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Giurisprudenza

Compenso assegnato nero su bianco
per il sì alla deduzione dall'Ires

Ai fini fiscali, l'approvazione del bilancio della società non può essere considerata prova implicita e sufficiente del pagamento di corrispettivi agli amministratori

antico romano che scrive
In assenza di specifica delibera assembleare, non sono deducibili dal reddito di impresa i compensi corrisposti agli amministratori. Questo è quanto ha statuito la Commissione tributaria di primo grado di Trento con la sentenza 21/1/2013 dell'8 febbraio.

I fatti in causa
A seguito di una verifica fiscale, l'ufficio emetteva un avviso di accertamento con il quale contestava la deduzione dei compensi corrisposti da una società a responsabilità limitata ai propri amministratori. Nella complessa motivazione, l'Agenzia delle Entrate si soffermava innanzitutto sulla disciplina civilistica evidenziando che, a seguito del Dlgs 6/2003, nelle società a responsabilità limitata, l'atto costitutivo può prevedere che la carica di amministratore sia gratuita o retribuita, individuare l'organo competente a fissare il compenso e le modalità e i criteri di determinazione di quest'ultimo. Nel caso affrontato, lo statuto della Srl sottoposta a verifica prevedeva che fosse l'assemblea a determinare il compenso agli amministratori, il quale, tuttavia, era solo eventuale.

Dalla lettura dei verbali delle assemblee, i verificatori rilevavano che, mentre dall'anno 2001 al 2005 esistevano delibere di attribuzione dei compensi, le delibere mancavano per gli anni 2006 e 2007. Tra l'altro, il compenso corrisposto (e dedotto) nell'anno 2006 era stato comunque superiore all'ultimo deliberato (2005).
Dal punto di vista tributario, l'ufficio sottolineava che la stessa norma fiscale (articolo 95, comma 5, del Tuir) fa riferimento ai compensi "spettanti" agli amministratori, locuzione che presuppone non solo che i compensi siano corrisposti bensì che siano spettanti, cioè dovuti (quindi, per esempio, deliberati dall'assemblea oppure fissati direttamente nello statuto).
Pertanto, concludeva l'ente impositore, in assenza di specifica delibera assembleare, i compensi corrisposti agli amministratori non erano "spettanti" e quindi erano indeducibili ai fini Ires.

A sostegno della propria tesi, l'Agenzia faceva riferimento alla sentenza a sezioni unite 21933/2008 della Corte di cassazione nella quale, sebbene attinente una questione non fiscale, erano stati fissati alcuni principi:
  • è necessaria una delibera assembleare di determinazione dei compensi agli amministratori
  • la predetta delibera deve essere esplicita e non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio.
In merito a questi due aspetti, la citata sentenza della Corte suprema è stata chiarissima: "l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera di determinazione del compenso".

Anche la sezione tributaria della Corte di cassazione si è conformata ai citati principi espressi nella decisione a sezioni unite. Infatti, nella sentenza 3586/2009 citata dall'ufficio a supporto della propria motivazione, la Corte ha chiarito che "l'attribuzione dei compensi agli amministratori deve, comunque, risultare da un'apposita e formale delibera, non essendo sufficiente una ratifica implicita, attraverso l'approvazione del bilancio in cui siano stati contabilizzati detti compensi…qualora non sia stabilito nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio".

La difesa del contribuente e le controdeduzioni dell'ufficio
Nel ricorso, il contribuente avanzava una serie di doglianze:
  • i profili civilistici riguardanti i compensi agli amministratori non potrebbero avere conseguenze fiscali
  • le sezioni unite della Corte di cassazione avrebbero risolto la questione solamente in data successiva (2008) all'annualità oggetto di recupero da parte dell'ufficio (2006)
  • si verificherebbe una duplicazione di imposta se i compensi corrisposti agli amministratori fossero da questi ultimi sottoposti a tassazione Irpef senza essere contestualmente dedotti ai fini Ires.
Inoltre, secondo il ricorrente, l'assenza di una specifica delibera assembleare sarebbe conseguenza di una "mera mancata trascrizione nei verbali" costituendo, quindi, un'irregolarità formale.

Nelle controdeduzioni, l'Agenzia delle Entrate, oltre a ribadire le motivazioni civilistico-fiscali a sostegno dell'accertamento, contestava quest'ultima eccezione del contribuente evidenziando che la necessità della delibera espressa è posta dall'ordinamento, tra l'altro, a garanzia dei soci di minoranza.

Per quanto riguarda la presunta ininfluenza della disciplina civilistica su quella tributaria, l'ufficio sottolineava che, invece, in virtù del combinato disposto degli articoli 95, comma 5, e 83 del Tuir ("Il reddito complessivo è determinato apportando all'utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all'esercizio chiuso nel periodo d'imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all'applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione…"), vi è uno stretto legame tra la disciplina contabile-civilistica e quella fiscale riguardante tutte le componenti di costo e, nel caso di specie, i compensi degli amministratori.

La decisione della Commissione tributaria
Nella sentenza in esame, la Ctp di Trento ha accolto integralmente la tesi dell'ufficio. Infatti, il Collegio, dopo aver evidenziato che per l'anno 2006 non vi era stata alcuna delibera in merito ai compensi spettanti al Cda e nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2006 il compenso non veniva menzionato espressamente, ha sentenziato l'indeducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori.
La Commissione ha inoltre evidenziato che, in virtù della considerazione che la "sentenza ha carattere interpretativo" di una norma vigente, non rileva che la pronuncia a sezioni unite della Cassazione sia intervenuta successivamente rispetto all'anno oggetto di accertamento. Infine, la Ctp ha respinto l'ulteriore eccezione della parte riguardante la presunta duplicazione di imposta, trattandosi di "soggetti diversi assoggettati a tributi distinti".
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