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Giurisprudenza

Ancora in trappola i proventi illeciti

Davanti ai giudici di legittimità questa volta sono arrivate le “tangenti”

aula cassazione
Tangenti tassabili quali redditi diversi. Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 1058 depositata il 18 gennaio scorso. La Suprema corte ha, quindi, avuto modo di occuparsi di una questione, quella della tassazione dei proventi illeciti, che da tempo registra interventi da parte sia della dottrina che della giurisprudenza.

La vexata quaestio contiene in sé indubbi profili di interesse giuridico ed è al tempo stesso oggetto di notevole interesse mediatico. Emblematico, ad esempio, fu il clamore suscitato dal contenuto della sentenza della Ctr Lombardia che si pronunciò, con esito favorevole per l'Amministrazione finanziaria, sulla tassazione dei proventi da prostituzione (cfr Chiara Ciranda, "Tassabili i proventi da prostituzione", in FISCOoggi del 22/11/2007).

Nello stesso senso, ovvero della riconducibilità alla nozione di reddito di proventi derivanti da attività illecite, si annovera la sentenza 146 dell'8/5/2007 della Ctp di Firenze (cfr Leonardo Innocenti, "Proventi da prostituzione: diversi ma comunque redditi", in FISCOoggi del 28/5/2007).

Il caso
Con distinti ricorsi, un contribuente adiva la Ctp di Roma chiedendo l'annullamento di altrettanti avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti.
In particolare, gli atti impositivi risultavano originati da un'indagine penale nella quale al ricorrente era stato contestato il reato di illecita percezione di somme di denaro ("tangenti") a favore di un partito politico.
L'ufficio impositore aveva imputato tali somme di denaro a reddito del ricorrente, chiedendone la relativa tassazione.

Il contenzioso
Così sinteticamente delineati i contorni della vicenda, iniziava un lungo contenzioso che, in entrambi i giudizi di merito, vedeva soccombente il contribuente.
Degni di menzione, al riguardo, le conclusioni del giudice di appello che, nonostante l'assoluzione penale del ricorrente per i reati contestati, aveva optato per l'assoggettamento a prelievo fiscale dei proventi derivanti da fatti o atti illeciti, sulla base della considerazione che la mera disponibilità di somme di denaro di provenienza illecita risultasse sufficiente a giustificare l'esigibilità del tributo.

La questione, su impulso di parte, veniva rimessa all'esame del giudice di legittimità al quale erano sottoposte numerose questioni che possono essere così sintetizzate:

 

  • erroneità della sentenza per aver legittimato il prelievo fiscale in base alla semplice circostanza che un soggetto ne avesse avuto una temporanea disponibilità
  • errata interpretazione dei fatti descritti nei provvedimenti giurisdizionali relativi ai procedimenti penali nonché irrilevanza degli stessi nel giudizio tributario
  • violazione dell'onere probatorio in quanto l'accertamento era stato, anche, basato su testimonianze di terzi, con la loro conseguente inammissibilità nel giudizio tributario.

La sentenza
La Corte, sciolte le pregiudiziali processuali, ha rigettato l'impugnazione proposta, confermando la fondatezza dell'accertamento emesso dall'ufficio.
In particolare, la sentenza snoda il suo iter argomentativo in ragione di differenti motivazioni giuridiche che si cercherà di esporre.
In primo luogo, il giudice di legittimità si è soffermato sulla rilevanza del giudicato penale nel processo tributario sottolineando che "...l'affermazione (corretta, ai seni dell'art. 654 c.p.p.) che il giudicato penale non fa stato nel giudizio tributario, per diversità di parti e per limitazioni legali alla prova del diritto controverso, non è affatto in contrasto logico con quella di avvenuta utilizzazione dei dati emergenti "da tutti gli atti penali", essendo giustamente premesso in sentenza che è consentito al giudice tributario tener conto delle risultanze del processo penale, con apprezzamento autonomo; il quale proprio perché non vincolato, ma rimesso alla sua prudenza, deve essere più pregnante di quanto sarebbe stato richiesto in ipotesi di efficacia del giudicato penale".

In buona sostanza, per la Cassazione, fermo restando il principio di carattere generale di non contaminazione tra il processo penale e quello tributario, l'utilizzazione delle risultanze del primo in termini di accertamento dei fatti è rimessa al libero apprezzamento del giudice tributario, così come disposto dall'articolo 116 del Cpc.

Altro profilo significativo della sentenza in commento attiene al concetto di "disponibilità di somme" e "possesso di redditi".
Il ricorrente, infatti, aveva basato la sua difesa sul differente significato logico delle espressioni sopra riportate.
In estrema sintesi, dal suo punto di vista, la circostanza che il giudice di appello avesse motivato la tassazione dei proventi in discussione in ragione dell'accertata "disponibilità di somme", non integrerebbe il presupposto impositivo, voluto dall'articolo 1 del Tuir, del "possesso di redditi".

Per la Corte, "...una volta stabilito che il...aveva ricevuto illecite dazioni, essendosi prestato, in esecuzioni di accordi delittuosi cui aveva partecipato, alla percezione ed al successivo riversamento di "tangenti", si deve concludere che l'elemento materiale insito nelle nozioni di possesso, disponibilità o detenzione delle corrispondenti somme di denaro cede, agli effetti fiscali, al confronto col preponderante elemento soggettivo insito nella specifica fattispecie tributaria e costituito dalla volontà di riceversi il provento".

Sotto questo versante, hanno proseguito i giudici, non ha alcun rilievo la distinzione "tra somme ricevute per sé (e trattenute nel proprio esclusivo interesse) ovvero per il versamento ad altri, né fra disponibilità precaria ed effettiva".

L'ultimo punto che, in ragione dell'efficacia delle argomentazioni prospettate, appare significativo segnalare attiene l'inquadramento dei proventi in discussione in una delle categorie reddituali elencate nell'articolo 6 del Tuir.
Per la Cassazione, infatti, "l'avvenuta ricezione, non dipendente da motivi leciti, di somme di denaro da versare ad un partito politico, secondo un accordo preordinato di acquisizione e spartizione (tangenti), costituiva provento illecito classificabile fra i redditi diversi e precisamente tra quelli compresi nella categoria descritta alla lettera 1) dell'art. 81, comma 1, del citato TUIR: redditi derivanti...dall'assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere".

In buona sostanza, per i giudici di legittimità, avendo a riguardo alle modalità del disegno criminoso, nell'ipotesi in discussione può rintracciarsi una obbligazione di fare, intesa in senso astratto, classificabile nella categoria dei redditi diversi.

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