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Giurisprudenza

L’e-commerce frequente e rilevante
rappresenta attività imprenditoriale

Vanno qualificate in tal modo le vendite effettuate su portali on line in virtù della consistenza quantitativa e qualitativa degli scambi, connotati dall’abitualità e professionalità

È legittimo l’avviso di accertamento basato sull’elenco delle operazioni commerciali fornite da un noto sito di commercio elettronico e riportate nel verbale della Guardia di finanza.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 26107 del 18 ottobre 2018, con la quale è stato respinto il ricorso di un contribuente che contestava la ricostruzione del giro di affari e-commerce, lamentando il difetto di motivazione dell’atto di accertamento.

La vicenda processuale
La vicenda trae origine dalla notifica di avvisi di accertamento con i quali, in seguito a processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, era emerso che il contribuente, non titolare di partita Iva, era registrato su siti dedicati alle compravendite on line e, con continuità nel tempo, aveva venduto beni senza adempiere alle prescrizioni imposte dalle disposizioni tributarie.
In particolare, nell’indicare gli elementi a sostegno degli atti impositivi, l’Amministrazione finanziaria faceva rinvio agli esiti degli accertamenti condotti dalla Guardia di finanza.

Il contribuente presentava ricorso deducendo la carenza di motivazione degli avvisi di accertamento, perché i processi verbali di constatazione, richiamati con rinvio per relationem, non recavano in allegato i tabulati acquisiti presso il gestore della piattaforma di e-commerce.
Nel merito, rilevava di non svolgere alcuna attività imprenditoriale, ma di essere un “privato cittadino che scambia, compra e/o vende gli oggetti che colleziona nella più assoluta carenza di mezzi e professionalità”.

La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’ufficio rigettando l’eccezione relativa al difetto di motivazione degli avvisi.
Nel merito acclarava che, per l’importo complessivo delle vendite effettuate e per l’elevato numero delle operazioni, non vi era dubbio che il ricorrente avesse svolto attività d’impresa commerciale con conseguenti obblighi fiscali.

Decisione della Corte di cassazione
Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, legge 212/2000, per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto motivati gli atti impositivi nonostante la mancata allegazione della documentazione, richiamata solo per relationem nel processo verbale, ma non allegata allo stesso.

La Corte di cassazione ha ritenuto infondato il ricorso, evidenziando che dalla sentenza e dagli atti impugnati risulta che “al verbale era stato allegato l’elenco delle operazioni trasmesse in file da eBay Europe sarl, e quindi riprodotto in uno schema redatto dalla Guardia di Finanza, con il dettaglio di ciascuna di esse (data, oggetto, importo, acquirente), mettendo così il contribuente in condizione di contestare - ma ciò la CTR ha accertato che non abbia fatto, essendosi limitato a negare genericamente di svolgere attività imprenditoriale - in modo specifico le singole operazioni”.
Ne consegue che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento può dirsi soddisfatto anche in assenza dell’allegazione dei documenti richiamati nel Pvc, purché, nel caso di accertamenti come quello in esame, il verbale riporti in dettaglio le operazioni avvenute sulla piattaforma di e-commerce (data, oggetto, importo, acquirente), in modo da consentire al contribuente di difendersi compiutamente.

I supremi giudici, nell’affermare la legittimità dell’attività accertativa, hanno ribadito il principio secondo cui «in tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza» (cfr Cassazione, 15327/2014, 9323/2017 e 28060/2017).

Si richiama la sentenza della Cassazione 28060/2017, nella quale è stato affermato che “l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza notificato o consegnato al contribuente; in tale prospettiva non v’è motivo di non riconoscere anche l’ammissibilità di una doppia motivazione per relationem laddove, come nella specie, anche il processo verbale di constatazione a sua volta faccia rimando a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente”.

Osservazioni
La Corte di cassazione, con l’ordinanza in commento, si è pronunciata, sotto il profilo motivazionale, sulla legittimità di un atto di accertamento, emesso sulla base di un processo verbale redatto nell’ambito di un’ampia indagine finalizzata all’acquisizione di dati di soggetti che utilizzano intensamente la piattaforma per la vendita on line e che svolgono una vera e propria attività imprenditoriale, omettendo di dichiarare i proventi e di effettuare tutti gli adempimenti previsti dalla legge.
In particolare, come è emerso nel caso in esame, l’attività effettuata su portali di vendita on line va qualificata come attività d’impresa in virtù della consistenza quantitativa e qualitativa degli scambi, connotati dall’abitualità e professionalità.

Difatti, l’articolo 55 del Tuir definisce “attività commerciali” quelle elencate nell’articolo 2195 del codice civile, che, se svolte per professione abituale, ancorché non esclusiva, costituiscono esercizio di impresa commerciale e producono, quindi, reddito d’impresa (cfr Cassazione, 267/1973, 3690/1986, 8193/1997, 27211/2006 e 13509/2013).
Ai fini dell’applicabilità dell’articolo 55, la Corte di cassazione (sentenza 27211/2006) si è espressa manifestando il seguente orientamento: “La nozione tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, giacché l’articolo 51 del Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’articolo 2195 del Codice Civile, anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici”.

Nel caso esaminato, i giudici hanno ribadito che la riconducibilità della cessione di un bene all’esercizio di un’attività di commercio posta in essere nell’esercizio abituale e professionale di un’impresa va valutata in concreto.
Invero, nel panorama delle vendite/aste on line, risulta spesso di non facile soluzione il confine tra le figure del “collezionista”, del “commerciante occasionale” o del “mercante d’arte” che, come nei casi riscontrati, pone in essere attività di compravendita di beni in via professionale e abituale.

Al riguardo, nell’ambito di un accertamento come quello dell’ordinanza in commento, in cui il contribuente invoca la natura occasionale e per finalità non lucrative delle vendite, si cita la recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Vicenza (n. 390/2018), che ha rigettato il ricorso di un contribuente, il quale ha asserito che, per problemi di liquidità, aveva iniziato a vendere il suo patrimonio, senza alcun fine speculativo.
In tale caso, la Commissione ha evidenziato che si trattava di vendite di ammontare elevato per le quali mancava l’elemento dell’occasionalità; inoltre, il contribuente era stato in passato gallerista e nella verifica effettuata sono state trovate altre opere d’arte (conforme, Ctr Venezia sentenza 865/4/2017).

In linea con le citate pronunce, la Commissione tributaria regionale di Venezia (sentenza 1729/2015) ha affermato che “comprensibile è l’iter logico giuridico seguito dall’ufficio che, alla luce della documentazione raccolta, ha ritenuto attendibile l’elenco delle transazioni effettuate dal contribuente così come fornito da e-Bay e ha confermato l’accertamento dell’Ufficio ritendo configurarsi un’attività ‘commerciale’ non occasionale, vista la frequenza e considerata la numerosità delle inserzioni e delle transazioni”.
In tale caso, la Commissione ha rigettato la linea difensiva del contribuente secondo cui l’ufficio non avrebbe fatto ulteriori accertamenti sulle operazioni bancarie, essendo noto che i pagamenti per acquisti “fatti in rete, quindi anche con e-bay vengono effettuati con strumenti elettronici, quindi con operazioni la cui tracciabilità non può sfuggire”.
Sul punto, il Collegio ha ritenuto che il contribuente poteva esibire le movimentazioni finanziarie, anche su supporto elettronico, per provare la veridicità dei risultati delle vendite effettive.
 
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