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Giurisprudenza

Le clausole devono essere interpretate
nel complesso, non singolarmente

Nè, afferma la Cassazione accogliendo il ricorso dell’Agenzia, può essere data prevalenza al criterio residuale del “comportamento successivo” delle parti, in assenza di specifiche giustificazioni

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Ai fini dell’imponibilità a Iva di cessioni di resine e preforme effettuate nell’ambito di una complessa fattispecie negoziale, la ricerca della comune volontà delle parti deve essere effettuata nel rispetto dei criteri di interpretazione letterale e sistematica delle clausole contrattuali e seguendo, anche con riferimento alla clausola take or pay, la regola secondo la quale le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre e non isolatamente. Né, violando la gerarchia dei criteri interpretativi dei contratti, può essere data prevalenza al criterio residuale del “comportamento successivo” delle parti, in assenza di specifiche giustificazioni. Queste le conclusioni della Cassazione nelle sentenze n. 9655, n. 9656 e n. 9658 emesse l’11 aprile 2023 nei confronti delle stesse parti e con rifermento ad analoghi rapporti commerciali.

I fatti
Con avvisi di accertamento emessi per gli anni d’imposta 2000, 2006 e 2007, a seguito di un’attenta disamina delle condizioni contrattuali regolanti la complessa operazione negoziale, l’Agenzia delle entrate ha contestato a una Società per azoni l’imponibilità delle cessioni effettuate con intervento di quattro soggetti e almeno quattro passaggi, in difetto dei presupposti richiesti, per qualificarle “triangolari”, dagli articoli 8, comma 1, Dpr n. 633/1972 (cessioni extracomunitarie), e 41, comma1, Dl n. 331/1993 (cessioni intracomunitarie), e delle somme versate in adempimento della clausola contrattuale take or pay, qualificate dall’ufficio come acconto prezzo.

In particolare, una società americana, avendo interesse alla creazione in Italia di un impianto industriale per la produzione di resine e preforme (forme primarie per contenitori di bibite) con cui rifornire le aziende sparse sul territorio europeo che imbottigliano i suoi prodotti (o, comunque, i prodotti di altra ditta americana consociata), assieme ad altri sponsor dell’iniziativa, ha ottenuto un finanziamento bancario per costituire una Spa ad hoc che avrebbe prodotto resine e preforme. Tale società è la contribuente, parte della vicenda in esame.
I rapporti commerciali fra società americana, sponsor e società produttrice sono regolati da numerosi contratti, costituenti un’unica, complessa fattispecie negoziale, denominata “big deal”, le cui pattuizioni salienti consistono nelle seguenti obbligazioni:

  1. la contribuente, produttrice nella catena commerciale, si impegna a vendere e la società americana e gli altri sponsor s’impegnano ad acquistare, per anno, la quasi totalità dei prodotti (Sale and purchase agreement o Offtake del 12 gennaio 1995). La società americana diventa proprietaria della merce presso i locali della Spa venditrice secondo la clausola “franco fabbrica” e, dopo aver preso in consegna i beni presso i “punti” stabiliti (ovvero presso lo stabilimento di produzione o un magazzino della Spa che ha stabilimenti solo in Italia), a sua volta, li cede a una società, che diviene immediatamente proprietaria delle merci e, sempre presso i “punti vendita”, le ricede alla società americana, che, stavolta, con clausola franco destino, li trasferisce alle imprese addette all’imbottigliamento, cosiddette bottlers, operative entro e fuori l’Unione europea
  2. in forza di successivi contratti stipulati l’11 ottobre 1997 (Performs and SSP nomination agreement e Sale Agreement) e nel 1998, nell’impegno di acquisto esistente tra la società americana e la contribuente subentrano altre società italiane che si occupano della successiva rivendita dei prodotti acquistati alla società americana. Quest’ultima si impegna, inoltre, ad acquistare la totalità dei prodotti della contribuente italiana sulla base della clausola take or pay, in virtù della quale la merce non ritirata viene ugualmente pagata alla produttrice. Tale schema contrattuale assicura, nel tempo, lo smaltimento dell’intera produzione della contribuente che, quindi, viene messa in grado di restituire l’originario finanziamento alla banca inglese.


L’ufficio ha recuperato, di conseguenza, la maggiore Iva (oltre interessi e sanzioni):

  1. sulle cessioni della Società per azioni. trattandosi, a suo avviso, di operazioni di natura quadrangolare con inserimento della società americana nella catena delle vendite (Spa. – acquirente nazionale – società americana – bottlers) rispetto alle quali la contribuente avrebbe dovuto emettere le fatture nei confronti dell’acquirente americana, con applicazione dell’Iva
  2. sulle “note di debito” emesse dalla Spa in esecuzione della clausola take or pay, sussistendo l’obbligo, da parte dell’acquirente, di pagare in via anticipata un certo numero di prodotti, indipendentemente dal loro ritiro materiale.

La Società per azioni ha impugnato gli avvisi e i giudici di merito hanno accolto i ricorsi e confermato le sentenze di primo grado, ritenendo:

  1. non imponibili ai fini Iva le operazioni intracomunitarie ed extra poiché il trasferimento dei beni avveniva tra la Spa, la società acquirente e gli utilizzatori finali senza l’intermediazione della società americana, che interagiva con le parti (produttore, compratore nazionale e cliente straniero) solo per individuare gli utilizzatori stranieri che imbottigliavano i suoi prodotti e per garantire l'operatività della produttrice italiana con una copertura finanziaria dell'eventuale carenza di ordini
  2. non dovuta l’imposta sulle note di debito determinate dalla clausola del take or pay, trattandosi di versamenti riferiti al mancato acquisto. Tali importi costituivano cessioni di somme di denaro, escluse dall’ambito di applicazione dell’Iva, ex articolo 2 comma 3, lettera a), Dpr n.  633/1972, quali depositi cauzionali finalizzati a garantire comunque il pagamento dell’importo minimo contrattualmente previsto.

L’Agenzia ha proposto ricorsi per Cassazione, lamentando tra l’altro violazione di legge (articoli 1362 e 1363 cc) poiché il giudice d’appello aveva erroneamente interpretato la complessa fattispecie negoziale come triangolare (produttore - primo acquirente - imbottigliatore straniero), esente da Iva, anziché quadrangolare, per la presenza del quarto contraente operante sul territorio nazionale e, inoltre, aveva considerato “isolatamente” la clausola take or pay.
La Corte ha accolto i ricorsi e ha affermato che, a seconda che la società americana “sia o non sia inserita, con proprie obbligazioni contrattuali, nella catena delle vendite, l'operazione commerciale si conforma al modello quadrangolare…, con soggezione ad IVA delle vendite fatturate …e della ‘nota di debito’ emessa …in esecuzione della clausola Take or Pay; ovvero al modello triangolare…, …. esente da IVA; a patto che, in questa seconda ipotesi (modello triangolare), il movimento materiale delle merci avvenisse direttamente dallo stabilimento del produttore al destinatario finale estero o che, quanto meno, i rapporti contrattuali vigenti fra le parti autorizzino l’interprete a ritenere che la vendita era originariamente pattuita “in vista” della consegna al cliente straniero: condizioni necessarie per l'esenzione, secondo la giurisprudenza in materia» (Cassazione nn. 9655, 9656 e 9658 e, ivi, n. 4408/2018, nn. 9785 e 9786 del 2010 tra le stesse parti).

Le sentenze
I giudici di legittimità sono stati chiamati a valutare la correttezza dei criteri interpretativi adottati dal giudice di appello con riferimento alle clausole della complessa fattispecie negoziale sottostante alle operazioni riprese a tassazione.
Dopo aver affermato che “in tema di interpretazione del contratto, a norma dell’artt. 1363 c.c., secondo cui le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso risultante dal complesso dell'atto, il giudice non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del ‘senso letterale delle parole’, poiché anche questo va necessariamente riferito all'intero testo della dichiarazione negoziale, sicché le varie espressioni che in esso figurano vanno tra loro coordinate e ricondotte ad armonica unità e concordanza” (Cassazione, nn. 9655, 9656 e 9658 del 2023 e ivi n. 1877/2005, n. 2267/2018 tra le stesse parti), la Corte ha statuito che, nel caso in esame, il giudice di secondo grado aveva violato i canoni di interpretazione sistematica per ben due volte.

Una prima volta, in quanto si era soffermato soltanto su alcune delle clausole contrattuali dalle quali risultava la volontà della società americana di liberarsi dagli impegni di acquisto, senza valutarle in rapporto alle altre clausole dalle quali si evinceva, invece, che sebbene la contribuente fatturasse direttamente alla prima acquirente italiana, la società americana era comunque inserita nella catena contrattuale delle vendite. Da tali clausole, cioè, la società d’oltreoceano risultava essere prima cessionaria sul territorio nazionale (essendo le merci vendute franco fabbrica con consegna presso gli stabilimenti della società produttrice), e anteriormente all’invio della merce agli ultimi acquirenti esteri (bottlers).
In tal modo, pur avendo menzionato le clausole contrattuali sulle quali l'ufficio aveva fondato l’inserimento della società americana nella catena delle vendite, poi, in concreto, ne aveva trascurato il contenuto senza accertarne il significato, limitandosi a menzionarle in chiave descrittiva.
Di nuovo il giudice di secondo grado aveva violato la regola secondo cui “le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre” anche con riferimento alla clausola take or pay: il giudice, cioè, l’aveva considerata isolatamente, non compiendo un’adeguata indagine sul ruolo assunto dal soggetto tenuto al pagamento delle somme nell’ambito del complessivo rapporto contrattuale.

Infine, non corretto da parte del giudice di appello è stato anche il rilievo attribuito al comportamento “complessivo” delle parti successivamente alla conclusione del contratto, ex articolo 1362, comma 2, cc, (e concernente le modalità di organizzazione dei trasporti) senza aver giustificato l’adozione di tale criterio sussidiario con argomentazioni convincenti e idonee a dimostrare che il criterio letterale e del collegamento logico tra le varie clausole fossero inadeguati all'accertamento della comune volontà delle parti (Cassazione, n. 16022/2002 e n. 2267/2018).

Sarà il giudice del rinvio a effettuare un nuovo esame della vicenda relativa agli anni d’imposta 2006 e 2007 alla luce dei principi di interpretazione contrattuale indicati dalla Cassazione. Lo farà soprattutto tenendo conto della sentenza della Cassazione n. 9658/2023 nella quale, per il 2000, la Corte, adita dopo la pronuncia di rinvio, ha nuovamente chiesto un esame del giudice di secondo grado e ha ribadito la necessità di adottare sia il criterio di interpretazione sistematica delle clausole negoziali “in astratto rilevanti” (indicate dall’ufficio), sia la regola secondo la quale  “le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre” anche con riferimento alla clausola take or pay e, infine, ha ritenuto possibile utilizzare i criteri sussidiari d'interpretazione solo se sia stata dimostrata, dal giudice di merito, con argomentazioni convincenti, l’impossibilità (non la mera difficoltà) di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l'interpretazione letterale delle clausole negoziali.

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