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Giurisprudenza

La cessione di marchio non sfugge al Registro

Non può trovare applicazione la normativa Cee che esenta dall’imposta le operazioni che hanno per oggetto l’intero patrimonio aziendale o rami di attività

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Con la sentenza n. 5716 del 12 marzo 2007, la Corte di cassazione ha statuito che il conferimento del solo marchio non configura la fattispecie di cessione di ramo d’azienda, cioè di un complesso di beni finalizzato all’esercizio di impresa.
La controversia attiene l’applicazione dell’articolo 7 della direttiva Cee 69/335 del 17 luglio 1969, modificata dalla direttiva Cee 303/1985, che riconosce esenti dall’imposta sui conferimenti, le operazioni che hanno per oggetto l’intero patrimonio aziendale o rami di attività.
Nel caso di specie, la società contribuente proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale che rigettava l’appello e confermava l’applicabilità dell’imposta proporzionale di registro all’operazione di aumento del capitale sociale in seguito al conferimento di due marchi.

E’ da rilevare che la direttiva comunitaria 69/335, e successive modifiche, prevede l’esenzione di imposta nel caso in cui oggetto di trasferimento sia l’intero patrimonio aziendale o rami di attività, mentre se si tratta di operazioni diverse da quelle che godono del regime di esenzione, occorre applicare l’aliquota dell’1 per cento, determinata dallo Stato italiano.
Nella controversia portata all’attenzione della Corte, occorreva valutare, quindi, se il trasferimento di un marchio rientrava tra le ipotesi di cessione di rami di attività.

Da un punto di vista generale, i marchi di impresa sono definibili come tutti quei segni suscettibili di essere rappresentati graficamente e atti a distinguere i prodotti e i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. Caratteristica fondamentale del marchio è, dunque, la capacità di distinguere i prodotti appartenenti alle diverse imprese operanti nello stesso settore; non possono costituire oggetto di registrazione, infatti, ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 30 del 2005, quei segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto. Proprio per tale ragione, la cessione del marchio, a norma dell’articolo 2573 del Codice civile, è condizionata alla circostanza che dalla stessa “non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico”.
L’azienda è, invece, ai sensi dell’articolo 2555 del Codice civile, il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di impresa. Essenziale, quindi, risulta il nesso di interdipendenza che collega i vari beni aziendali e che ne caratterizza l’unitaria destinazione verso uno specifico fine produttivo.

Definite le caratteristiche principali dell’azienda e del marchio, si può passare, quindi, a esaminare la pronuncia dei Supremi giudici circa la possibilità di equiparare il trasferimento del marchio al trasferimento dell’azienda o ramo di attività.
In proposito, la Corte di cassazione ha statuito che la cessione d’azienda o ramo di attività ha quale caratteristica quella di migliorare la gestione e l’organizzazione dell’azienda incorporante. Il marchio, invece, è costituito semplicemente da un contrassegno o un simbolo la cui trasferibilità, non solo non migliora né facilita la gestione e l’organizzazione dell’azienda già esistente, ma necessita, al fine di esplicare la propria utilità economica, l’inserimento all’interno di un apparato produttivo organizzato.
Non incide affatto, inoltre, la circostanza che si tratti o meno di marchi di particolare spessore e rilievo, in quanto la mancata equiparazione degli stessi al ramo di attività di impresa prescinde dalla importanza che a questi viene attribuita.

Nel caso portato all’attenzione dei giudici di piazza Cavour, infatti, la contribuente sosteneva che il trasferimento dei marchi potesse essere ricondotto al trasferimento di una complessa attività economica qualificabile come “ramo di attività”, in base alla considerazione che, da un lato, questi risultavano di particolare importanza e rilievo anche internazionale e, dall’altro, che le società protagoniste dell’operazione di trasferimento, concordando che da una certa data sarebbero maturate a favore della conferitaria le royalties, di fatto trasferivano alla società che acquisiva il marchio la complessa struttura organizzativa che avrebbe curato la gestione degli stessi.
In merito, i Supremi giudici hanno rilevato che tali circostanze non incidono sulle naturali conseguenze economiche del trasferimento del marchio, anche nella considerazione che nel ricorso non viene neanche menzionata la cessione della struttura organizzativa che ne avrebbe curato la gestione.

Concludendo, la Corte ha statuito che il conferimento del solo marchio non configura la fattispecie di cessione di ramo d’azienda, cioè di un complesso di beni finalizzato all’esercizio di impresa.
Non può, quindi, trovare applicazione la normativa Cee che esenta dall’imposta sui conferimenti le operazioni che hanno per oggetto la interezza del patrimonio aziendale o di rami di attività, nonostante si tratti di due marchi di particolare importanza e rilievo anche internazionale.


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