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Giurisprudenza

Per chi produce fatture false l'onere di fornire prove vere

Non basta alla cartiera che "disconosce" i documenti fittizi la presentazione di una querela di falso

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Se una "cartiera" dichiara che le fatture emesse sono false, addebitandone la concreta redazione ad altri soggetti, incombe su di essa l'onere di provare la propria estraneità ai fatti, essendo insufficiente la mera presentazione di una querela di falso. Questa è quanto espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 7314, depositata lo scorso 29 marzo.

Il fatto
L'ufficio notificava a una Sas un avviso di accertamento che traeva origine da un processo verbale di constatazione redatto della Guardia di finanza, concernente una verifica fiscale eseguita nei confronti di una società terza, presso la quale erano state ritrovate fatture relative a operazioni inesistenti, risultate emesse dalla citata società in accomandita semplice.
In particolare, l'ufficio recuperava a tassazione i ricavi documentati dalle fatture ritrovate e irrogava le sanzioni previste sia per la mancata istituzione e tenuta dei libri contabili, che per l'omessa presentazione della dichiarazione annuale.

In buona sostanza, veniva imputato alla società ricorrente di avere emesso fatture afferenti a operazione inesistenti nei confronti di un società terza e, quindi, di essere una vera e propria "cartiera" costituita al solo scopo di "produrre fatture".
La Sas presentava ricorso con il quale, sebbene non negasse l'esistenza di dette fatture, ne addebitava la concreta redazione ad altri soggetti a essa estranei.
Inoltre, la stessa società dichiarava che, di fatto, non aveva mai operato e che, per di più, aveva presentato una querela di falso nei confronti di coloro che riteneva avessero redatto le fatture in argomento.

Il ricorso era accolto e, successivamente, anche la Commissione tributaria regionale confermava la sentenza di primo grado.
L'Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione denunciando omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, contraddittorietà per travisamento dei fatti, nonché violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile.
In particolare, l'ufficio lamentava l'erroneità della ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo la quale, nel caso di specie, ricadeva sull'ufficio l'onere della prova, non potendosi richiedere alla società contribuente "la dimostrazione della propria estraneità ai fatti derivanti da atti rilevanti presso terzi".

La pronuncia della Cassazione
Tanto premesso, la Corte di cassazione, con la sentenza in rassegna, ha accolto il ricorso dell'ufficio, dichiarando che incombeva sulla società ricorrente l'onere di provare la propria estraneità ai fatti, considerato che "non poteva bastare allo scopo, in assenza di altri affidabili elementi probatori, la mera presentazione di una querela di falso nei confronti di colui al quale la società intimata affermava di attribuire concretamente la redazione delle fatture".
Né, per di più, poteva aveva rilievo la pretesa "non operatività" della società ricorrente, in quanto ciò, diversamente da quanto asserito dalla stessa Sas, confermava maggiormente la sua qualità di mera "cartiera", costituita al solo scopo di "produrre fatture".

I giudici di legittimità proseguono affermando, sulla scia di quanto già sostenuto dalla suprema Corte, che l'Amministrazione finanziaria è legittimata anche a utilizzare elementi acquisiti nell'ambito di procedure riguardanti terzi soggetti. (cfr Cassazione n. 9100/2001; Cassazione n. 24967/2005).
Ciò trova sostegno nel fatto che l'articolo 54 del Dpr 633/72 abilita l'ufficio a procedere alla rettifica sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in suo possesso, anche quando si tratti di "verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti", non violando, perciò, le disposizioni che regolano l'accertamento o il principio del contraddittorio.

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