzo della modalità cartacea per la notifica del ricorso preclude l’utilizzo della pec per la notifica dell’appello, ma esclusivamente nel senso che la parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche è vincolata al telematico anche nel grado successivo, “mentre, nella specie, si verte nella diversa ipotesi in cui il ricorso di primo grado è stato notificato secondo le modalità tradizionali e l'appello è stato proposto non dalla parte che ha introdotto il giudizio, ma dalla parte soccombente”.

Osservazioni
Nella prima fase di operatività, in via soltanto facoltativa, degli strumenti del processo tributario telematico, la relativa disciplina era stata interpretata dalla circolare n. 2/Df del dipartimento delle Finanze, nel senso che ciascuna delle parti poteva scegliere di notificare e depositare gli atti processuali con le modalità tradizionali, ovvero con quelle telematiche presso le Commissioni tributarie ove risultavano attivate tali modalità.
In particolare, il citato documento di prassi aveva ritenuto che la parte resistente, indipendentemente dalla scelta operata dal ricorrente, ai sensi dell’articolo 16-bis del Dlgs n. 546/1992, aveva la facoltà di avvalersi delle modalità telematiche di deposito delle controdeduzioni e dei relativi documenti allegati.
Alcuni collegi tributari avevano peraltro espresso l’avviso che detta regola non potesse operare, non solo con riferimento al deposito delle controdeduzioni, ma anche con riguardo alla proposizione dell’appello: nel senso cioè che, laddove il primo grado di giudizio fosse stato introdotto in modalità cartacea, la notifica e il deposito telematico dell’appello avrebbero dovuto essere considerate invalide.

A risolvere la questione è quindi intervenuto l’articolo 16 del Dl n. 119/2018 il quale, con norma di interpretazione autentica, ha sancito che l’articolo 16-bis, comma 3, del Dlgs n. 546/1992, relativamente al periodo in cui il Ptt non era ancora obbligatorio (cioè, dall’inizio della fase sperimentale e fino al 30 giugno 2019) si intende nel senso che le parti possono utilizzare in ogni grado di giudizio le modalità telematiche indipendentemente dalla modalità prescelta da controparte, nonché dall’avvenuto svolgimento del giudizio di primo grado con modalità analogiche.

La pronuncia della suprema Corte va segnalata, dunque, per la circostanza che le conclusioni ivi rassegnate sono del tutto coincidenti con quelle contenute nella citata disposizione di interpretazione autentica che, peraltro, non viene espressamente richiamata dai giudici di piazza Cavour: circostanza questa che, indirettamente, sembra confermare la bontà dell’intervento normativo, avallato anche dal Collegio cui istituzionalmente, ai sensi dell’articolo 65 del Rd n. 12/1941, è attribuito il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

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