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Giurisprudenza

Autotutela: legittimo il rifiuto
se la cartella è divenuta definitiva

Contro il diniego dell’ufficio si può proporre impugnazione solo per dedurre eventuali profili di illegittimità del rigetto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria

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Il contribuente che richiede all’amministrazione di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. È pertanto legittimo il rifiuto di annullare in autotutela la cartella divenuta definitiva.
Ad affermarlo la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 25524 del 2 dicembre 2014, ha ribadito l’orientamento espresso in materia di impugnazione di diniego del provvedimento di autotutela.
 
La vicenda processuale
La controversia è stata instaurata avverso il diniego del provvedimento di sgravio, relativo a una cartella di pagamento preceduta da avvisi bonari di irregolarità, afferente a sanzioni per il ritardato versamento di Iva e carbon tax, per l’anno d’imposta 2003.
 
La società chiedeva l’emissione del provvedimento di autotutela ritenendo non dovute le sanzioni, nell’ammontare richiesto dall’ufficio, in quanto calcolate su somme in parte già versate e in parte non dovute. Inoltre, chiedeva il riconoscimento della riduzione delle sanzioni a un terzo.
L’Agenzia resisteva in giudizio, sostenendo l’inammissibilità del ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego, in quanto atto non impugnabile, attesa anche la regolare notifica della cartella di pagamento.
Nel merito insisteva sulla legittimità della cartella, in quanto i versamenti in contestazione non risultavano effettuati nei termini, perché relativi ad altre imposte e non spettava, altresì, la riduzione delle sanzioni, in quanto la parte non aveva comunque versato in seguito alla notifica degli avvisi bonari.
 
Dopo la sentenza di primo grado favorevole alla società, la Ctr di Milano accoglieva l’appello dell’Agenzia, confermando il diniego dell’istanza di sgravio in autotutela.
La Commissione di secondo grado motivava la decisione ritenendo che non c’era alcun atto, illegittimo o infondato, idoneo a rendere dovuto – o almeno opportuno – il provvedimento di autotutela, come previsto dal Dl 564/1994, articolo 2-quater, in quanto “a base del provvedimento oggetto dell’istanza vi fosse la pretesa di riduzione delle sanzioni – previo riconoscimento del versamento di imposte che si asserivano non correttamente conteggiate dall’ufficio, poiché quest’ultimo aveva ritenuto di imputarle non ad Iva ma ad Ires”.
 
La società dinanzi alla suprema Corte, con il primo motivo di impugnazione, insisteva sulla illegittimità del diniego, in quanto le comunicazioni di irregolarità erano errate, perché contenevano una richiesta di pagamento per imposte già versate e ciò aveva impedito al contribuente di usufruire della facoltà di versare la sanzione per il tardivo pagamento dell’Iva nell’importo ridotto a un terzo.
L’Amministrazione, quindi, avrebbe dovuto esercitare la potestà di autotutela, correggendo autonomamente la ripresa fatta valere con la cartella.
 
Motivi della decisione
Con l’ordinanza in commento, la Corte ha rigettato il ricorso di parte, con condanna al pagamento delle spese di lite, con la seguente motivazione: “il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela si può proporre impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr Cassazione 11457/2010)”.
 
A parere dei supremi giudici, la Ctr ha applicato correttamente il suddetto principio, laddove ha escluso che ci fosse l’obbligo di adozione del provvedimento di autotutela anche nel caso di specie in cui il contribuente ha evidenziato taluni errori che avevano preceduto la cartella di pagamento.
Così facendo il giudice dell’appello ha evitato “di dare ingresso a una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo, ciò che avrebbe legittimato un mezzo di tutela sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non sono stati esperiti e che non sono più esperibili… atteso il pacifico decorso del termine utile per impugnare la cartella di pagamento di cui è stata chiesta la rettifica”.
 
La Corte di cassazione ha dunque ribadito i limiti del sindacato giurisdizionale con riguardo ai provvedimenti di diniego di autotutela, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla questione.
In proposito, le Sezioni unite, con le sentenze 2870/2009 e 3698/2009, hanno affermato il principio secondo il quale, avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non è esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso a una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.
 
Orientamento riaffermato ancora dalla Corte suprema, con la sentenza a sezioni unite 16097/2009, nella quale ha ribadito, più in generale, che il concreto ed effettivo esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio e/o di revoca dell’atto contestato non costituisce un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti (cfr Cassazione 1219/2011 e, anche, 12930/2013).
 
Da ultimo, si ricorda l’ordinanza 23628 del 5 novembre 2014, secondo cui il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare in via di autotutela un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto.
Ne consegue che, contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela, può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria.
 
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