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Giurisprudenza

Cessione azienda: nuova conferma per il binomio registro/dirette

Ancora in auge il tema delle connessioni e delle interferenze tra gli accertamenti relativi a imposte diverse

Quando si valuta il trasferimento di un bene, la composizione differente delle basi imponibili relativa alle singole imposte non è di ostacolo allo scambio delle risultanze istruttorie tra controlli volti ad accertarne la misura.
È quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 5078 del 2 marzo, che riporta alla ribalta il tema mai sopito sulle connessioni e sulle interferenze tra gli accertamenti ai fini del registro e delle imposte sul reddito.

La vicenda
L’Agenzia delle Entrate accertava induttivamente una plusvalenza emergente dalla cessione di un esercizio commerciale (anno di imposta 1995, prezzo dichiarato 20 milioni di lire, prezzo accertato 900 milioni), utilizzando le risultanze di un precedente avviso emanato dall’ufficio del Registro.
Le ragioni della ricorrente venivano accolte dalla Ctp. In secondo grado, la Ctr confermava nel merito la sentenza, riformandone tuttavia la parte relativa alle spese di giudizio, per le quali veniva disposta compensazione.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione deducendo violazione dell’articolo 54 del Tuir e vizio di motivazione, approntando una tesi difensiva che può essere così riassunta:
  • la plusvalenza derivante dalla cessione d’azienda è costituita dalla differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di cessione
  • il prezzo di cessione corrisponde al valore dell’azienda ceduta
  • la ricostruzione del prezzo di cessione, avvenuta nel 1995, è stata eseguita sulla base di una perizia disposta su incarico della parte nel 1991 e tenuto conto del valore indicato dalla stessa contribuente in seno all’atto di successione nel 1993
  • la riduzione del valore dell’azienda di oltre 900 milioni nell’arco di due anni è inverosimile
  • il ricorso all’accertamento induttivo senza l’indicazione di ulteriori indizi diventa, pertanto, legittimo
  • tali considerazioni sono state accolte dalla Ctr esclusivamente per rideterminare le spese di giudizio con un ragionamento incoerente e inconferente.

La decisione
Dopo aver ribadito la legittimità dell’utilizzo dei valori determinati ai fini del registro, per accertare induttivamente la plusvalenza da cessione d’azienda, la Corte osserva che è onere del contribuente superare la presunzione di corrispondenza tra prezzo incassato e valore di mercato accertato.
A giudizio della Cassazione, la Ctr è incorsa nella violazione di legge per non aver considerato che la contribuente non aveva assolto al proprio onere probatorio – posto che lastessa aveva, in sede di successione, indicato un valore molto distante dal prezzo di cessione – e nel vizio di motivazione, per non aver, da un lato, ritenuto, in forza di tale circostanza, legittimo il ricorso da parte dell’Agenzia all’accertamento induttivo e, dall’altro, ritenuta la stessa evenienza quale elemento idoneo a sorreggere la compensazione delle spese di giudizio.

La decisione della controversia prende le mosse da un consolidato indirizzo giurisprudenziale, al quale la Corte aderisce.
I precedenti in materia non sono pochi e corrono tutti nello stesso senso. Oltre a quelli menzionati nel corpo della pronuncia in commento (Cassazione, sentenze 4914/1986, 2101/1990, 14448/2000, 14581/2001 e 21055/2005), meritano un richiamo altre recenti decisioni che pongono l’accento sulla valutazione della componente avviamento, maggior punto di scontro tra contribuente e fisco. Il riferimento va alle decisioni 19830/2008, 28791/2008, 21020/2009 e 27019/2009, nelle quali si statuisce a chiare lettere che “… l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva alla rettifica della plusvalenza patrimoniale relativa al valore dell’avviamento, realizzata a seguito di cessione dell’azienda, sulla base dell’accertamento di valore già effettuato ai fini dell’imposta di registro. Il contribuente è dunque chiamato ad assolvere l’onere della prova contraria anche fornendo elementi indiziari sufficienti a superare la presunzione di corrispondenza dei valori accertati nelle singole discipline d’imposta …”.

Un monito al contribuente
L’indirizzo accreditato dalla Corte, oltre a costituire un puntuale corollario giuridico, si rivela una naturale e spontanea strategia contro l’evasione.
All’acquirente che vada fiero del risparmio ottenuto indebitamente in sede di acquisto, dichiarando un valore d’azienda inferiore a quello reale, può facilmente obiettarsi di non aver fatto bene i conti. Così agendo, infatti, non solo ha semplicemente rimandato il carico tributario da scontare, bensì lo ha aggravato almeno per due ordini di motivi. Il primo attiene alle conseguenze in termini di interessi e sanzioni derivanti dall’esposizione all’accertamento relativo all’imposta di registro. Il secondo è espressione dell’ordine naturale delle cose: chi è oggi acquirente, si troverà prima o poi a indossare le vesti del venditore. E il venditore porta sulle proprie spalle il fardello della plusvalenza che è direttamente proporzionale al differenziale tra prezzo di acquisto e cessione. Tanto più il divario è ampio, tanto più il ribasso iniziale alla fine della corsa sarà punito.
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