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Giurisprudenza

Il committente dichiara il falso?
L’appaltatore ne è responsabile

Non può sostenere che, avendo costruito soltanto i manufatti in cemento senza le finiture, non poteva accorgersi che gli alloggi erano di lusso e non fruivano dell’Iva agevolata

pinocchio
Con nuovo orientamento, la Corte di cassazione ha stabilito che, se la costruzione è stata falsamente denunciata come immobile non di lusso dal committente, l’appaltatore dell’opera, che ha applicato l’Iva al 4%, deve comunque versare all’erario la maggiore imposta dovuta e non può invocare il fatto che non era l’esecutore materiale delle finiture.
Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza 3291 del 2 marzo.
 
Il fatto
La vicenda riguarda una società esercente attività edilizia alla quale era stata commissionata la costruzione di una serie di edifici residenziali. Il committente aveva però dichiarato, con apposita liberatoria, che gli immobili non erano di lusso, sicché l’appaltatore aveva fatturato ad aliquota Iva agevolata del 4%.
A seguito della verifica della Guardia di finanza, era però seguito l’accertamento per il recupero della maggiore imposta ad aliquota ordinaria, atteso che erano stati realizzati manufatti di lusso, quali ville di superficie di 600 mq ciascuna, di 327 mq coperti, di 5.000 mq di suolo, rispondenti perciò ai canoni contenuti nel decreto del ministro dei Lavori pubblici 2 agosto 1969, che, all’articolo 6, considera di lusso le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq.
 
La società impugna l’avviso sostenendo di essere estranea alla dichiarazione mendace rilasciata dal committente, ma la Commissione tributaria provinciale conferma l’atto impositivo, mentre il giudice d’appello ribalta il verdetto, aderendo alla tesi della società secondo cui, avendo essa costruito soltanto i manufatti in cemento armato senza le finiture terminali, non poteva accorgersi a quello stadio di lavorazione se gli alloggi fossero o meno di lusso. Perciò la committente doveva essere tenuta in proprio verso l’Erario, non potendo l’appaltatrice rivalersi nei suoi confronti in virtù del divieto previsto dall’articolo 60, comma 7, Dpr 633/1972.
 
Nell’adire il giudice di legittimità, l’ente impositore denuncia che il giudice a quo avrebbe erroneamente interpretato la normativa del Dpr 633/1972 (articoli 17, 18, 26 e 60), in quanto la Commissione del riesame:
  • ha confuso il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, individuandolo nella committente anziché nell’appaltatrice, anche perché il rapporto pubblicistico si instaura tra colui che ha eseguito la prestazione (tenuto pertanto a emettere fattura) e il fisco, mentre questi rimane del tutto estraneo al rapporto privatistico che corre esclusivamente tra committente e appaltatore
  • non ha considerato che l’operazione poteva essere corretta mediante emissione di nota di variazione dell’imposta in aumento.
 
Motivi della decisione
L’Amministrazione finanziaria ha avuto ragione: posto il divieto di rivalsa tra cedente/prestatore-cessionario/committente e la necessità che il fisco riscuota dal contribuente soggetto passivo del rapporto, la sezione tributaria ha accolto tutti i rilievi della difesa erariale.
Secondo il collegio giudicante, infatti, “il sistema dell’IVA nazionale, per conseguire l’obiettivo comunitario della Prima Direttiva del 1967 e delle Sesta del 1977 di un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei prezzi dei beni e servizi, non può che fondarsi, secondo lo schema della tassazione analitico aziendale, sulla presunzione assoluta di diligenza professionale del soggetto passivo nella verifica della posizione dei terzi con i quali ha operato e dai quali possono provenire dichiarazioni o informazioni e dati adoperati per la determinazione dell’imposta e della sua aliquota, della cui esattezza la parte contribuente è unica responsabile verso il fisco”.
Sicché ne deriva che, in tema di Iva, nell’ipotesi in cui l’imposta o la maggiore imposta da versare all’erario venga acclarata successivamente al compimento dell’operazione imponibile a seguito di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’intervenuta evasione totale o parziale del tributo, è escluso il diritto alla rivalsa, nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi, dell’imposta o della maggiore imposta dovuta in conseguenza dell’accertamento o della rettifica della dichiarazione annuale, che resterà pertanto interamente a carico del cedente del bene o del prestatore del servizio (Cassazione 12882/2010 e 24794/2005).
 
Infine, la sentenza in esame non manca di richiamare l’articolo 93 del Dl 1/2012 (decreto liberalizzazioni), che ha riformulato l’articolo 60, comma 7, Dpr 633/72, prevedendo che il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.
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