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Giurisprudenza

Classamento dell’immobile contestabile Ma con prove documentali

Il contribuente non può limitarsi a generiche contestazioni o a un confronto con altri fabbricati situati nella stessa zona censuaria

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Con la sentenza n. 21725, depositata in data 11/10/2006, la Cassazione si è pronunciata in materia di “classificazione catastale” di un bene immobile, affermando che se il contribuente impugna il provvedimento che attribuisce a un’unità immobiliare la classe e la categoria, egli non può limitarsi a una generica contestazione della classificazione adottata, ma deve fornire adeguate prove documentali comprovanti la diversa classificazione del bene.
Nel caso di specie, il contribuente ha chiesto di cassare la sentenza della Ctr che aveva respinto il suo gravame contro la decisione della Commissione tributaria provinciale, la quale aveva ritenuto infondato il ricorso avverso gli avvisi con cui il Comune aveva liquidato l’Ici, in forza del “classamento della categoria catastale” su presunti valori attribuiti dall’Agenzia del territorio.

Più specificatamente, per il ricorrente, l’attribuzione della categoria “A2, classe 2” all’immobile di sua proprietà, si configurava priva di giustificazione, non solo in quanto l’unità immobiliare era stata realizzata da una cooperativa in un’area di edilizia economica e popolare (terreno facente parte di un’area destinata a edilizia residenziale compresa nel Peep, e come tale recante tutte le caratteristiche previste per questa peculiare tipologia), ma anche in considerazione delle particolari caratteristiche dell’abitazione, dotata di finiture semplici e costruita in economia con materiali di modesta qualità.

Le ragioni poste alla base della sentenza in esame, meritano un preventivo, seppur breve, esame della normativa di riferimento.
In materia di rendite catastali, la normativa di riferimento è costituita dal Dpr n. 1142/1949 (“Approvazione del regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano”).
Secondo l'articolo 3 del citato regolamento, “le operazioni relative alla formazione del nuovo catasto edilizio urbano consistono nell'accertare l' ubicazione, la consistenza e la rendita catastale quale è definita dalla legge n. 514 del 8.4.1948, delle unità immobiliari urbane esistenti nel territorio nazionale, nonché i nominativi delle persone fisiche e giuridiche che su di esse hanno diritto di proprietà, di condominio e di quelle che sulle unità stesse hanno diritti reali di godimento”.

L’articolo 6, prevede che “la qualificazione consiste nel distinguere per ciascuna zona censuaria, con riferimento alle unità immobiliari urbane in essa esistenti, le loro varie categorie, ossia le specie essenzialmente differenti per le caratteristiche intrinseche che determinano la destinazione ordinaria e permanente delle unità immobiliari stesse. La denominazione delle categorie è uniforme nelle diverse zone censuarie”.
Per l’articolo 7, comma 1, dello stesso regolamento, la classificazione consiste nel suddividere ogni categoria in tante classi quanti sono i diversi gradi delle rispettive capacità di reddito, tenuto conto delle condizioni influenti sulla rendita catastale, riferita all'unità di consistenza.

Inoltre, occorre sottolineare che i fabbricati contemplati dalla normativa sull’edilizia economica e popolare sono quelli costruiti per mettere a disposizione dei cittadini meno abbienti abitazioni di tipo economico e popolare e, per ciò stesso, non rientranti nella categoria “A2” propria delle abitazioni di tipo civile, ma necessariamente nella categoria “A3”, abitazioni di tipo economico.
Invero, la legislazione sull’edilizia popolare contiene varie disposizioni relative alla composizione degli alloggi, allo scopo di garantire che siano poste in essere costruzioni che forniscano ai meno abbienti un alloggio che sia decoroso e corrispondente alle esigenze in genere dei destinatari, ma senza sconfinare nell’edilizia di lusso; ciò vale anche a contenere la spesa da parte degli enti costruttori e di quelli sovventori, consentendo, quindi, di realizzare un maggior numero di immobili.

Tanto precisato, la Cassazione, con la sentenza in rassegna, ha respinto il ricorso presentato dal contribuente, ritenendo che la categoria attribuita dall’ufficio, a seguito delle risultanze del sopralluogo effettuato (“A2, classe 2”), doveva ritenersi corrispondente alle caratteristiche proprie dell’immobile, oggetto di classamento, attesa la mancanza di alcuna prova contraria, tale da giustificare il richiesto classamento nella diversa categoria (“A3, classe 1”).

In particolare, con la pronuncia in esame, è stato puntualizzato quanto segue:

  • in tema di controversie tributarie, concernenti la classificazione catastale di un’unità immobiliare, la circostanza che un immobile sia stato realizzato mediante finanziamenti pubblici per l’edilizia economica e popolare non assume nessun rilievo determinante ed esclusivo ai fini della relativa collocazione nella categoria “economica popolare”, in quanto, da un canto, le caratteristiche di un immobile a fini catastali attengono soprattutto a uno stato di fatto che è, come tale, indipendente dalle finalità del finanziamento pubblico (la cui utilizzazione ben può risultare in concreto difforme dagli scopi per i quali esso sia stato concesso), e, dall’altro, non vi è necessariamente corrispondenza tra la classificazione catastale ai fini dell’attribuzione della rendita e la qualificazione ai fini della normativa sull’edilizia popolare ed economica
  • la circostanza che l’immobile sia stato realizzato da una cooperativa in un’area di edilizia economica e popolare, non costituisce assolutamente prova che detta unità possegga le caratteristiche proprie della peculiare tipologia della categoria “economica popolare”.

La Corte ha, inoltre, ritenuto che, in mancanza di un’adeguata prova, è ininfluente che il ricorrente indichi, a sua difesa, i termini di confronto comparativo rappresentati da altri immobili situati nella stessa zona censuaria, cui fa riferimento l’articolo 75, commi 1 e 2, del citato Dpr 1142/1949, in quanto detto articolo esaurisce i suoi effetti nell’ambito delle valutazioni probatorie; pertanto, in presenza di circostanze inconfutabili che connotino le caratteristiche del bene immobile, si può prescindere dall’attività comparativa del contribuente con l’indicazione di immobili similari (cfr Cassazione, sentenza. n. 12446 del 7/7/2004; Cassazione, sentenza n. 5625 del 10/04/2003).

Sul punto, va precisato che l’articolo 75 sopra citato, prevede che “i reclami sull’applicazione della categoria e della classe devono indicare le unità immobiliari della stessa zona censuaria che risultino, nei confronti con quella del ricorrente, collocate in una categoria o in una classe diversa quantunque abbiano la stessa destinazione ordinaria e le stesse caratteristiche. In mancanza di tali indicazioni il ricorso non può essere esaminato”.

Per i giudici, in definitiva, l’indicazione delle unità omogenee, cui fa riferimento la norma, non rappresenta un presupposto processuale, ma esaurisce i suoi effetti sotto il profilo meramente istruttorio, in quanto rappresenta “un mero parametro di riferimento utilizzabile ai fini della formazione del convincimento del giudice adito, il quale può però attingere ad ogni altro elemento acquisito agli atti di causa”.
In altri termini, il raffronto con altri immobili similari costituisce un valido supporto probatorio affinché il giudice possa decidere sul ricorso contro l’avviso di accertamento catastale, ma non impedisce allo stesso giudice di procedere a una differente classificazione dell’immobile in relazione agli immobili addotti in via comparativa, “in presenza di altre prove documentali comprovanti la natura e le caratteristiche del bene che impongono una differente classificazione rispetto a quelli indicati in comparazione”.

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