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Giurisprudenza

Per il Comune da smaltire solo la delusione

Senza delibera di assimilazione a quelli urbani, per i rifiuti speciali manca il presupposto impositivo Tarsu

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Lo smaltimento di rifiuti speciali, che il Comune non ha provveduto ad assimilare ai rifiuti urbani, esula dal presupposto applicativo della Tassa sui rifiuti che, invece, si rende dovuta esclusivamente per la raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani o, appunto, di quelli assimilati agli urbani.

Sono queste le conclusioni cui è recentemente pervenuta la Commissione tributaria regionale del Lazio (sentenza della sezione staccata di Latina n. 37, depositata il 14 marzo 2006), che ha annullato una cartella esattoriale emessa da un Comune laziale, rilevando la carenza del presupposto impositivo con riferimento all'addebito del costo dello smaltimento dei rifiuti prodotti da una società esercente attività di betonaggio di inerti e calcestruzzi, per i quali non è stata disposta l'assimilazione ai rifiuti urbani: in mancanza di un intervento deliberativo dell'ente locale che ricomprenda tali residui fra quelli urbani, gli inerti e i calcestruzzi rientrano fra i rifiuti speciali e, come tali, fuori dal campo di applicazione della Tarsu.

Il pronunciamento ripropone un tema particolarmente interessante per quanto riguarda la concreta applicazione della tassa sui rifiuti, ma anche per le evidenti implicazioni in ordine alle attività di politica fiscale demandate agli enti locali.
Ma cerchiamo di inquadrare correttamente la problematica esaminata dal giudice di merito, per poi svolgere alcune considerazioni.

Il fatto
Una società esercente attività di betonaggio di inerti e calcestruzzi si è opposta al pagamento della Tassa sui rifiuti per l'anno d'imposta 2000, sostenendo di provvedere personalmente allo smaltimento degli stessi in quanto rifiuti speciali e, quindi, fuori dal campo di applicazione della Tarsu. La società faceva anche rilevare il mancato esercizio da parte del Comune del potere di assimilazione dei predetti rifiuti, con conseguente carenza nella maturazione del presupposto impositivo della Tassa.
L'organo giudicante accoglieva la tesi del contribuente, facendo osservare che "nel regolamento approvato dal Comune gli scarti di inerti e calcestruzzi non sono mai stati compresi tra i rifiuti assimilati agli urbani". Pertanto, "poiché viene a mancare il presupposto essenziale per l'assoggettamento degli stessi rifiuti alla Tassa, la cartella deve essere definitivamente annullata".

La classificazione dei rifiuti
Prima di trattare specificamente il potere di assimilazione spettante agli enti locali, è bene rammentare che la vigente classificazione dei rifiuti è contenuta nell'articolo 7 del Dlgs n. 22/1997, che innova profondamente la preesistente: la distinzione privilegia innanzitutto il criterio dell'origine dei rifiuti, distinguendoli in rifiuti urbani, cioè di provenienza domestica, e rifiuti speciali, ovvero derivati da attività industriali, artigianali, di commercio e di servizi; inoltre, viene introdotto l'ulteriore criterio che valuta le caratteristiche di pericolosità dei rifiuti, sia urbani che speciali che, pertanto, sono distinti in rifiuti pericolosi e non pericolosi.

Quindi, secondo l'articolo 7 del citato decreto legislativo, i rifiuti si distinguono nelle seguenti categorie:

  1. rifiuti urbani: vi rientrano i rifiuti domestici anche ingombranti e i rifiuti provenienti dallo spezzamento delle strade; i rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade e aree pubbliche, nonché i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali
  2. rifiuti assimilati agli urbani: come meglio precisato nel prosieguo, si tratta di rifiuti speciali e/o non pericolosi che l'ente locale può assimilare agli urbani, così ampliando la base imponibile dell'applicazione della Tassa
  3. rifiuti speciali: si tratta di rifiuti da lavorazioni industriali, da attività commerciali, derivanti dall'attività di recupero e smaltimento dei rifiuti, di fanghi prodotti da trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi, di rifiuti derivanti da attività sanitarie, di macchinari e apparecchiature deteriorati e obsoleti, di veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e di loro parti
  4. rifiuti pericolosi: si tratta di rifiuti che contengono al loro interno un'elevata carica di sostanze pericolose (urbani pericolosi, come i medicinali scaduti e le pile), oppure generati dalle attività produttive che contengono un'elevata dose di sostanze inquinanti e necessitano di adeguati trattamenti che ne riducano drasticamente la pericolosità (speciali pericolosi, che, nella preesistente normativa, erano classificati come rifiuti tossico nocivi)
  5. rifiuti non pericolosi: è una categoria che si ricava per esclusione dalla precedente e che ha riguardo alla direttiva Cee n. 91/689, individuante 40 categorie di rifiuti da considerare pericolosi, oltre a 51 sostanze (come piombo, mercurio, amianto, eccetera) che, se presenti nei rifiuti, li collocano automaticamente nella categoria dei pericolosi.

In base alla predetta classificazione dei rifiuti, solo le prime due tipologie (urbani e assimilati) rientrano nell'ambito di applicazione della Tassa sui rifiuti, mentre per tutti gli altri il soggetto che li produce deve provvedere di propria iniziativa e a proprie spese alla raccolta e smaltimento, sulla base delle priorità che l'articolo 10, comma 2, Dlgs n. 22/1997 assegna al produttore: a) auto smaltimento; b) conferimento a terzi autorizzati; c) conferimento a soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione; d) esportazione dei rifiuti.

Il potere di assimilazione dei rifiuti
Una delle novità del Dlgs n. 22/1997 consiste nell'avere ripristinato in capo al Comune il potere di assimilazione dei rifiuti, esercitabile previa determinazione dei criteri tecnici da parte dello Stato: in altre parole, ogni singolo Comune può stabilire in modo esplicito (ovvero approvando un apposita deliberazione) l'assimilazione di alcuni tipi di rifiuti speciali ai rifiuti urbani, in base alle proprie potenzialità di smaltimento e avuto riguardo alle particolari caratteristiche dei rifiuti prescelti.

In precedenza, l'Amministrazione finanziaria aveva ritenuto ammissibile la cosiddetta "assimilazione implicita" (risoluzione n. 8/1191 del 1989, circolare n. 9/1990, risoluzione 8/842/1990), che avveniva con l'inserimento dei locali nei quali si producevano i rifiuti speciali fra le categorie di tariffa previste dal regolamento comunale. La Corte di cassazione, tuttavia, aveva avuto modo di precisare che "la spesa relativa allo smaltimento dei rifiuti speciali (...) deve fare carico a chi li produce, salvo che tali rifiuti siano stati dichiarati assimilabili a quelli urbani; pertanto, in difetto di un provvedimento che stabilisca simile assimilazione, i Comuni devono ritenersi privi di potere impositivo nei confronti dei rifiuti speciali, ferma restando la potestà degli stessi Comuni di recuperare coattivamente a carico dei produttori le spese sostenute per lo sgombero di tali rifiuti e di irrogare le sanzioni amministrative all'uopo previste" (Cassazione n. 10853/1993).

Successivamente, l'articolo 39 della legge 146/1994 stabiliva ope legis le tipologie di rifiuti da ritenersi a tutti gli effetti assimilate agli urbani, senza che si rendesse necessario un esplicito intervento regolamentare da parte del Comune; tale equiparazione, disposta dalla stessa legge, provocava l'unificazione dell'assimilazione sia agli effetti fiscali (ovvero ai fini del pagamento della Tassa sui rifiuti), sia ai fini tecnici (cioè con riferimento al giudizio tecnico che l'ente locale era tenuto a esprimere sulla compatibilità qualitativa e quantitativa dei rifiuti speciali che si intendeva assimilare agli urbani); per completezza, si rammenta che l'elenco dei rifiuti che rientravano nel campo di applicazione della Tarsu era contenuto al punto 1.1.1. della delibera del Comitato interministeriale del 27/07/1984.

Dopo l'espressa abrogazione dell'articolo 39 della legge 146/1994, tutti i rifiuti delle attività elencate nell'articolo 7, comma 3, del Dlgs n. 22/1997, sono considerati speciali, con la conseguente esclusione dal campo di applicazione della Tassa, fatto salvo l'esercizio del potere di assimilazione che spetta ai Comuni (articolo 21), ma che deve essere esercitato nel rispetto dei criteri tecnici assegnati dallo Stato (articolo 18), in assenza dei quali si ritorna alla "vecchia" classificazione contenuta nel decreto interministeriale.

Considerazioni
E' ben noto che l'oggetto della Tarsu è limitato alla raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati: pertanto, risulta di tutta evidenza che l'esercizio del potere di assimilazione da parte dei Comuni consente di poter ampliare il presupposto impositivo, estendendolo anche a taluni rifiuti speciali (rectius: ai locali in cui essi si producono), che, altrimenti, si collocherebbero ope legis fuori dal campo di applicazione della Tassa.

In altre parole, le attività connesse alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti speciali sono escluse dall'ambito di applicazione della Tassa in quanto l'oggetto della stessa (in coerenza con il nomen juris) è circoscritto ai rifiuti urbani che, nella classificazione dell'articolo 7 del Dlgs n. 22/1997, vanno tenuti nettamente distinti dalle altre tipologie di rifiuti. La concreta attuazione del potere di assimilazione dei rifiuti - ovviamente nel rispetto dei vincoli posti dall'intervento statale in materia, e tenuto conto delle concrete potenzialità di smaltimento che ciascun ente possiede - consente ai Comuni di poter ampliare la base imponibile della Tarsu, estendendola a locali e aree che, diversamente, resterebbero escluse dal tributo, con ciò realizzando un sensibile miglioramento del servizio pubblico e un'ottimizzazione dei costi del servizio stesso.

Si tratta, quindi, di un intervento di politica fiscale in piena sintonia con l'accresciuta responsabilità che la modifica della Carta costituzionale assegna agli enti territoriali, i quali, in misura sempre maggiore, devono provvedere a reperire autonomamente le risorse finanziarie indispensabili a mantenere (e, in prospettiva, a potenziare) i livelli di servizi erogati ai cittadini. A tali nuove esigenze è possibile far fronte - anche e soprattutto - attraverso l'utilizzo della leva fiscale, che permette il progressivo ampliamento delle risorse proprie e che gli enti locali dovranno utilizzare sempre di più rispetto al passato, quando il ruolo dei trasferimenti statali era prevalente.

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