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Giurisprudenza

Cartoline e prodotti editoriali,
non vale il regime di esenzione

E’ legittimo l’avviso di accertamento nei confronti di una srl di giocattoli all’ingrosso che aveva omesso la regolarizzazione dei prodotti rivenduti, tramite fattura integrativa o autofattura

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In caso di cessione indebitamente sottoposta al regime di esenzione da Iva ex articolo 74, comma 1, lettera c), Dpr n. 633/1972, l'obbligo, in capo al concessionario o committente, di regolarizzare le fatture emesse dal cedente, pur non estendendosi anche a controlli sostanziali sulla corretta qualificazione fiscale dell'operazione, sussiste se il cedente stesso non sia in possesso di caratteri esteriori che denotino per l'esercizio dell'attività d'impresa editoriale, questione da accertarsi con valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, nei limiti in cui esso è tutt'ora proponibile. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 13032 del 14 maggio 2021.

I fatti
Con avvisi di accertamento emessi nei confronti di una Srl esercente l'attività di commercio all'ingrosso di giochi e giocattoli, l’ufficio, recependo integralmente il pvc redatto dalla Guardia di finanza, ha recuperato l'Iva sulle fatture d’acquisto relative agli anni 2006 e 2007, aventi ad oggetto cartoline di riproduzione artistica, ricariche telefoniche e di vario genere, abbinate a tagliandi del “gratta e vinci”, ricevute in esenzione d’imposta ex articolo 74, comma 1, lettera c), Dpr n. 633/1972, nonostante i rispettivi cedenti fossero privi della qualifica di editore. L’ufficio ha rilevato, inoltre, che la società contribuente aveva proceduto a rivendere tali prodotti in regime di esenzione, omettendo la regolarizzazione delle fatture di acquisto tramite fattura integrativa o autofattura.

Adita la Ctp, la società ha sostenuto di essersi attenuta alle dichiarazioni dei fornitori che si erano qualificatisi editori, e che comunque le uniche operazioni che l’Agenzia delle entrate avrebbe potuto legittimamente censurare, erano quelle relative alle cartoline acquistate solamente da due determinati cedenti. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso sulla base della carenza di qualificazione editoriale dei cedenti con la conseguenza che le fatture relative alle operazioni contestate avrebbero dovuto essere regolarizzate, mancando per esse il presupposto dell’esenzione, indebitamente applicata dai due fornitori. Anche in Ctr il successivo ricorso in appello della società non ha avuto sorte migliore, con la conseguenza automatica che le “cartoline” citate e gli altri prodotti non potevano essere ceduti o rivenduti in regime di esenzione ex articolo 74, comma 1, lettera c), Dpr n. 633/1972. Tale regime, infatti è previsto per certi soggetti e per certi prodotti, a prescindere dalla circostanza che l’acquirente fosse o meno a conoscenza della qualifica del venditore. Nella fattispecie, mancando ai fini dell'esenzione Iva sia i requisiti soggettivi (società non editrici), che oggettivi (prodotti non rientranti nella esenzione), gli avvisi di accertamento dovevano, pertanto, ritenersi legittimi e fondati.

La contribuente, allora, ha proposto ricorso in revocazione sostenendo che la Ctr, rigettando il suo appello, era incorsa nell’errore di fatto consistente nella mancata considerazione che anche altre società, pure emergenti dagli allegati al pvc, si aggiungevano alle originarie due cedenti, con conseguenti ricadute sul quantum dovuto sia per l’Iva, che per le sanzioni (in quanto ricomprendenti transazioni nelle quali la qualità di editore del cedente non era contestata). Disposta la sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione con decreto, la Ctr ha dichiarato il ricorso per revocazione inammissibile, non essendo configurabile nella specie alcun errore di fatto.
La contribuente ha impugnato in Cassazione, per omessa motivazione, entrambe le sentenze della Commissione regionale: quella di revocazione, per non avere la Ctr giustificato che le transazioni risultavano effettuate in esenzione Iva anche con cedenti diversi e incontestabilmente dotati della qualità di editori, indicati negli allegati al pvc; la pronuncia di appello, per aver affermato il giudice di secondo grado che l'intero ammontare delle operazioni contestate concernesse le sole società verificate, senza però esaminare le transazioni operate in esenzione Iva con altri soggetti, desumibili anche dal mero confronto tra il numero di fatture emesse da questi ultimi e riscontrate dai verbalizzanti rispetto al totale delle fatture in esenzione. Infine, la sentenza di appello, a parere della società, ha altresì violato l'articolo 6, comma 8, lettera b), Dlgs. n. 471/1997 poiché il cessionario ha l'obbligo di regolarizzare la fattura irregolare a prescindere da qualsivoglia controllo sulle valutazioni giuridiche espresse dall’emittente, come nella specie avvenuto riguardo le fatture emesse da società auto-qualificatesi editrici.

La Corte ha respinto il ricorso, dichiarando inammissibile l'impugnazione della sentenza già oggetto di revocazione, poiché il motivo non era più proponibile in relazione alle sentenze, come nella specie, pubblicate dall’11/09/2012, occorrendo far riferimento, ai fini della denuncia dell'omesso esame del fatto controverso e decisivo per il giudizio, al nuovo testo dell'art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c., modificato dal d.l. n. 83/2012, conv. dalla legge n. 134/2012.
Con riferimento all’impugnazione della sentenza d’appello, invece, la Corte ha statuito che «manca …la corretta e completa esposizione, nonché l'adeguata indicazione dei documenti, anche sotto il profilo contenutistico, che consenta di apprezzare dalla mera lettura del ricorso la decisività della censura…» (Cassazione n. 13032/2021).

Osservazioni
Sgombrato il campo dalle questioni squisitamente processuali, la Cassazione ha esaminato il motivo di ricorso (della sentenza di appello) inerente l'applicazione della sanzione ex art. 6, comma 8, d.lgs, n. 471/1997 poiché la società non aveva regolarizzato le fatture in contestazione. Al riguardo si è posta la questione di stabilire se la qualità di impresa editrice rivestita dalle emittenti rientri o meno nell'ambito di valutazione del cessionario, ai fini del conseguente obbligo di regolarizzazione.

Sul piano generale, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio consolidato secondo il quale «…l'obbligo, in capo al concessionario o committente, di regolarizzare le fatture emesse dal cedente sussiste nel solo caso in cui le mancanze da questi commesse riguardino l'identificazione dell'atto negoziale e i dati fiscalmente rilevanti, ma non si estende anche a controlli sostanziali sulla corretta qualificazione fiscale dell'operazione…». Tale obbligo sussiste non soltanto per ragioni di coerenza con il contestuale obbligo del soggetto tenuto alla regolarizzazione della fattura altrui di pagare l'imposta non versata o versata in misura insufficiente, ma anche perché l'inclusione, tra i suoi compiti, di un apprezzamento critico su quanto dichiarato in ordine all'imponibilità dell'operazione, trasformerebbe l'obbligato in rivalsa in un collaboratore, con supplenza di funzioni di esclusiva pertinenza dell'ufficio finanziario (Cassazione, n. 14275/2020).

Nella fattispecie al suo esame, la Corte ha poi esaminato la rilevanza della qualità rivestita dal soggetto cedente (e cioè che sia o meno “editore”). Come correttamente evidenziato dall'Agenzia nel controricorso, si tratta di una mera questione di fatto, che si risolve nell'apprezzamento dei caratteri di esteriorità mediante i quali si estrica l’attività d’impresa del cedente.
Di conseguenza, qualora il cedente non sia in possesso di caratteri esteriori che possano essere parametrati all'attività caratteristica di un’impresa editrice, non può che sussistere un obbligo di regolarizzazione da parte del cessionario che, ai fini dell'assoggettamento delle operazioni all'esenzione da Iva, sarà chiamato ad apprezzare, in concreto, un elemento fenomenicamente percepibile (la natura di "editore" o meno del cedente). La statuizione del giudice d'appello sul punto, quindi, coinvolgendo questione di merito, ben si sarebbe poteva censurare in sede di legittimità solo sotto il profilo motivazionale, ma tale vizio tuttavia non è stato denunciato dalla società.

A parte, dunque, è rimasta la qualificazione dei prodotti ceduti e la possibilità di sussumerli nella lettera c) dell’articolo 74, Dpr n. 633/1972. Il “regime speciale monofase”, infatti, in deroga alle disposizioni dei primi due titoli del Dpr n. 633/1972 per le peculiarità del settore dell’editoria e per le difficoltà dei relativi operatori, prevede, tra l’altro, che l’imposta sia dovuta «per il commercio di giornali quotidiani, di periodici, di libri, dei relativi supporti integrativi e di cataloghi, dagli editori sulla base del prezzo di vendita al pubblico, in relazione al numero delle copie vendute...»
La Corte, cioè, non si è pronunciata in relazione alla possibilità di sussumere le “cartoline” e gli altri prodotti ceduti tra i prodotti editoriali previsti dalla lettera c) citata, probabilmente in quanto tale requisito oggettivo non ha assunto alcuna rilevanza una volta riscontrata la mancanza del requisito soggettivo delle cedenti.

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