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Giurisprudenza

Commercialista “dal visto facile”:
paga la dichiarazione fraudolenta

Secondo il collegio di legittimità si configura il reato del professionista, a prescindere dalla circostanza che egli tragga o meno un beneficio dalla condotta criminosa

commercialista

Per la Corte di cassazione, l'invio telematico di false dichiarazioni Iva da parte del commercialista, il quale ometta qualsiasi controllo su di esse e apponga un visto mendace, rappresenta una condotta sintomatica del contributo del professionista all'illecito fiscale del contribuente, rilevante ex art. 3 del Dlgs n.74/2000.
Questi i contenuti della pronuncia n. 26089, del 16 settembre scorso.
 
Fatti e processo
Il Tribunale del riesame di Cosenza confermava il decreto emesso dal Gip presso il Tribunale di Paola, con il quale, nell'ambito di un articolato procedimento penale a carico di una pluralità di indagati, era stato disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di beni immobili, beni mobili registrati e disponibilità finanziarie, fino alla concorrenza di una rilevante somma, ritenuta corrispondente al profitto dei reati di cui agli articoli 3 e 10-quater, comma 2, del Dlgs n. 74/2000.
I delitti in questione venivano contestati, tra gli altri, anche al commercialista di una serie di società, riconducibili ad altri coindagati del procedimento in questione.
 
Ricorso per cassazione
Il professionista proponeva, quindi, ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi di diritto.
Il fiscalista, in sintesi, lamentava la contestazione dell'articolo 3 del Dlgs n. 74/2000, ossia del reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, pur in mancanza dell'elemento costitutivo della falsa rappresentazione delle scritture contabili.
Nel caso di specie, infatti, essendo le condotte contestate risalenti al più tardi al 2014, trovava applicazione il citato articolo 3 prima della modifica operata dal Dlgs n. 158/2015, per cui sarebbe stato necessario verificare, da parte dei giudici di merito:

  1. l'esistenza della falsa rappresentazione delle scritture contabili
  2. la circostanza che il soggetto attivo si avvalesse di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento di queste falsità
  3. l'indicazione, in una delle dichiarazioni annuali sulle imposte, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi.  

Solo con la riforma del 2015, continuava il ricorrente, la struttura del reato era divenuta bifasica, non essendo più richiesta la falsa rappresentazione delle scritture contabili, elemento questo la cui verifica, stante il tempus commisi delicti, sarebbe stata invece indispensabile nel caso in esame.
Inoltre, il professionista lamentava che, nell'ordinanza impugnata, non fosse stata illustrata l'esistenza di puntuali elementi sintomatici, in base ai quali poter affermare che l'azione o l'omissione del concorrente avesse esorbitato dalla dimensione meramente colposa, per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa compartecipazione.
 
Decisione della Cassazione
Secondo la Cassazione, i motivi di ricorso sono da rigettare.
La Corte rileva, anzitutto, come sia dalle attività investigative svolte dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Cosenza sia dagli accertamenti compiuti dal consulente Pm, emergesse la costituzione di un meccanismo fraudolento in cui erano coinvolte molte società – riconducibili ai medesimi soggetti – le cui sedi si rivelavano quasi tutte inesistenti.
Quanto precede, strideva con il fatto che tali società avevano rappresentato, nelle dichiarazioni Iva, rilevanti crediti di imposta, che, infatti, da successivi controlli risultavano essere privi di alcuna giustificazione.
Un ruolo di primo piano nella pianificazione e nell'attuazione delle attività illecite veniva riconosciuto in capo al gestore di fatto della gran parte delle società coinvolte, occupandosi, lo stesso, di impartire disposizioni e di coordinare le operazioni illecite riconducibili alle varie compagini societarie che, pur avendo sede in varie regioni d'Italia, avevano la loro base operativa in Calabria.
 
Condotta concorrente del commercialista
Quanto alla posizione del fiscalista – osserva la Cassazione – il professionsita, come argomentato nell'ordinanza impugnata, aveva fornito un apprezzabile contributo al compimento delle attività illecite, avendo il suo studio provveduto all'invio telematico delle false dichiarazioni Iva, apponendovi un visto di conformità di sicuro mendace, in quanto il commercialista incaricato aveva omesso qualsivoglia controllo, non trattenendo peraltro copia della documentazione contabile.
Da qui, la coerente configurabilità del reato di cui all'articolo 3, Dlgs n. 74/2000, essendo ragionevolmente ravvisabile, nel caso in commento, un'infedele asseverazione dei dati, senz'altro qualificabile come mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l'accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria dopo che erano stati indicati nelle dichiarazioni Iva elementi attivi per un importo inferiore a quello reale ed elementi passivi fittizi.
 
Modifica ex Dlgs n. 158/2015
Neanche giova al ricorrente, a parere del Collegio di legittimità, richiamare il novum normativo.
Infatti, la riforma del 2015 ha parzialmente modificato la struttura del reato, richiedendosi, in precedenza, che le dichiarazioni fraudolente avvenissero “sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”.
In questo senso – va aggiunto in questa sede – la dottrina tendeva a configurare il reato in questione come reato proprio, ossia commissibile solo dal contribuente, tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi, pur se la norma contenesse l'inciso “chiunque”, tipico dei reati comuni. Tuttavia, osserva la Corte, è altrettanto innegabile che, nel caso di specie, pur a voler riferire tutte le condotte contestate alla versione originaria dell'articolo 3, la rilevanza penale dei fatti non appare suscettibile di essere messa in discussione, poiché le dichiarazioni fraudolente in oggetto, al pari delle indebite compensazioni contestate, si fondavano tutte su una mendace esposizione di dati economici nei bilanci e nelle scritture contabili delle società, il che consente – in definitiva – di superare le obiezioni difensive circa la configurabilità del reato contestato.

Infine, chiosa la Cassazione, sicuramente non può escludersi l'elemento soggettivo del dolo nei fatti in questione, alla luce degli stretti rapporti tra consulente fiscale e gestore del sodalizio criminale e la continuità dell'assistenza tributaria, svoltasi per un periodo di tempo non certo breve.

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