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Giurisprudenza

Circoli culturali, l’esenzione non entra in “ballo”

I giudici delimitano le attività riconducibili alle finalità istituzionali dell’ente

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L’organizzazione di serate danzanti e l’attività di bar – caffè, con somministrazione di bevande ai propri associati, effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali di un circolo culturale. Le descritte attività hanno natura commerciale, con conseguente assoggettamento dei proventi a imposizione fiscale, sia ai fini Iva, che delle imposte dirette. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 7953 del 30 marzo 2007.

La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva considerato imponibile ai fini dell’Iva e delle imposte dirette, sia l’attività di somministrazione di alimenti e bevande che quella di organizzazione di serate danzanti, esercitata all’interno dei locali di un circolo culturale.
L’adita Ctp accoglieva il ricorso presentato dal suddetto ente, con sentenza che veniva confermata dalla Ctr.
L’Agenzia delle entrate ha presentato ricorso per cassazione censurando la sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione degli articoli 148 del Tuir e 4 del Dpr n. 633/1972.

Per comprendere meglio la questione, è necessario esaminare brevemente il comma 3 dell’articolo 148, concernente gli “enti di tipo associativo”.
Va subito precisato che la norma opera una deroga alla regola generale espressa nel comma 2 dello stesso articolo 148, secondo il quale sono sempre considerate commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese agli associati e partecipanti verso corrispettivi specifici, ancorché si tratti di attività conformi alle finalità istituzionali (salvo quelle prestazioni di servizio non rientranti nell’articolo 2195 cc, che nel realizzare le finalità istituzionali dell’ente di tipo associativo, siano effettuate senza specifica organizzazione di tipo imprenditoriale e verso pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione - in altri termini, non deve derivare per l’ente alcun guadagno).

In particolare, il comma 3 prevede un regime agevolativo e, quindi, “non considera commerciali” le attività poste in essere da determinate associazioni, tassativamente indicate (definite “enti associativi agevolati”, quali, ad esempio, le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali e culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra – scolastica della persona), verso pagamento di corrispettivi specifici, a condizione che siano eseguite “in diretta attuazione degli scopi istituzionali” ed effettuate nei confronti degli associati.

Tale regime agevolativo, dunque, si rende applicabile qualora sussistano congiuntamente i seguenti presupposti:

 

  • le attività agevolative devono essere effettuate da particolari tipologie di associazioni
  • le cessioni di beni e le prestazioni di servizi devono essere rese nei confronti dei propri iscritti, associati o partecipanti anche di altre analoghe associazioni, che svolgono la medesima attività, riconducibili a un unica organizzazione nazionale e dei rispettivi iscritti associati o partecipanti
  • le stesse attività devono essere effettuate “in diretta attuazione degli scopi istituzionali”.

A tal proposito, va sottolineato che, per inquadrare un ente nell’ambito della tipologia associativa sopra indicata, è necessario che l’associazione stessa sia preventivamente qualificata come ente non commerciale sulla base dell’oggetto principale dell’attività, intesa come attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari dell’ente.
Al riguardo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 467 del 19/11/1992, ha precisato che, poiché la riconducibilità di un ente in una delle tipologie associative indicate nel comma 3 dell’articolo 148 del Tuir comporta la possibilità di fruire di un trattamento tributario di favore, al fine di evitare che sia l’associazione “arbitra della propria tassabilità”, va verificata la natura e la caratteristica della stessa, in mancanza di specifici e manifesti riconoscimenti, sulla base di criteri obiettivi che qualificano nell’ordinamento le finalità, culturali, politiche, sindacali, di categorie, religiose, eccetera.
In buona sostanza, per la Corte costituzionale, è insufficiente una autoqualificazione dell’ente sulla base della sola definizione statuaria, essendo, invece, necessaria una valutazione della reale natura dell’ente e dell’attività in concreto esercitata, alla stregua di obiettivi criteri desumibili dall’insieme delle norme dell’ordinamento.
Nella stessa sentenza n. 467/92 è stato chiarito, poi, che l’attività svolta “in diretta attuazione degli scopi istituzionali” non è quella genericamente rientrante fra le finalità istituzionali dell’ente, in quanto il legislatore subordina l’applicazione del regime di favore alla circostanza che l’anzidetta attività costituisca il naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano ciascun ente associativo.

Infine, il successivo comma 4 dello stesso articolo 148, indipendentemente dalle prescrizioni del menzionato comma 3, individua tassativamente alcune attività di cui si presume, in ogni caso, la commercialità. Queste attività (quali somministrazione di pasti erogazione di acqua, gas, energia elettrica e vapore, prestazione alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito, prestazioni di servizi portuali e aeroportuali, pubblicità commerciale, telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari, gestione di fiere ed esportazioni a carattere commerciale, eccetera) non possono godere della disciplina prevista per gli enti associativi agevolati, applicandosi, invece, quella dettata dai primi due commi dell’articolo 148 del Tuir.

Si rammenta, in ultimo, che anche in materia Iva valgono le stesse disposizioni sopra richiamate, le quali sono integralmente riprodotte dal quarto e quinto comma dell’articolo 4 del Dpr 633/1972.

Tanto precisato, la Cassazione, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate, affermando sostanzialmente che l’attività di bar, con mescita di bevande ai propri associati e l’organizzazione di serate danzanti non costituiscono adempimento di “finalità istituzionali” di un circolo culturale e, quindi, hanno natura commerciale, con conseguente assoggettamento dei proventi a imposizione fiscale, sia ai fini Iva che delle imposte dirette (cfrcfr. Cassazione, sentenze nn. 20073/2005, 6340/2002, 6338/2002, 3850/2000).

Per completezza espositiva, si fa presente che l’Amministrazione finanziaria, con la circolare ministeriale n. 124/E del 12/05/1998, ha riconosciuto non commerciale l’attività di somministrazione di alimenti e bevande esclusivamente a favore delle associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287 (cioè gli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal ministero dell’Interno), e sempreché ricorrano le seguenti condizioni:

  1. l’attività deve essere effettuata da bar ed esercizi similari presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale
  2. l’attività deve essere svolta nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti anche di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali
  3. deve trattarsi di attività strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali (cfr articoli 4, comma 6, del Dpr n. 633/1972, e 148, comma 5, del Tuir).

Pertanto, deve ritenersi che l’espressa previsione di non commercialità nei confronti esclusivamente delle associazioni di promozione sociale confermi “per tutti gli altri enti di tipo associativo” l’orientamento già espresso dall’Amministrazione finanziaria (cfr circolare ministeriale n. 188/E del 16/7/1998), in base al quale deve essere considerata commerciale l’attività di somministrazione di alimenti o bevande nei bar interni ai circoli associativi, anche se svolta nei confronti dei propri associati.

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