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Giurisprudenza

Buono l’accertamento con ricarico
che non coinvolge tutte le merci

A validare il Pvc, le gravi incongruenze rilevate e la scarsa incidenza dei beni non considerati in fase di verifica fiscale ai fini della determinazione dell’intero volume d’affari

La Corte di cassazione, con la sentenza 19616 del 1° ottobre 2015, ha legittimato la verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza, che ha accertato il maggior reddito prodotto da una società a responsabilità limitata, basando il calcolo dell’imposta evasa sulla percentuale di ricavo di parte dei beni presenti nel magazzino e non anche sull’interezza della merce rinvenuta. Chiariscono i giudici di legittimità che i beni non presi in considerazione nella verifica fiscale debbono essere considerati di scarsa incidenza sull’intero volume d’affari dell’impresa.
 
La pronuncia della Cassazione è scaturita da un ricorso presentato da una contribuente avverso un processo verbale di constatazione, notificato dalla Guardia di finanza, con il quale era stato recuperato a tassazione il maggior reddito di una Srl, ricalcolato induttivamente sia ai fini dell’Iva che dell’Irap.
Nel ricorso venivano evidenziati dalla contribuente presunti errori di calcolo della percentuale di ricavo sui beni commercializzati. Nel computo, secondo la difesa, era stata presa in considerazione dai verificatori solo una parte di quanto rinvenuto nel magazzino, senza tener conto delle vendite promozionali, delle vendite a stock e soprattutto della disomogeneità della merce. Il che, a parere della ricorrente, avrebbe fatto cadere la pretesa impositiva del Fisco in virtù del fatto che il maggior reddito accertato si basava su presunzioni gravi, precise e concordanti errate.
La difesa chiedeva l’annullamento dell’accertamento perché condotto senza l’effettiva verifica della presenza dei beni presenti in magazzino, il che avrebbe reso inoperanti le presunzioni di acquisto di merci, inficiando, così, le conclusioni del Pvc che attestava vendite di prodotti non risultanti dalle fatture di acquisto nell’anno, con conseguente presunzione di acquisti senza fattura, in palese evasione d’imposta.
 
La vicenda processuale
La pretesa della Srl era stata respinta dai giudici di primo e secondo grado, che avevano legittimato la condotta tenuta dalla Guardia di finanza in sede di verifica fiscale, avendo tenuto conto, i militari, della disomogeneità dei beni e dell’incidenza di ciascuna categoria merceologica sull’intero volume d’affari. Nel computo del reddito complessivo, inoltre, la Gdf aveva valutato anche i resi e gli sconti commerciali praticati dalla società. Per quanto riguarda il volume d’affari, il suo ammontare era stato ricostruito in base alla contabilità di magazzino, prendendo in considerazione solo i prodotti che erano stati acquistati e venduti nello stesso esercizio economico, escludendo, pertanto, i beni acquistati nell’anno, ma non venduti, e le merci vendute, ma non acquistate nell’anno.
 
In particolare, secondo la Ctr, il metodo di calcolo dell’effettivo reddito da sottoporre a tassazione non era affatto sfavorevole alla Srl, proprio perché non andava ad analizzare una sola parte dei beni del magazzino, ma era basato sulla completezza della rilevazione anche se non sulla totalità dei beni del magazzino.
Per la Commissione tributaria, i prodotti non considerati ai fini della verifica fiscale erano di scarsa incidenza sul volume d’affari della società e le vendite promozionali e a stock, menzionate dalla ricorrente, non trovavano specifico riscontro nella documentazione prodotta in giudizio.
 
Corretta, per i giudici di merito, anche la procedura seguita per quantificare la percentuale di ricarico, basata sul rilevamento delle fatture di acquisto della merce individuando i singoli prodotti per descrizione e codifica assegnata al momento di introduzione dei beni in magazzino, evidenziando, altresì, il numero di pezzi acquistati, del prezzo unitario e totale di acquisto, dello scomputo dei beni resi, degli sconti e premi sugli acquisti, degli omaggi e delle rettifiche di prezzo e quantità.
 
La decisione
La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla Srl, chiarendo che i funzionari del Fisco possono legittimamente ricorrere all’accertamento analitico induttivo qualora, in sede di verifica fiscale, evidenzino gravi incongruenze tra ricavi e corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle circostanze e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta dal contribuente ovverosia dall’abnormità e irragionevolezza della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella desunta dal controllo indiretto tramite acquisizione a campione dei beni maggiormente rappresentativi (cfr Cassazione, pronunce 15038 e 26007 del 2014).
 
Inoltre, continua la Corte, l’accertamento induttivo è ammesso nel caso i cui si evidenzino discordanze tra i beni rinvenuti in magazzino e le quantità risultanti dai documenti contabili (fatture di vendita), il che paleserebbe la vendita (in nero) di beni non acquistati, con conseguenti esigue percentuali di ricarico.
 
Per quanto concerne la censura effettuata dalla contribuente in merito alla presunta errata ricostruzione della percentuale di ricarico, secondo cui i verificatori avrebbero preso a riferimento quantità non omogenee di merce rinvenuta in magazzino, la Cassazione ribadisce quanto chiarito dai giudici di merito di seconde cure. Le percentuali di carico, in effetti, sono state calcolate tenuto conto dei principi contabili di magazzino, prendendo in considerazione solo prodotti acquistati nell’anno e venduti nel medesimo periodo d’imposta, escludendo, chiaramente, dal computo, i prodotti acquistati nell’anno ma non venduti e i prodotti venduti non acquistati nell’esercizio oggetto di verifica.
 
La Corte suprema interviene anche sulla questione della vendita di merci senza che fosse rinvenuta la fattura di acquisto. In tal caso, il volume d’affari dell’azienda è stato senz’altro correttamente ricostruito dalla Guardia di finanza, che aveva provveduto al controllo della merce in arrivo nel magazzino confrontandola con le relative fatture di vendita, rilevando l’effettiva mancanza dei documenti contabili che ne comprovavano l’acquisto.
 
Infine, i giudici di legittimità osservano che la ricostruzione del volume d’affari e della percentuale di ricarico, effettivamente, non erano affatto sfavorevoli alla contribuente, perché non riguardavano solo una parte dei beni di magazzino, ma il calcolo doveva ritenersi legittimamente operato sulla completezza dei beni. I beni non considerati dal computo, secondo i giudici di piazza Cavour, avevano avuto, presumibilmente, scarsa incidenza sull’intero volume d’affari.
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