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Giurisprudenza

Autoconsumo combustibile:
esenti solo i prodotti energetici

Al vaglio degli eurogiudici l'interpretazione della direttiva 2003/96 che vuole stabilire un regime di tassazione armonizzato dei prodotti energetici e della elettricità

combustibile

La Corte di giustizia, con la sentenza depositata il 3 dicembre 2020, resa nella causa C-44/2019, ha deciso che, se uno stabilimento che produce prodotti energetici, destinati ad essere utilizzati come combustibile o carburante, (auto)consumi dette energie ma produca anche prodotti non energetici, da cui è tratto un valore economico, per questi ultimi non beneficia di esenzione dall'imposta sui prodotti energetici.

I fatti in causa
Una società petrolifera spagnola operava, tra l’altro, nel settore della produzione di prodotti energetici.
A parte detti prodotti, il processo di raffinazione generava altri prodotti che venivano venduti e utilizzati nell’industria chimica e parzialmente riutilizzati nel processo di produzione.

La vicenda amministrativa
Il fisco spagnolo, dopo un'ispezione, imponeva alla compagine di versare, per alcuni esercizi fiscali, l’accisa sugli oli minerali, per quelli che tale impresa aveva prodotto essa stessa e aveva successivamente utilizzato nei propri impianti a fini produttivi, in quanto tale produzione aveva generato prodotti residui diversi dai prodotti energetici quali, in particolare, zolfo e anidride carbonica.
Secondo l’amministrazione fiscale spagnola, infatti, questi autoconsumi non davano luogo all’esenzione dall’accisa sugli oli minerali, prevista all’articolo 47, paragrafo 1, lettera b), della legge nazionale sulle imposte speciali, per la parte di tali autoconsumi da cui si ottenevano prodotti non aventi la qualità di oli minerali.

La fase processuale in Spagna
Di conseguenza, la società presentava, anzitutto, reclamo avanti al Tribunale amministrativo economico centrale, facendo valere, in particolare, che tali autoconsumi erano esenti dall’accisa sugli oli minerali, anche per la parte di essi da cui si ottenevano prodotti non aventi la qualità di oli minerali.
A seguito del rigetto di tale reclamo, la compagine proponeva, senza successo, un ricorso amministrativo dinanzi alla Corte centrale, rilevando che, nell’ambito del processo di produzione di oli minerali, prodotti non qualificabili come prodotti energetici, come lo zolfo, erano ottenuti in modo residuale e inevitabile.
Indi, la società proponeva ricorso per cassazione dinanzi alla Corte suprema spagnola, opponendo che la prassi dell’amministrazione fiscale spagnola di tassare la parte dell’autoconsumo che aveva generato tali prodotti residui fosse contraria all’obiettivo della direttiva 2003/96.

La questione pregiudiziale
Di conseguenza, la Corte suprema, sospeso il procedimento, ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

  • se l’articolo 21, paragrafo 3, della direttiva 2003/96, del 27 ottobre 2003, debba essere interpretato nel senso che consente di assoggettare ad accisa sugli oli minerali le operazioni di autoconsumo di prodotti energetici, effettuate negli impianti del produttore, in misura proporzionale alla produzione di prodotti non energetici
  • se, al contrario, la finalità di tale disposizione di esentare da accisa l’uso di prodotti energetici ritenuto necessario per la produzione dei prodotti energetici finali osti alla tassazione dello stesso autoconsumo nella parte in cui quest’ultimo porti alla produzione di altri prodotti non energetici, compreso il caso in cui tale produzione sia residuale e costituisca una conseguenza inevitabile del processo produttivo stesso.


Il deliberato della Corte
La Corte di giustizia premette che la direttiva 2003/96 intende stabilire un regime di tassazione armonizzato dei prodotti energetici e dell’elettricità, nell’ambito del quale la tassazione è la regola, conformemente alle modalità fissate dalla direttiva stessa.
Quindi, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, della direttiva 2003/96, il consumo di prodotti energetici all’interno di uno stabilimento che produce prodotti energetici non è considerato un fatto generatore d’imposta se il consumo riguarda prodotti energetici fabbricati all’interno dello stabilimento. Tuttavia, quando il consumo di prodotti energetici è destinato a fini che non sono connessi alla produzione di prodotti energetici, esso è considerato un fatto generatore che comporta l’imposizione.

Una produzione "promiscua"
Tuttavia, rilevano i togati di Lussemburgo, il dettato della norma richiamata non indica esplicitamente in che misura il consumo di prodotti energetici effettuato ai fini di un processo di produzione nell’ambito del quale si ottengono simultaneamente sia prodotti energetici, sia prodotti non energetici, debba essere considerato, oppure no, un fatto generatore d’imposta sui prodotti energetici.
In questo senso, precisa la Corte, da un lato, il consumo di prodotti energetici all’interno dello stabilimento in cui sono stati fabbricati rientra nell’eccezione riguardante il fatto generatore d’imposta, in forza dell’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, di detta direttiva, soltanto laddove esso venga effettuato ai fini della fabbricazione di prodotti energetici che siano a loro volta sottoposti al regime di tassazione armonizzato istituito dalla direttiva 2003/96, per il fatto di essere utilizzati come carburante o combustibile.
Nel caso di specie, non sembra contestato che i prodotti energetici ottenuti, nel procedimento principale, sono destinati a essere utilizzati come carburante o come combustibile ma risulta che i prodotti non energetici ottenuti nel procedimento principale sono recuperati dalla compagine attraverso la loro commercializzazione o il loro reimpiego nel processo di produzione.
Ebbene, ha chiarito la giurisprudenza europea, solo il consumo della parte di prodotti energetici che mira a produrre prodotti energetici destinati a essere utilizzati come carburante o combustibile rientra nell’eccezione al fatto generatore d’imposta, prevista all’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, di detta direttiva.
Diversamente, non può beneficiare di una siffatta eccezione il consumo delle parti di tali prodotti energetici che si effettua ai fini della fabbricazione di prodotti non energetici o di prodotti energetici che non sono destinati a essere utilizzati come carburante o combustibile.
Quindi - inferisce la Corte - quando, nel corso di un processo di produzione, si ottengano sia, da un lato, prodotti energetici destinati a essere utilizzati come carburante o come combustibile, sia, dall’altro, prodotti non energetici, si deve ritenere, in linea di principio, che la parte dei prodotti energetici consumati nell’ambito di tale processo per produrre altri prodotti energetici destinati a essere utilizzati come carburante o combustibile rientri nell’eccezione prevista all’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, della direttiva 2003/96, mentre il consumo dell’altra parte, ai fini della produzione di prodotti non energetici, dev’essere considerato come fatto generatore dell’imposta sui prodotti energetici.

Il caso di specie
Ciò premesso, proseguono gli eurogiudici, occorre esaminare se ciò valga anche quando, come nel caso di specie, l’ottenimento di prodotti non energetici costituisca non già l’obiettivo del processo di produzione, bensì una conseguenza residuale e inevitabile di tale processo o quando sia imposto da una normativa volta a proteggere l’ambiente e tali prodotti non energetici siano economicamente recuperati.
Il procedimento principale, infatti, non riguarda un autoconsumo che, attraverso la produzione di un prodotto intermedio, serve alla fabbricazione di prodotti energetici ma riguarda un autoconsumo che conduce contemporaneamente alla produzione di prodotti energetici e alla produzione di prodotti non energetici, che vengono economicamente recuperati.
La società petrolifera, infatti, tenuto conto del valore economico di tale recupero, ha scelto di commercializzare successivamente tali prodotti non energetici o di utilizzarli nel processo di produzione. In tale contesto, poco importa che l’ottenimento di prodotti non energetici sia residuale e inevitabile, nel senso che esso costituisce la conseguenza necessaria del processo di fabbricazione o che sia imposto da una normativa volta a proteggere l’ambiente.
Inoltre - riscontra, poi, la Corte - un’interpretazione secondo cui, qualora sia tratto un valore economico dai prodotti non energetici così generatisi, l’intero consumo dei prodotti energetici nel processo di produzione ricadrebbe nell’eccezione al fatto generatore d’imposta, sarebbe idonea a pregiudicare la realizzazione della finalità della direttiva 2003/96.
In definitiva, ritenere che l’eccezione prevista all’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, di detta direttiva trovi applicazione, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, al consumo dell’integralità dei prodotti energetici potrebbe pregiudicare il buon funzionamento del mercato interno nel settore dell’energia, che è una delle finalità perseguite mediante l’istituzione di tale regime.

Conclusioni
L’articolo 21, paragrafo 3, prima frase, della direttiva 2003/96, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, deve essere interpretato nel senso che, qualora uno stabilimento che produce prodotti energetici destinati a essere utilizzati come combustibile o carburante consumi prodotti energetici che ha esso stesso prodotto e, con tale processo, ottenga altresì, inevitabilmente, prodotti non energetici da cui è tratto un valore economico, la parte del consumo dalla quale si ottengono tali prodotti non energetici non rientra nell’eccezione al fatto generatore d’imposta sui prodotti energetici, prevista da tale disposizione.

Fonte:
Data della sentenza
3 dicembre 2020  

Numero della causa
Causa C-44/2019

Nome delle parti
Repsol Petróleo, S.A.;
contro
Administración del Estado.

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