Con l’ordinanza n. 32812 del 13 dicembre 2019, la Corte di cassazione torna sul tema della legittimità dell’accertamento induttivo basato su un saldo negativo di cassa.
Nel caso in esame la Ctr aveva ritenuto che il saldo negativo giornaliero del conto cassa di una società di automobili, non era un elemento che da solo poteva provare l’esistenza di somme non contabilizzate. Secondo i medesimi giudici, inoltre, non sussisteva alcuna cassa in rosso, dal momento che i vari soci vi avevano fatto confluire delle somme. Quindi i giudici di secondo grado, a conferma dell’orientamento della Ctp che aveva accolto il ricorso proposto dalla società contro l’avviso di accertamento, rigettavano il ricorso dell’Agenzia.
L’Agenzia ricorre in Cassazione.
Con un primo motivo, l’amministrazione fiscale censura la pronuncia della Ctr secondo la quale i saldi negativi giornalieri non sono sufficienti alla presunzione di ricavi non contabilizzati e quindi, a far scattare l’accertamento induttivo.
Sulla base del secondo motivo, deduce l’erroneità della sentenza di secondo grado sottolineando il fatto che i versamenti in denaro fatti dai soci devono essere sempre legittimati da delibere assembleari o da altra idonea documentazione idonea a giustificare i versamenti, mai esibita nel caso in esame.
La Cassazione, accogliendo il primo motivo, respinge la posizione della Ctr relativa al saldo negativo di cassa che sarebbe insufficiente ad accertare maggiori introiti in assenza di altri elementi presuntivi. Al riguardo ritiene che una chiusura di cassa con segno negativo oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, denota in sostanza l’omessa contabilizzazione di attività e inoltre ricorda che “sulla base del riparto degli oneri probatori regolato dal regime di presunzioni dell’art. 54, co. 2, DPR 633/72, e dell’art. 39, co. 2, DPR 600/73, l’Ufficio non è tenuto a fornire prova ulteriore per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati”.
Nella fattispecie, rilevano i giudici di legittimità, vige il principio dell’inversione dell’onere della prova. I soci avrebbero dovuto dimostrare ulteriori componenti positive del reddito, cioè da quali operazioni proveniva la liquidità versata, visto che il saldo di cassa era negativo (vedi anche sentenze n. 17004/2012 e n. 25289/2017).
Anche con un’altra pronuncia, la n. 17004/2012, la Cassazione ha ribadito che la presenza di un conto cassa negativo fa presumere ricavi occultati al Fisco in misura almeno pari al disavanzo. In particolare, l’Ufficio aveva accertato maggiori redditi d’impresa in via induttiva per gli anni d’imposta 1996 e 1997 sulla base dei continui e anomali saldi negativi di cassa, a fronte dei quali i soci effettuavano versamenti in contanti per ripianare l’elevata esposizione bancaria. Anche in questo caso, la persistente chiusura di cassa in rosso aveva indotto l’Ufficio a ritenere che le somme costituissero corrispettivi non contabilizzati.
La Cassazione, con la sentenza n. 32812/2019, accoglie anche la seconda motivazione. Sul punto l’Agenzia, a fondamento della propria posizione, aveva esibito la fotocopia del ricorso della società, da cui si evinceva che il versamento effettuato dai soci per ripianare la cassa era legittimo e incontestabile purché “accompagnato dal relativo verbale di assemblea che legittimi i versamenti….”. La verifica di tale documento, però, non è mai stata fatta dai giudici di merito, per cui il conferimento di denaro potrebbe anche essere fittizio.
In assenza di tali prove, la corte di Cassazione in conclusione accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza della Ctr e rinvia ad altri giudici di merito.