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Giurisprudenza

Anche per canoni mai incassati
è dovuta l’imposta ai fini Irpef

I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo di coloro che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale

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I canoni di locazione concorrono alla formazione del reddito imponibile indipendentemente dalla loro effettiva percezione. Lo ha affermato al Cassazione nell’ordinanza n. 31426 del 2 dicembre 2019.
 
I fatti
Con avviso di accertamento ex articolo 41-bis, Dpr n. 600/73, l’ufficio ha rettificato, ai fini Irpef e delle addizionali regionale e comunale 2010, il reddito imponibile di un contribuente che non aveva dichiarato i canoni relativi al contratto di locazione di immobili stipulato il 31 luglio 2009. 
 
Nei gradi di merito, l’uomo si è difeso sostenendo che la pretesa tributaria non era fondata in quanto basata su canoni mai effettivamente corrisposti, né da lui percepiti. Il contratto, infatti, aveva natura assolutamente simulata, essendo stato stipulato con la compagna convivente al fine di sottrarre l’immobile, adibito a residenza familiare, all’esecuzione immobiliare nei suoi confronti.
In particolare, le Commissioni tributarie, aderendo alla linea difensiva dell’Agenza delle entrate: - hanno richiamato il disposto dell’articolo 26, Tuir, secondo il quale i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito indipendentemente dalla loro effettiva percezione, e, inoltre,

  • hanno evidenziato che il contribuente non versava nell’ unica ipotesi di deroga al regime di imponibilità prevista dal citato articolo 26 e cioè, nella fattispecie, non vi era stata mancata percezione dei canoni di locazione di un immobile ad uso diverso da quello abitativo, in presenza di un provvedimento di convalida di sfratto per morosità emesso dalla Autorità giudiziaria (articolo 8, comma 5, legge  n. 431/1988)
  • hanno concluso che l’articolo 8, comma 5, legge n. 431/88 non può costituire oggetto di interpretazione estensiva anche in presenza di un contratto di locazione simulata, con la conseguenza che resta dovuta l’imposta in presenza di redditi non percepiti.

Anche i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del contribuente e hanno affermato che “il negozio simulato ex art. 1414 c.c., non produce effetti tra le parti ma produce effetti nei confronti dei terzi in base all’art. 1415 c.c., secondo cui la simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti ai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione (cfr. Cass. n. 21312/2018)” (Cassazione, n. 31426/2019).
 
Osservazioni
La questione sottoposta ai giudici di piazza Cavour riguarda la valutazione sia della natura simulata del contratto di locazione e della sua opponibilità all’amministrazione finanziaria, sia della concorrenza dei canoni pattuiti a costituire fonte per imposizione fiscale fondiaria.
Sotto il primo profilo, il negozio che si assume simulato, nel caso di specie un contratto di locazione, è opponibile all’Erario, in quanto terzo rispetto alla simulazione (Cassazione, n. 1568/2014), con conseguente applicabilità  dell’articolo 26  Tuir (Cassazione, n. 31426/2019).
 
Con riferimento alla tassabilità dei canoni di locazioni anche se non percepiti, la Corte ha ritenuto che, nella fattispecie esaminata, i giudici di merito abbiano fatto corretta applicazione del principio ex articolo 26 citato, secondo il quale i redditi fondiari “concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale…”.

Il reddito fondiario, cioè reddito inerente al terreno (redditi dominicale e agrario) o al fabbricato  (rendita catastale) ubicati nel territorio dello Stato, che ai fini delle imposte sui redditi concorre alla formazione del reddito complessivo, va sempre correlato alla mera titolarità del diritto reale immobiliare, a prescindere dalla circostanza che l’immobile (terreno o fabbricato) sia stato concesso  in affitto o in locazione e che i relativi canoni non siano stati percepiti.

Sulla base del carattere generale dell’articolo 26 Tuir, che ricollega alla titolarità di un diritto reale sul bene immobile, censito in catasto, redditi presuntivi soggetti a imposizione diretta, indipendentemente dalla loro effettiva percezione,  l’ufficio ha riscontrato una corretta posizione di titolarità fondiaria rispetto alla quale non erano stati dichiarati gli emolumenti derivanti dal contratto stipulato, a prescindere dalla loro effettiva percezione.

Nella fattispecie al suo esame, la Cassazione ha concluso che, ove il reddito fondiario sia costituito dal canone di locazione, non essendo opponibile all’Erario la simulazione del relativo contratto, non rileva il canone effettivamente percepito dal locatore, bensì il suo ammontare contrattualmente previsto per il periodo di imposta di riferimento. Il canone pattuito in luogo della rendita catastale rileva a fin quando risulta in vita il contratto di locazione, in quanto solo a seguito della cessazione del rapporto contrattuale, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione, il reddito è determinato sulla base della rendita catastale.

Negli stessi termini, e cioè nel senso che comunque concorrono alla formazione del reddito fondiario in quanto legati alla titolarità del diritto reale, la Corte si è pronunciata per i canoni non riscossi dal comproprietario dell’immobile in quanto usurpati dall’altro comproprietario: i canoni di locazione immobiliare non percepiti, infatti, sono soggetti a tassazione Irpef per tutti i contitolari dell’immobile, anche nel caso in cui la mancata riscossione da parte di uno dei comproprietari non dipenda dalla morosità del conduttore, ma dalla “usurpazione” del canone da parte dell’altro comproprietario (Cassazione, n. 12332/2019).

E ancora, in caso di scioglimento o risoluzione del contratto di locazione per mutuo consenso,  unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, la Corte ha affermato che gli effetti retroattivi del patto risolutorio non sono opponibili all'Amministrazione finanziaria, non potendo essere pregiudicata la legittima pretesa impositiva “medio tempore” maturata. (Cassazione, n. 348/2019).

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