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Giurisprudenza

Autorizzazione per indagini bancarie:
valida anche se non indica i motivi

La legge infatti non dispone alcun obbligo di motivazione trattandosi di un atto amministrativo che svolge una funzione organizzativa e rileva solo nei rapporti tra uffici

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Per il contribuente, la conoscenza dell’autorizzazione all’espletamento delle indagini bancarie e l’indicazione dei motivi che ne hanno determinato il rilascio non costituiscono presupposti di legittimità per la successiva emissione dell’avviso di accertamento da parte dell’Ufficio. Lo ha ribadito la Cassazione nell’ordinanza n. 35329/2022.
 
I fatti
Una Srl che svolge attività di commercio all’ingrosso di materiali da costruzione, ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva accertato maggiori imponibili ai fini Ires, Irap e Iva per l’anno d’imposta 2005. L’avviso è stato emesso a seguito delle indagini bancarie effettuate sui conti correnti dei congiunti dell’amministratore della società ed è stato ritenuto legittimo sia dai giudici di primo grado, sia dai giudici di appello. In particolare, nonostante la società abbia lamentato (anche) la nullità dell’avviso per mancata allegazione dell’autorizzazione della Direzione regionale ad effettuare le indagini bancarie, i giudici di merito, aderendo alle difese dell’ufficio, hanno affermato che l’autorizzazione è un atto amministrativo endoprocedimentale e che assolve la duplice funzione di atto di legittimazione all’esercizio dei poteri istruttori e di atto di controllo del corretto utilizzo di tale strumento d’indagine.
La Srl ha proposto ricorso per Cassazione e ha lamentato, tra l’altro, violazione di legge (articolo 7, comma 1, legge n. 212/2000) e dei principi concernenti la motivazione degli atti impositivi: a parere della contribuente, la sentenza impugnata doveva essere riformata poiché si era limitata a confermare genericamente la pronuncia di primo grado, soprattutto ritenendo legittimo l’avviso di accertamento anche se non erano state allegate le autorizzazioni di legge.

L’ordinanza
I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto fondato il motivo e hanno richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale «l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, ma anche in quanto la medesima, nonostante il ‘nomen iuris’ adottato, esplica una funzione organizzativa, incidente solo nei rapporti tra uffici, ed ha natura di atto meramente preparatorio, con la conseguenza che non è qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali è previsto, rispettivamente, dall'art. 3, comma 1, della l. n. 241 del 1990 e dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000, un obbligo di motivazione» (Cassazione n. 35329/2022, n. 14026/2012 e n. 19564/2018).

Nella fattispecie in esame (l’autorizzazione era stata concessa ma non era stata allegata all’accertamento), la Cassazione ha affermato che la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato «non comporta(va) l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente» (Cassazione, n. 35329/2022 e, ivi, 16874/2009, n. 20420/2014, n. 3628/2017), ma la società non ha sollevato alcuna contestazione riguardo eventuali pregiudizi subiti.

Osservazioni
Gli articoli 32, comma 1, n. 7, Dpr n. 600/1973 e 51, comma 2, Dpr n. 633/1972 attribuiscono agli uffici finanziari il potere di chiedere alle banche, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento o del direttore regionale dell’Agenzia delle entrate, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata.
Al riguardo, i giudici di piazza Cavour si sono pronunciati più volte con riferimento all’omessa allegazione e alla mancanza dei motivi di rilascio, affermando che entrambe non inficiano la validità e l’efficacia del successivo avviso di accertamento.
La pronuncia in commento sintetizza due orientamenti di legittimità che si sono consolidati nel tempo, entrambi coerenti, da un lato, con le disposizioni di legge, che subordinano la presentazione della richiesta al parere del dirigente, dall’altro, con la tutela del contribuente a non subire pregiudizio dall’attività di accertamento.

Secondo un primo orientamento, formatosi in relazione agli effetti, tanto riguardo alle imposte dirette (ex articolo 32, comma 7, Dpr n. 600/1973) quanto con riferimento all’Iva (ex articolo 51, comma 2, n. 7, Dpr n. 633/1972), ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari e di qualsiasi rapporto intrattenuto con il contribuente, la mancanza di autorizzazione non implica l’inutilizzabilità dei dati acquisiti (per la mancanza di disposizioni in tal senso e per l’inapplicabilità, in materia tributaria, del principio dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, sancito invece dal cpp). Tale inutilizzabilità può conseguire tuttavia qualora sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero sia stata posta in discussione la tutela dei suoi diritti fondamentali di rango costituzionale (Cassazione, n. 4987/2003, n. 9480/2018, n. 13353/2018, n. 16499/2020, 35707/2021, n.11744/2022 e n. 13224/2022).

Secondo altro orientamento, relativo alla motivazione, la Corte ha affermato che l’autorizzazione non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi che ne hanno giustificato il rilascio non solo per la mancanza di un obbligo di legge in tal senso, ma anche per la sua funzione e per la sua natura (Cassazione, n. 3628/2017, n. 9480/2018, n. 19564/2018, n. 35242/2019, n. 30001/2022, n. 34537/2022). D’altro canto, sintetizzando entrambi gli orientamenti, la Cassazione ha affermato che l’esibizione tempestiva dell’autorizzazione non è indispensabile neppure ai fini del controllo della sua motivazione per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, perché la legge non dispone alcun obbligo al riguardo, a differenza di quanto stabilito, invece, per gli accessi e le perquisizioni domiciliari (articolo 33, Dpr n. 600/1973 e articolo 52, Dpr n. 633/1972); in secondo luogo poiché, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali il legislatore (articolo 3, legge n. 241/1990 e articolo 7, legge n. 212/2000) prevede l’obbligo di motivazione (Cassazione, n. 5849/2012, n. 14026/2012, n. 30001/2022).

 

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