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Giurisprudenza

Il concordato della Snc coinvolge anche gli associati

L'adesione al concordato di massa da parte di una società di persone costituisce titolo per l'accertamento nei confronti dei soci che non hanno definito il reddito di partecipazione

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Il ricorrente, socio di una Snc, presentava ricorso avverso un avviso di accertamento con il quale l'ufficio aveva rettificato il reddito di partecipazione sulla base del maggior reddito accertato in capo alla predetta società che aveva aderito al concordato di massa di cui al decreto legge n. 564 del 1994, convertito con modificazioni dalla legge n. 656/94.
Più specificatamente, il ricorrente eccepiva che la definizione forfetaria dell'imponibile operata dalla Snc, sulla base del concordato, non era idonea a determinare una maggiore capacità contributiva dei soci, e osservava che il carattere novativo dell'articolo 9-bis, comma 18, del decreto legge n. 79 del 1997, non era applicabile per le definizioni chiuse prima del 30 maggio 1997, data di entrata in vigore della predetta norma.

La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso del contribuente e, successivamente, la Commissione tributaria regionale rigettava l'appello dell'ufficio in base all'articolo 9-bis, comma 17, del decreto legge n. 79 del 1997, convertito con modificazioni dalla legge n. 140/97, secondo il quale "sono fatti salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15.12.1995" e "in applicazione ed a salvezza dei diritti acquisiti".

Propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate che, dopo aver richiamato il disposto dell'articolo 5 del Tuir, deduce che il reddito scaturito dal concordato di massa operato dalla società di persone è legittimamente imputato, ai fini Irpef, direttamente ai soci pro quota.

Eccepisce, inoltre, l'Agenzia delle Entrate che "l'art. 9-bis, comma 17 del d.l. 1997/79, laddove prevede che sono fatti salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15.12.1995, si limita a stabilire che per effetto della riapertura dei termini stabilita da detto decreto legge, non si rende necessario procedere ad una definizione integrativa, qualora, alla stregua di quanto disposto dal citato articolo 9-bis, la definizione risulti più onerosa rispetto a quella effettuata in base al d.l. 1994/564; ma non esclude affatto l'automatica e necessaria imputazione ai soci, che non abbiano operato il concordato, del maggior reddito di partecipazione scaturente dall'accertamento con adesione nei confronti della società".

Da ultimo, l'Amministrazione finanziaria osserva che il comma diciottesimo del citato articolo 9-bis, laddove prevede l'imputazione ai soci pro quota del reddito risultante dall'accertamento con adesione presentato dalla società, conferma, sostanzialmente, il principio della "trasparenza" sancito dall'articolo 5 del Tuir.

Resiste con controricorso il contribuente.

Va preliminarmente evidenziato che, con il decreto legge n. 79/1997, sono stati riaperti i termini anche per i soci titolari di quote di compartecipazione a società di persone che avevano aderito, per gli anni 89/94, al "concordato di massa".
Ciò al fine di consentire, anche a costoro, di definire il proprio reddito di partecipazione con il concordato.

Al riguardo, la circolare n. 197 del 9.7.1997, emessa dal dipartimento delle Entrate, concernente la proroga dei termini per il perfezionamento dell'accertamento con adesione, aveva chiarito che, in forza del comma 18 dell'articolo 9-bis del citato decreto legge n. 79, l'intervenuta definizione del maggior reddito da parte della società, costituiva "titolo giuridico" per l'accertamento ai sensi dell'articolo 41-bis del Dpr 600/73, nei confronti dei singoli soci che non avevano definito i redditi prodotti in forma associata.

Quanto precede trovava conferma nel principio della "trasparenza" sancito dall'articolo 5 del Tuir, nel quale è disposto che "i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".
Ne discende, quindi, che il reddito di partecipazione agli utili societari del socio di società di persone, oltre a costituire, ai fini dell'Irpef, reddito proprio del contribuente è a lui imputato sulla base della presunzione di una effettiva percezione.
Pertanto, in caso di rettifica del reddito della società da parte dell'amministrazione finanziaria, si ricollegano alla citata presunzione di effettiva percezione, sia la volontarietà della condotta del socio, consistente nel non avere incluso nella propria dichiarazione anche il reddito derivatogli dalla partecipazione agli utili occultati dalla società, sia l'applicabilità della sanzione per l'infedeltà della dichiarazione stessa (cfr. Cass.civ., sezioni unite, sentenza 8 gennaio 1993, n. 125).

Tanto premesso, con la sentenza de qua, i giudici della Corte di cassazione, ritenendo fondato il ricorso presentato dall'ufficio, hanno precisato che "l'intervenuta definizione dell'accertamento con adesione da parte di una società di persone, costituisce titolo per l'accertamento nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata".
Per i giudici di legittimità "il reddito di partecipazione agli utili del socio di una società di persone costituisce, ai fini Irpef, reddito proprio del contribuente, al quale è imputato sulla base di presunzione di effettiva percezione, e non della società".
Pertanto, nella specie, "ai soci di una s.n.c. che ha definito il proprio reddito mediante accertamento con adesione, ai sensi del d.l. 1994/564, deve essere attribuita, per la medesima annualità, la quota parte dell'imposta versata dalla società per la definizione della lite fiscale".
Ciò in quanto "l'imputazione al socio della quota parte del reddito della società costituisce corretta applicazione del disposto dell' art. 5 del Tuir".
Ne deriva, quindi, che, ove il socio non dichiari per la parte di sua spettanza il reddito societario nella misura risultante dalla rettifica operata dall'Amministrazione finanziaria a carico della società, è tenuto al pagamento del supplemento d'imposta (cfr. Cass., sezioni unite, 8.1.1993, n. 125; Cass. n. 2699 del 25.2.2002; Cass. n. 9461 del 28.6.2002).

Infine, i giudici della Cassazione hanno ritenuto non pertinente il richiamo operato dai giudici di appello al comma 17 dell'articolo 9-bis del decreto legge n. 79 del 1997, secondo cui "sono fatti salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15.12.1995".
Infatti, a parere della Corte suprema, la citata disposizione, nel fare salvi gli effetti delle definizioni già perfezionate alla data del 15 dicembre 1995, aveva come destinatari soltanto i soggetti che avevano provveduto alla definizione dell'accertamento con adesione e, quindi, nella fattispecie, la società e non i suoi soci che, invece, non avevano definito il proprio reddito di partecipazione.
In conclusione, alla luce delle argomentazioni sopra esposte, ne discende che, in forza dell'articolo 9-bis, comma 18, del decreto legge n. 79 del 1997, l'intervenuta definizione di un maggior reddito da parte di una società di persone costituisce titolo per l'accertamento ai sensi dell'articolo 41-bis del Dpr n. 600/73 nei confronti dei singoli soci che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata.

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