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Giurisprudenza

Ciliegie e uva in abbondanza.
Anche l’annata buona non fa miracoli

Una raccolta dai risultati improbabili trasferisce sul contribuente l’onere di provare che la quantità di frutta comperata è compatibile con le potenzialità produttive del venditore

ciliegie
Anche in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo utilizzando presunzioni gravi, precise e concordanti, e determinando l’onere della prova a carico del contribuente in merito all’insussistenza di operazioni imponibili (acquisto di ciliegie e uve da tavola) delle quali l’Amministrazione finanziaria contesti la natura fittizia (tali prodotti agricoli risultavano essere stati ceduti per quantità decisamente maggiori rispetto alla produttività media per ettaro dell’impresa agricola venditrice).
Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 24437 del 30 ottobre.
 
I fatti
Con distinti avvisi di accertamento emessi per l’anno di imposta 2003 nei confronti di una società in nome collettivo e dei soci per il conseguente reddito di partecipazione (secondo la percentuale della quota rispettivamente posseduta), l’Agenzia delle Entrate ha determinato il maggior valore della produzione ai fini Irap e l’ammontare dell’Iva indebitamente dedotta perché relativa a fatture per operazioni inesistenti, calcolando le maggiori imposte (Irap, Iva, Irpef, addizionali regionale e comunale), oltre alle sanzioni e agli interessi.
In particolare, era stato accertato che la società aveva utilizzato fatture passive concernenti falsi acquisti di ciliegie e di uve da tavola e aveva contabilizzato elementi negativi di reddito fittizi, ai fini, per un verso, della deduzione di costi dal valore della produzione ai fini Irap e, per altro verso, della detrazione dell’Iva addebitata nelle fatture di vendita.
 
I giudici di primo grado hanno accolto i ricorsi riuniti di società e soci, ritenendo che la pretesa fiscale non era provata, in quanto le presunzioni poste a base dell’accertamento erano semplici e non gravi, precise e concordanti.
Anche in secondo grado, i contribuenti hanno avuto la meglio: la Commissione tributaria regionale, infatti, ha confermato la decisione di prime cure, ritenendo che l’inesistenza degli acquisti non appariva dimostrata neanche in via induttiva, poiché l’atto impositivo era fondato su un fatto ignoto (l’impossibilità dell’acquisto di prodotti agricoli come ciliegie e uva) cui si giungeva avendo preso le mosse da un fatto anch’esso ignoto (l’insufficiente produttività dei terreni sulla base di stime, pareri e rilievi statistici, neanche riferiti al medesimo anno di accertamento).
 
L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando:
  • violazione e falsa applicazione dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, in quanto le presunzioni valorizzate dall’ufficio erano fondate su elementi gravi, precisi e concordanti
  • insufficiente motivazione su un punto decisivo controverso, avendo la sentenza di secondo grado escluso che la quantità di ciliegie e di uva venduta dalla società eccedeva di gran lunga la produttività media per ettaro dei terreni messi a coltura.
La Corte ha accolto il ricorso e, dopo aver richiamato il proprio consolidato orientamento in tema di presunzioni semplici, ha affermato che “… la sentenza impugnata non ha posto in relazione due fatti, per escluderne l’inferenza logica, bensì due valutazioni, ossia la valutazione d’impossibilità dell’acquisto dei prodotti agricoli e la valutazione d’insufficiente produttività…”.
 
Osservazioni
In tema di presunzioni semplici, la Corte ribadisce il criterio secondo cui le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono consentire di fare apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto (Cassazione, sentenze 6220/2005 e 9784/2010). Secondo regole di esperienza convincenti, anche se con qualche margine di opinabilità, deve cioè potersi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti.
Il meccanismo della presunzione, quindi, è correttamente applicato se viene imposto o giustificato un giudizio di certezza su un fatto rilevante ai fini del decidere, facendolo derivare non già dalla prova dello stesso fatto, bensì dal giudizio di esistenza di un altro e distinto fatto.
 
Nella fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, la sentenza di secondo grado non ha considerato e valutato i fatti acquisiti in giudizio e idonei a provare l’asserita fittizietà delle operazioni e cioè:
  • quanto alla produzione di ciliegie, il numero di alberi da frutto, l’epoca in cui sono stati piantati, la loro età e la densità dell’impianto
  • quanto alla produzione di uve da tavola, l’estensione dei terreni coltivati a vigneto e la densità di piantagione.
E la mancanza di valutazione degli elementi di prova forniti dall’Agenzia non può essere giustificata dalla circostanza che l’ufficio non ha contestato l’entità dei ricavi e delle rimanenze della società contribuente al fine di rafforzare l’assunto della fatturazione, da parte della stessa società, di acquisti di merci mai vendute da parte di un’altra impresa agricola. Ciò in quanto è noto che la contabilizzazione di fatture relative ad acquisti inesistenti rileva per i suoi vantaggi fiscali in quanto: da una parte, consente il diritto di detrazione dell’Iva addebitata alla Snc nelle fatture di vendita (delle ciliegie e delle uve da tavola) emesse dall’impresa agricola fornitrice; dall’altra, riduce la base imponibile dell’Irap, data dalla differenza fra il valore e i costi della produzione (articolo 2425, lettere a) e b), del codice civile).
 
Né l’omesso esame può essere motivato dalla presenza di una contabilità formalmente regolare.
Al riguardo, la Corte ha osservato che l’ufficio finanziario può utilizzare il metodo di accertamento analitico-induttivo per rettificare i singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo (ex articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973), pure in presenza di contabilità formalmente regolare (Cassazione, sentenze 26919/2006 e 20857/2007).
La disposizione dell’articolo 39 citato, infatti, presuppone scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata e, di conseguenza, che facciano concludere per l’insussistenza delle operazioni imponibili contestate per la loro natura fittizia dall’Amministrazione: sempre però che il contribuente non fornisca idonea prova contraria (Cassazione, sentenza 22173/2008). Sarà il giudice del rinvio a compiere gli accertamenti omessi nella sentenza sottoposta al vaglio della Corte.
 
Non senza tener conto che gli stessi giudici di piazza Cavour, nella decisione assunta nei gradi di merito in una fattispecie analoga e con riferimento all’aliquota di produttività di piante di ciliegio e di uva da tavola, hanno ritenuto fittizia, proprio per l’inidoneità dei terreni a produrre notevoli quantità di tali prodotti agricoli, l’eccessiva produzione di ciliegie e di uve da tavola oggetto delle fatture di acquisto (Cassazione, sentenza 5860/2013).
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