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Giurisprudenza

Bonus prima casa: l’inagibilità
non è causa di forza maggiore

Ha errato la Ctr nel ritenere sussistente l’esimente costituita dal rifiuto del cambio di residenza da parte del Comune, sulla base dell’oggettiva condizione di inabitabilità dell’immobile

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Il rilascio della certificazione di abitabilità non rileva per l’applicazione della norma agevolativa relativa alla “prima casa” la quale richiede che il trasferimento della residenza avvenga nel territorio del Comune ove è posto l’immobile oggetto di compravendita e non che detto cespite sia destinato ad “abitazione principale” (Cassazione, ordinanza n. 28838 dell’8 novembre 2019).

La controversia in esame prende spunto dal ricorso per Cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate avverso una pronuncia della Ctr Puglia, con la quale i giudici di secondo grado avevano rigettato l’appello dell’ufficio riguardante un avviso di liquidazione dell’imposta di registro, relativo all’anno d’imposta 2006.
Questo ultimo atto era stato emesso in seguito al disconoscimento dell’applicazione dell’aliquota ridotta dell’imposta sostitutiva applicata sulle operazioni di finanziamento, finalizzate all’acquisto di un cespite immobiliare a destinazione abitativa.
I contribuenti si costituiscono nell’instaurato giudizio di legittimità e propongono ricorso incidentale affidato a un unico motivo concernente la liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio.

La decisione
L’ufficio affida il proprio ricorso a una prima eccezione di violazione dell’articolo 112 cpc e del combinato disposto di cui agli articoli 23 e 57 del Dlgs n. 546/1992, in quanto la Ctr avrebbe statuito circa una doglianza non contenuta nel ricorso introduttivo di parte (il quale si concentrava sull’inapplicabilità della normativa, ratione temporis, vigente all’epoca dell’emanazione dell’atto poi impugnato).

La Cassazione ha ritenuto tale eccezione infondata in quanto, dall’esame della sentenza impugnata, emerge che oggetto della controversia è la revoca dell’aliquota ridotta dell’imposta sostitutiva applicata sulle operazioni di credito a medio e lungo termine, in riferimento all’acquisto di immobili da destinare a uso abitativo e rientranti nella agevolazione “prima casa”.
I giudici di legittimità, in particolare, richiamano il disposto di cui all’articolo 1-bis, comma 6, della legge n. 191/2004 – con il quale è stata elevata (dallo 0,25% al 2%) l’aliquota dell’imposta in argomento, quando i finanziamenti richiesti riguardano la compravendita di un immobile non “prima casa” – sul quale è successivamente intervenuto l’articolo 2, comma 1, della legge n. 257/2004 fornendo un’interpretazione autentica, con la specificazione che detto aumento è applicabile alle sole operazioni di credito erogate per l’acquisto, la ristrutturazione o la costruzione di cespiti immobiliari a uso abitativo, e correlate pertinenze, sui i quali non sia possibile utilizzare le agevolazioni fiscali previste in tema di “prima casa” (cfr nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa parte I allegata al Dpr n. 131/1986).
Pertanto, tale precisazione ermeneutica delimita l’ambito di applicazione dell’aumento dell’imposta in argomento alle sole ipotesi di acquisto, da parte delle persone fisiche non esercenti attività commerciale, di immobili destinati a uso abitativo qualificabili come “seconde case”, con l’esclusione, quindi, dei finanziamenti relativi all’acquisizione di una “prima casa”.

La Cassazione, quindi, ha ritenuto corretto e pertinente il vaglio, operato dai giudici di secondo grado, circa la sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti per fruire delle più volte richiamate agevolazioni “prima casa” in relazione alla necessità di decidere circa l’esclusione o meno dell’applicabilità dell’aumento dell’imposta sostitutiva sui relativi finanziamenti.

Di contro, sempre la Cassazione ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, proposto dall’ufficio, vertente sulla denunciata violazione dell’articolo 1 della Tariffa parte prima allegata al Dpr n. 131/1986.
Infatti, i giudici di legittimità richiamano, in via preliminare, il consolidato orientamento della Corte (cfr sentenze nn. 14399/2013, 7067/2014, 7764/2014, 16082/2014, 4800/2015 e 5015/2015) in base al quale, in tema di imposta di registro, l’articolo 2 del Dl n. 12/1985 prevede che, per il godimento dei benefici “prima casa” per l’acquisto di un immobile ubicato in altro Comune, l’acquirente deve provvedere al trasferimento della propria residenza entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto.
Detto onere, temporaneamente accordato in sede di stipula, rappresenta un vero e proprio obbligo del compratore verso il fisco; obbligo contemperato da una serie di eventuali impedimenti nell’adempimento di tale vincolo, caratterizzati dalla non imputabilità al soggetto onerato oltre che dalla inevitabilità e imprevedibilità della circostanza.

Ne consegue, in linea generale, che il mancato trasferimento della residenza nel termine previsto dalla normativa di riferimento non comporta, in via automatica, la decadenza dal relativo benefico “prima casa” ove l’ipotesi dell’omesso adempimento sia imputabile a causa di forza maggiore – “…evento non prevedibile ed inaspettato…” (cfr sentenze nn. 7067/2014 e 13177/2014); “…ipotesi non imputabile (anche a titolo di colpa), inevitabile ed imprevedibile…” (cfr sentenze nn. 6076/2017, 13148/2016, 14399/2013, 846/2016 e 25/2016) – estranea alla volontà e determinazione del soggetto obbligato.

Inoltre, sempre la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che non possa rientrare nell’alveo della “forza maggiore” l’evento impeditivo del trasferimento della residenza costituito dal mancato rilascio, da parte del conduttore, dell’immobile – nonostante la tempestività della comunicazione di disdetta. Difatti, l’articolo l, nota II-bis, lettera a), parte prima della Tariffa allegata al Dpr n. 131/1986 condiziona il riconoscimento delle agevolazioni “prima casa” alla circostanza che la residenza sia trasferita, nel termine suddetto di diciotto mesi, nel Comune ove è ubicato l’immobile e non nell’immobile acquistato (cfr sentenza n.13346/2016).

Considerazioni
Nel caso concreto, pertanto, secondo la Cassazione ha errato la Ctr della Puglia nel ritenere sussistente l’esimente della forza maggiore – costituita dal rifiuto del cambio di residenza da parte del comune di Taranto atteso l’oggettiva condizione di inabitabilità del cespite compravenduto.
La pronuncia in argomento si pone quindi nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità in base alla quale l’iter per il rilascio della certificazione di abitabilità non rileva per l’applicazione della normativa di cui al Dpr 131/1986 la quale, come già precisato, richiede che il trasferimento della residenza avvenga nel territorio del Comune ove è posto l’immobile oggetto di compravendita e non che detto cespite sia destinato ad “abitazione principale” (cfr sentenza n.2527/2014).
 

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