Compensazioni indebite d'impresa. Paga anche il consulente fiscale
Sì al sequestro preventivo dei beni al professionista che utilizza crediti inesistenti a favore del cliente

Due i punti rilevanti della pronuncia: innanzitutto, la delimitazione dell’oggetto del giudizio di Cassazione. A tale proposito, le censure del professionista all’ordinanza del Tribunale sono state ritenute infondate perché in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dallo stesso giudice del riesame e, inoltre, “… quantunque siano prospettate come violazione di legge - costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto inerenti alla fondatezza in concreto dell’accusa”. E tale censura non è consentita innanzi al giudice di Cassazione che non è chiamato all’accertamento della responsabilità del consulente, bensì alla verifica della legittimità del sequestro in relazione ai presupposti per la sua adozione. Poi i giudici di legittimità passano all’esame della ricostruzione della vicenda, nei termini essenziali evidenziati nei gradi di merito. Lo fanno in relazione del “fumus commissi delicti” del reato contestato poiché la misura cautelare ha la funzione di limitare o escludere la libera disponibilità di cose pertinenti al reato. Nella fattispecie sottoposta alla Corte, il tribunale aveva rilevato che il professionista, anche in proprio, si era avvalso del medesimo sistema di indebita compensazione utilizzato per le società e aveva omesso il versamento di tributi per tre annualità di imposta. Non si era comportato da consulente fiscale che, nell’ambito della propria attività, fornisce suggerimenti alle società assistite ma, partecipando in pieno alle operazioni illecite, invece, ne aveva assunto il ruolo di regista e aveva ideato lo schema dell’indebita compensazione, tramite F24, di crediti inesistenti, con la finalità di omettere i versamenti Iva dovuti. E non era riuscito a fornire prova della sua estraneità ai fatti contestati. Gli sarebbe stato piuttosto difficile dimostrare il suo ruolo non attivo nella vicenda, sia perché curando la contabilità di certo era conoscenza dei crediti dal momento della formazione fino al loro utilizzo, sia perché la compilazione “tecnica” e la trasmissione del modello F24 sono adempimenti che di solito esegue il consulente. Inoltre, la sua condotta è risultata sanzionabile nonostante la fattispecie di cui all’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000 sembra prevedere un reato proprio che, in ambito societario, viene generalmente e principalmente commesso dagli amministratori (giacché su di loro gravano gli oneri di natura tributaria). La Corte, infatti, ha ritenuto che esiste la possibilità che tale reato venga commesso in concorso con il “mero” socio o altro soggetto, qualora quest’ultimo ponga in essere una condotta agevolatrice consapevole, non ignorata dai presunti concorrenti e idonea quindi alla realizzazione dell’illecito. Con conseguente legittima adozione della misura cautelare nei suoi confronti. (Cassazione 662/2011). Per lo stesso motivo è stato ritenuto legittimo il sequestro del capitale sociale e di tutti i beni aziendali di una società solo formalmente amministrata dal fratello dell’indagato, che risultava essere l’amministratore di fatto della stessa, in relazione al reato di associazione per delinquere (articolo 416 cp) finalizzato, tra l’altro, all’indebita compensazione (Cassazione 24165/2011). E ancora, è stato confermato il sequestro preventivo sui beni dell’ente che ha tratto vantaggio dal reato di corruzione e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, essendo emersa, nel corso delle indagini, l’operatività di una vera e propria organizzazione dedita a favorire indebiti rimborsi e compensazioni Iva, attraverso false fatturazioni e con l’ausilio di pubblici ufficiali preposti ai relativi controlli (Cassazione 26611/2009). E’ di palmare evidenza che, per confermare l’adozione della misura cautelare, i giudici di merito esercitano un rilevante ruolo di garanzia e di controllo circa la riconducibilità all’indagato delle ipotesi delittuose per le quali si procede. A tale riguardo, infatti, più volte la Corte ha ritenuto necessario rinviare la causa al giudice del riesame per valutare se l’indagato aveva conseguito vantaggi (anche extratributari) dai reati commessi (Cassazione 24169/2011, per il sequestro di beni dell’indagato, detenuti per interposta persona, in relazione ai reati di emissione e utilizzo di fatture relative a operazioni inesistenti, in concorso con la truffa ai danni dello Stato). Rinvio disposto per lo stesso motivo anche nel caso del ricorso presentato dalla moglie separata dell’indagato, destinataria del sequestro delle quote di una società (nonché delle somme depositate sul relativo conto corrente) assegnatele dagli accordi patrimoniali assunti in sede di separazione (Cassazione 24170/2011). Oltre che il fumus, il giudice del riesame, chiamato a confermare o meno la misura cautelare, deve tener conto anche delle prove fornite dall’indagato. La Corte ha ritenuto applicabile la confisca per equivalente dei beni del direttore amministrativo-finanziario di un gruppo che, per i reati ascritti (partecipazione a un’associazione per delinquere transnazionale, finalizzata anche alla commissione di delitti di natura fiscale), si era difeso con argomentazioni prive di efficacia dimostrativa e rappresentate da affermazioni generiche (Cassazione 11969/2011). Con la sentenza 24166/2011, la Corte ha confermato anche il sequestro a scopo precauzionale dei beni del professionista per una somma pari all’imposta evasa, visto che lo stesso professionista non è riuscito provare la sua estraneità ai fatti contestati.