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Giurisprudenza

Compro e vendo oro, e ci guadagno.
Anche con lucro in natura, è impresa

Un pensionato che compra il prezioso metallo rientrando del costo con la vendita di parte di esso, diventa soggetto passivo Iva e il valore di quello che gli resta è utile

lingotti
Con la sentenza n. 27354 del 6 dicembre, la Corte di cassazione ha stabilito che il soggetto che abbia acquistato oro dalle banche e che lo abbia poi rivenduto con profitto deve versare l’Iva. La Corte suprema ricorda, infatti, che l’imposta si applica a tutte le operazioni che comportano lo sfruttamento di un bene, materiale o immateriale, per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità.
 
Il fatto
La vicenda concerne la notifica Di un accertamento induttivo Iva fondato sul presupposto che il contribuente, che aveva proceduto a svariate operazioni di acquisto e vendita presso istituti bancari di oro usato ricavandone notevoli guadagni alla rivendita, aveva svolto tale attività in forma imprenditoriale, risultando di conseguenza soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto ex articolo 1, Dpr 633/1972 (che implica l’applicazione del tributo alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate).
 
La susseguente contestazione viene accolta dalla Commissione tributaria provinciale e confermata in appello, sulla base dell’asserita mancanza di prove in ordine alla natura imprenditoriale dell’attività svolta.
 
L’ente impositore ricorre quindi per cassazione, lamentando, oltre che carenza di motivazione, violazione dell’articolo 55 del Dpr 633/1972, per il fatto che la sentenza impugnata ha completamente trascurato gli elementi indiziari dedotti a fondamento dell’accertamento.
 
Motivi della decisione
Nel decidere la vertenza, la Corte di cassazione, ribaltando la doppia pronuncia conforme di merito, ritiene la complessiva censura dell’Amministrazione finanziaria meritevole di adesione.
Ciò in quanto la sentenza del riesame non ha tenuto conto – ai fini del decidere – che nel proprio appello l’ufficio faceva leva su elementi che erano invocati a sostegno della prospettazione dello svolgimento di attività abituale non occasionale da parte del contribuente, suffragati dalla confessione spontanea dello stesso contribuente resa in sede di verifica, oltre che dalla mancanza della dichiarazione annuale, la cui presentazione implica, appunto, la soggettività passiva ai fini dell’Iva.
 
Peraltro, l’attività d’impresa non è esclusa per il fatto che il profitto (o “lucro”) conseguito dal contribuente venga da lui capitalizzato, in tutto o in parte, e anche nella massima parte, in beni anziché in denaro, con la conseguenza che, ove un operatore economico acquista beni e poi recupera quanto speso attraverso la rivendita di una parte di questi, i beni che rimangono nelle sue mani costituiscono un’entrata attribuibile al contribuente (anche se non provvede a monetizzarli). Questa attività economica dà luogo a un’impresa commerciale (soggetta a Iva e Ilor) ove il giudice di merito accerti che il contribuente ha posto in essere una struttura economica destinata a svolgere sistematicamente il lavoro sopra descritto (cfr Cassazione 8196/2008).
 
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che, in tema di Iva, l’acquisto di un consistente quantitativo di beni, da parte di persona di comprovata esperienza nello specifico ramo del commercio, costituisce sufficiente indizio di svolgimento dell’attività commerciale con professionalità e abitualità e non attività occasionale (cfr Cassazione 27208/2006).
Atteso poi che, secondo la normativa comunitaria, “tutte le operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene, materiale o immateriale, per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità”, anche per la giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr sentenze causa C-62/12 e causa C-219/12 del 2013), è attribuibile la qualifica di soggetto passivo Iva alla persona fisica che esercita un’attività economica, intesa come attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi.
 
Nel caso di specie, la sentenza del riesame è mancata di concludenza e, quindi, è censurabile per palese contraddittorietà e illogicità manifesta (cfr Cassazione 27208/2006 e 10430/2001), in quanto, pur avendo riconosciuto che l’attività svolta dal contribuente si è risolta in plurime compravendite lucrative, quanto poi alle caratteristiche imprenditoriali del suo svolgimento, si è limitata a far leva, al fine di escluderle, sulla qualità di pensionato da lavoro dipendente rivestita dall’interessato, senza indagare sui presupposti di applicazione del tributo (quantità di oro acquistato, numero di compravendite effettuate, arco di tempo nel corso del quale esse si sono susseguite, giro d’affari, eccetera), elementi sintomatici che l’Amministrazione finanziaria ha preso in considerazione in sede accertativa, valorizzando anche alcuni passi delle dichiarazioni rese dal verificato nel corso del controllo.
 
In conclusione, la mancata presentazione della dichiarazione comporta la legittima applicazione dell’articolo 57 del Dpr 633/1972, a norma del quale il termine per l’esercizio del potere di accertamento è fissato al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
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