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Giurisprudenza

Le autocertificazioni non entrano nel processo tributario

Modificato l'orientamento secondo cui il contribuente può utilizzare in sua difesa dichiarazioni a lui rese da terzi fuori del giudizio o dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà

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Con sentenza n. 703 depositata il 15 gennaio 2007, la Corte di cassazione ha affermato che la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, così come l'autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo, viceversa, priva di qualsiasi efficacia in sede giurisdizionale, trovando ostacolo invalicabile, nel contenzioso tributario, la previsione dell'articolo 7, comma 4, del Dlgs n. 546/1992 e ciò perché altrimenti si finirebbe per introdurre nel processo tributario - eludendo il divieto di giuramento sancito dalla richiamata disposizione - un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo.

Il processo
Il processo trae origine da un avviso di accertamento sintetico ai sensi dell'articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973, opposto dal contribuente per illegittimità e difetto dei presupposti.
L'adita Commissione provinciale respinse il ricorso, ma la sentenza, appellata del contribuente, fu riformata dalla Commissione regionale, che annullò l'accertamento.
Avverso tale decisione, l'Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973 nonché omessa, erronea e/o insufficiente motivazione in relazione a un punto decisivo della controversia, per quel che qui ci interessa: i giudici di appello hanno ritenuto idonee a contrastare le indicazioni presuntive derivanti dal possesso di due autovetture le risultanze di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, sostanzialmente costituente mera dichiarazione di parte, e non hanno, invece, minimamente preso in considerazione le risultanze, contrastanti con le giustificazioni del contribuente, emergenti dalla dichiarazione di successione ai genitori (che non evidenziava entità patrimoniali tali da consentire sovvenzioni al figlio) e dalle risultanze delle dichiarazioni rese dal contribuente negli anni precedenti a quello oggetto dell'accertamento (dalle quali, in contraddizione con l'evocata disponibilità di risparmi, appariva che, nel 1985, il contribuente aveva percepito un reddito di sole 3.285.000 lire e nessun reddito nel 1986).

La sentenza
I Supremi giudici accolgono il ricorso dell'Amministrazione finanziaria; in particolare, la Corte evidenzia, in ordine alla valutazione dell'efficacia probatoria degli elementi giustificati addotti dal contribuente, che "i giudici di appello risultano affermare - in termini di assoluta apoditticità e, quindi, inadeguati - che il contribuente ha dimostrato, in maniera attendibile e circostanziata, anche mediante la documentazione prodotta nel pregresso grado del giudizio, di aver fatto fronte al mantenimento degli autoveicoli indicati nell'accertamento mediante sovvenzioni dei genitori e pregressi risparmi. D'altro canto, la rilevata inadeguatezza motivazionale della sentenza impugnata non viene meno ove se ne relazioni la motivazione alla narrativa in fatto, posto che, alla luce di tale relazionamento, le produzioni documentali del contribuente considerate dai giudici a quo sembrano esaurirsi in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, cui, in sede giudiziaria, non può attribuirsi alcun valore probatorio. Al riguardo, costituisce, infatti, principio consolidatamente affermato da questa corte che la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, così come l'autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo, viceversa, priva di qualsiasi efficacia in sede giurisdizionale (cfr. Cass. n. 5312/2006, n. 18856/2004, 10981/2001, SS.UU., n. 10153/1998). Si è, peraltro, ulteriormente puntualizzato che, con specifico riguardo al contenzioso tributario, l'attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva di notorietà trova ostacolo invalicabile nella previsione dell'art.7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario - eludendo il divieto di giuramento sancito dalla richiamata disposizione - un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma, anche costituito al di fuori del processo (cfr. Cass., n.7445/2003)".

Brevi note a commento
La sentenza che si annota va a modificare un orientamento dato quasi per acclarato, secondo cui il contribuente può utilizzare in sua difesa - nell'ottica del giusto processo - eventuali dichiarazioni a lui rese da terzi al di fuori del giudizio ovvero dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà.
La norma da cui prende le mosse il ragionamento finora fatto dalla Cassazione può così essere esemplificata: è vero che l'articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992 vieta l'utilizzo, nell'ambito del processo tributario, del giuramento e della prova testimoniale, ma la prova testimoniale richiamata dal citato articolo 7 - e non utilizzabile - è solo quella che si forma in sede processuale, restando possibile la formalizzazione di dichiarazioni verbali rese agli organi operanti, le quali pur non essendo prove immediatamente fruibili hanno valenza indiziaria; di converso, si è consentito al contribuente di contrastare tale forma di testimonianza impropria, utilizzando in sede processuale delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà (Cassazione n. 4269 del 25 marzo 2002).
Resta fermo che le dichiarazioni in questione non possono avere pieno valore probatorio, ma di "elementi", che non possono costituire da soli il fondamento della decisione.

In particolare, con riferimento all'atto notorio, la Corte di cassazione - sentenza n. 5154 del 6 aprile 2001 - ha avuto modo di precisare che "la regola generale - ora espressamente tutelata a livello costituzionale, a seguito della nuova formulazione dell'art.111 della Costituzione introdotta dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 - secondo cui il processo deve svolgersi nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, comporta che le prove devono essere raccolte nell'effettivo contraddittorio delle parti, cioè nel processo e con la partecipazione del giudice; pertanto, non può attribuirsi valore di prova all'atto notorio, precostituito al processo al di fuori di qualsiasi contraddittorio con l'avversario, né tale atto può implicare un'inversione dell'onere della prova, che deve essere espressamente prevista da una norma positiva e non può derivare esclusivamente dalla mera iniziativa di parte".

La Suprema corte non ha tuttavia mancato di precisare che tanto l'atto notorio quanto la dichiarazione sostitutiva del medesimo devono essere considerati documenti rimessi alla libera valutazione del giudice.
La Corte, con questo ultimo intervento, sembra ribaltare adesso tale ragionamento, richiamando fra le altre la sentenza n. 7445 depositata il 14 maggio 2003, la quale però non nega - in assoluto - l'utilizzo degli atti notori, sostenendo il diverso principio, che ai fini della prova (la fattispecie riguardava la prova del carattere rurale di un edificio, ai sensi dell'articolo 39 del Dpr 917/1986) non è sufficiente un atto notorio prodotto dal contribuente poiché tale atto può costituire, come le dichiarazioni extraprocessuali di terzi, un elemento indiziario valutabile dal giudice, ma non può fornire da solo il fondamento della decisione.
Nel caso in esame, di fatto, l'ufficio, però, aveva smentito cartolarmente (attraverso i dati contabili delle dichiarazioni) le autocertificazioni di parte; pertanto, in ogni caso, le stesse non potevano avere valore probatorio.

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