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Giurisprudenza

Il comportamento concludente
non sostituisce la dichiarazione

Tanto più quando il contribuente opta per l’applicazione di una tassazione non ordinaria che presuppone la dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dalla legge per fruirne

scrivania

Cancellata la sentenza della Commissione tributaria regionale che, al fine di consentire al contribuente di usufruire di un regime fiscale agevolativo, ha erroneamente ritenuto equipollente un comportamento concludente a una dichiarazione dei redditi espressa. Lo ha affermato la Cassazione con l’ordinanza n. 547 dell’11 gennaio 2022.

I fatti
Con avvisi di accertamento emessi per gli anni d’imposta 2010, 2011, 2012, l’ufficio ha recuperato Irpef, Iva e Irap nei confronti di un contribuente che, pur essendo titolare di partita Iva relativa all’attività dei servizi di progettazione di ingegneria integrata e pur avendo percepito compensi per le suddette annualità d’imposta, come risultava dai modelli 770 presentati dai sostituti d’imposta, aveva omesso di presentare le prescritte dichiarazioni dei redditi, risultando così evasore totale.
L’uomo ha proposto ricorso in Commissione tributaria e ha chiesto l’applicazione del regime fiscale speciale previsto, ex articolo 31 del decreto Iva, per i “contribuenti minimi” in relazione ai periodi d’imposta 2010 – 2012, precisando di avervi aderito già in sede di presentazione del modello Unico Pf 2010, relativo al periodo d’imposta 2009 e di aver confermato tale scelta con comportamento “concludente” nelle annualità successive, oggetto degli avvisi impugnati.
L’ufficio ha ritenuto, invece, che l’omessa presentazione della dichiarazione determinasse la perdita dei benefici connessi al regime fiscale agevolato. Favorevole al contribuente l’esito dei gradi di merito.
In particolare, la Commissione regionale ha respinto l’appello dell’Agenzia e, dopo aver riconosciuto che i contribuenti, che devono comunicare opzioni, rinunce o revoche agli effetti di Iva, imposte sui redditi o Irap, sono tenuti a compilare il “quadro VO” della dichiarazione annuale Iva e che, in caso di esonero dalla presentazione della dichiarazione, devono comunque allegare il citato “quadro VO” al modello Unico, barrando l’apposita casella sul frontespizio della dichiarazione dei redditi, ha concluso, tuttavia, che il comportamento omissivo non incideva sulla validità dell’opzione esercitata dal contribuente mediante il suo comportamento concludente, soprattutto considerando che l’uomo, dopo la prima dichiarazione, aveva continuato a emettere fatture senza l’applicazione dell’Iva.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione di legge (articolo 1, commi 98 e 109, legge n. 244/2007 e Dpr n. 322/98), poiché la Commissione regionale aveva erroneamente ritenuto che il contribuente potesse accedere al “regime dei minimi” anche in ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione e, inoltre, anche solo mediante un comportamento concludente.
La Corte ha accolto il ricorso chiarendo che “in ipotesi di omessa dichiarazione dei redditi, la relativa volontà non può desumersi dal comportamento concludente del contribuente…”.

Osservazioni
La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi di legittimità consolidati laddove ha affermato che la mancata compilazione del quadro VO della dichiarazione annuale Iva, pur rappresentando un obbligo per il contribuente, non gli avrebbe precluso la validità dell’opzione comunque esercitata mediante un comportamento concludente, e ha erroneamente ritenuto equipollente, al fine di usufruire del regime fiscale agevolato, tale comportamento a una dichiarazione dei redditi espressa.

Al riguardo la Cassazione ha richiamato l’articolo 1, comma 109, legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) secondo cui “Ai fini delle imposte sui redditi, fermo restando l’obbligo di conservare, ai sensi dell’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, i documenti ricevuti ed emessi, i contribuenti minimi sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili. La dichiarazione dei redditi è presentata nei termini e con le modalità definiti nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322…”.
Il comma 109 citato, quindi, stabilendo espressamente che “la dichiarazione dei redditi è presentata nei termini e con le modalità definiti nel regolamento...”, richiede evidentemente una dichiarazione dei redditi compiuta mediante una certa modalità e, quindi, espressa, tanto più che la richiesta di un regime agevolativo presuppone la dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dalla legge e costituisce un onere per il contribuente che chieda di fruirne.

Il legislatore, cioè, ha disposto che il contribuente, nel suo interesse, adempia alla richiesta con una diligenza adeguata alla presentazione della dichiarazione che, per ragioni di certezza giuridica, esige una forma chiara ed esplicita, in mancanza della quale l’ufficio si vedrebbe preclusa la possibilità di effettuare il controllo relativo all’effettivo possesso dei requisiti per usufruire dei benefici invocati.
Delineato il quadro normativo di riferimento, la Cassazione ha valutato l’applicabilità della disposizione “ratione temporis” alla fattispecie in esame e ha richiamato il proprio orientamento in materia di modalità di scelta dei regimi agevolati.
Dopo aver rilevato che la disposizione citata è stata abrogata dall’articolo 1, comma 85, lettera c), legge n. 190/2014, ma solo a decorrere dal 10 gennaio 2015, la Corte ne ha riconosciuto l’applicabilità al caso di specie, che si riferisce agli anni d’imposta 2010, 2011, 2012.

In relazione alle modalità di esercizio dell’opzione per la scelta di un determinato regime fiscale, la Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza, ferma nell’affermare la necessità di escludere che un comportamento concludente possa sostituire il contegno richiesto ex lege. A tal fine non è sufficiente che la “dichiarazione di opzione”, per un verso, sia effettuata con qualsiasi modalità e, per altro verso, sia individuata in qualsiasi manifestazione idonea a rivelare, in modo non equivoco, la volontà del contribuente (di optare per l’applicazione dell’imposta nel modo normale nella fattispecie, opposta a quella in esame, in cui si controverteva del passaggio dal regime agevolato a quello ordinario).
Nonostante il principio di libertà delle forme consenta l’utilizzazione dei modi espressivi più diversi e, quindi, l’affrancazione da qualsiasi formula obbligata, tuttavia non autorizza lo stravolgimento di regole formali essenziali al raggiungimento del fine prefissato ex lege, non potendo sostituirsi un preciso adempimento con deduzioni ricavabili da altri atti o da altri adempimenti prescritti dalla normativa fiscale e, comunque, individuabili in comportamenti concludenti (Cassazione, n. 9998/1994).
Tali conclusioni risultano conformi al principio di legittimità enunciato in materia di “Iva di gruppo”, secondo il quale “la scelta della società controllante deve essere esplicita, trattandosi di un regime di favore, e deve avvenire mediante l’espletamento di determinate formalità, tra cui la tempestiva presentazione del Mod. IVA 26. E poiché l’opzione determina un trasferimento di posizioni di debito/credito tra le società del gruppo, è evidente che essa non abbia mera valenza dichiarativa, ma negoziale…”. Il contribuente, cioè deve dichiarare di volersi avvalere della procedura che semplifica gli obblighi di dichiarazione e di versamento, consentendo compensazioni di credito infragruppo che altrimenti sarebbero escluse. E, per farlo, ex articolo 4, Dpr n. 442/1997, è necessario che manifesti espressamente tale opzione, non potendosi attribuire alla dichiarazione espressa l’equipollenza di alcun comportamento concludente (Cassazione, nn. 5612/2021, 17576/2009 e 17708/2009).
Per comunicare all’Agenzia delle entrate l’opzione per il regime consolidato, ex articolo 119, lettera d), Tuir, infatti, è necessario l’invio dello specifico modello, non costituendo quest’ultimo adempimento formale superabile con un comportamento concludente, ma, piuttosto un elemento sostanziale che si pone come condizione di efficacia insieme agli altri previsti ex lege (ex articolo 119, lettera a), b,) c), Tuir) l’inesistenza dei quali “… o anche solo il venir meno di uno solo di essi, determina l’inefficacia dell’opzione o interruzione del regime, con i conseguenti effetti previsti dall’art. 124 T.U.” (Cassazione, n. 244/2021).
Il principio è stato ribadito anche con specifico riferimento al passaggio dal regime agevolato per i contribuenti minimi (ex articolo 31, Dpr n. 633/1972), al regime ordinario, quando la Cassazione ha chiarito che:

  • tale passaggio presuppone che venga effettuata la prescritta dichiarazione di opzione, senza che la stessa possa essere desunta da comportamenti concludenti quali, in particolare, la presentazione della dichiarazione Iva nei modi e nei termini previsti dal regime ordinario
  • la dichiarazione di opzione, quindi, “deve essere effettuata nei modi e termini di legge e in maniera chiara” (Cassazione, n. 8960/1995 e n. 15228/2004).
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