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Giurisprudenza

“Carta canta” anche in appello

I giudici tornano sulla possibilità di produrre legittimamente documentazione in secondo grado

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E’ valido l’avviso di liquidazione emesso per la riscossione dell’imposta dovuta in dipendenza di un avviso di irrogazione sanzioni, divenuto definitivo per mancata impugnazione, se l’ufficio dimostra, anche solo nel giudizio di appello la regolarità della notifica dell’atto propedeutico (nel caso di specie avviso di irrogazione sanzioni). Tale prova documentale dimostra l’infondatezza del ricorso introduttivo e la conseguente legittimità dell’atto di riscossione (rectius, liquidazione). Questo, in sintesi, il contenuto della recente sentenza n. 470/34/2007, del 4 dicembre 2007, della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Il caso affrontato dalla Commissione tributaria regionale
Oggetto della contestazione è un avviso di liquidazione con il quale si richiedeva al contribuente il pagamento delle sanzioni definitivamente contestate con specifico atto di irrogazione, notificato il 20/3/1987 e divenuto definitivo, spirati i sessanta giorni successivi, per mancata impugnazione.
Il ricorrente impugnava il predetto avviso, denunciando la mancata notificazione dell’avviso di irrogazione sanzioni giustificativo dell’atto contestato.

La Commissione tributaria provinciale, condividendo la linea difensiva del ricorrente, accoglieva il ricorso, rilevando che l’ufficio avrebbe dovuto provare la pretesa tributaria producendo in giudizio copia dell’avviso di irrogazione sanzioni che rappresentava il titolo legittimante l’avviso di liquidazione.
Avverso la predetta sentenza, proponeva appello l’Amministrazione, sostenendo che la sentenza, non avendo accertato la fondatezza della pretesa tributaria, era viziata nella sua motivazione, in quanto aveva accolto il ricorso sull’unico presupposto del difetto probatorio documentale in capo all’ufficio.

Infatti, ribadiva l’Amministrazione, in assenza di prova da parte dell’ufficio e, dunque, assumendo per vera la mancata notifica degli avvisi di accertamento, l’impugnazione dell’atto da parte del ricorrente poteva essere eseguita nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 19, comma 3, del Dlgs 546/1992, secondo il quale la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo, non lasciando, cioè, il contribuente sprovvisto del diritto di difesa.

Sosteneva ancora l’ufficio appellante che il ricorrente aveva riconosciuto di essere inadempiente nell’effettuazione dei versamenti Iva, con altro ricorso (che veniva allegato a supporto della tesi esposta). Ciò evidenziava la pretestuosità dell’eccezione relativa al difetto di notifica.

Al fine, comunque, di fugare ogni dubbio in ordine alla legittimità del suo operato, l’ufficio depositava, avvalendosi del disposto dell’articolo 24, comma 1, del Dlgs 546/1992, applicabile anche al giudizio di appello, e rubricato "produzione di documenti e motivi aggiunti", copia dell’avviso di irrogazione sanzioni correttamente notificato; concludeva per la riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale sostenendo che:

  1. la notifica dell’atto propedeutico (avviso di irrogazione sanzioni) era stata correttamente eseguita e l’atto si era reso definitivo per mancata impugnazione: tale situazione non poteva comportare un danno all’Erario, acclarata la legittimità della procedura eseguita
  2. la pretesa tributaria era altrettanto legittima e comunque non contestata nel merito.

La sentenza della Commissione tributaria regionale
La Commissione tributaria regionale di Roma, con ordinanza del 15/12/2006, invitava l’ufficio a produrre in giudizio prova della notifica dell’atto di appello, in quanto il contribuente, parte resistente, restava contumace. Accertato che l’Amministrazione produceva la prova dell’avvenuta notifica, la Commissione ha accolto l’appello dell’ufficio.

I giudici hanno motivato il proprio assunto rilevando "la totale infondatezza delle doglianze di parte contribuente. Infatti la stessa, con il ricorso in prime cure, assumeva di non aver mai ricevuto la notifica dell’atto prodromico all’avviso di liquidazione impugnato mentre è stato provato dall’Ufficio che l’atto prodromico, ossia l’avviso di irrogazione sanzioni n. 305862 era stato regolarmente notificato alla parte contribuente in data 20/3/87 come risulta dal documento prodotto in uno con l’appello, dall’Ufficio. La produzione non può ritenersi tardiva, in quanto consequenziale alle deduzioni della controparte e comunque, come più volte sostenuto da costante giurisprudenza, la prova dei fatti posti a sostegno della pretesa tributaria non è richiesta come elemento costitutivo dell’avviso di accertamento e la sua mancanza non può incidere sulla validità del medesimo avviso quando i fatti da provare realmente sussistono".

Già in un’altra occasione, in una controversia analoga, la Ctr del Lazio aveva accolto l’appello dell’Amministrazione, sulla scorta dei medesimi principi (sentenza n. 406/34/06 depositata il 18 gennaio 2007).

La produzione di nuovi documenti in appello ex articolo 58, comma 2, del Dlgs 546/1992
La eventuale sussistenza del difetto probatorio nel primo grado di giudizio non determina, come si è visto, la perdita definitiva, per tutto il corso del processo, del relativo diritto sussistente in capo alla parte. La legittimazione al superamento di tale “deficit” è data da una precisa norma del decreto legislativo 546/1992, e segnatamente dall’articolo 58, il quale, al secondo comma, riferendosi al giudizio di appello, testualmente dispone che "E’ fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti".

La Cassazione, con la sentenza 9224/2007, ha specificato modalità e limiti entro i quali tale diritto può essere esercitato. In sostanza, la facoltà prevista dalla norma deve "essere coordinata con i caratteri propri del giudizio di secondo grado e in cui non possono essere introdotte eccezioni o tematiche nuove". Dunque, in buona sostanza, il diritto de quo è subordinato alla considerazione che nel giudizio di appello non è consentito l’ampliamento della materia del contendere neppure attraverso la produzione di documenti.

La Suprema corte, con la sentenza citata, ha dunque evidenziato che dal complesso normativo deve desumersi che è "consentita la produzione in giudizio in grado di appello solo di documenti che abbiano una mera funzione di supporto probatorio delle pretese e delle considerazioni già svolte da una delle parti, e non invece di documenti che determinino la necessità di ulteriori contestazioni o deduzioni".

Nel caso esaminato dai giudici romani, la produzione in giudizio dell’avviso di irrogazione sanzioni, correttamente notificato, anche se solo nel grado di appello, è pienamente conforme al principio evidenziato dalla citata sentenza della Cassazione, e non viola la fondamentale norma processuale, a carattere limitativo, dettata dall’articolo 57 del Dlgs 546/1992. Norma in base alla quale "nel giudizio di appello non possono essere proposte domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’Ufficio…non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili d’Ufficio". Norma che rappresenta un vincolo non incompatibile con la previsione normativa dettata dall’articolo 24 del Dlgs 546/1992, utilizzabile nel giudizio di appello per effetto del disposto dell’articolo 58, comma 2, dello stesso decreto.

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