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Giurisprudenza

Il concordato preventivo non sospende il decorso degli interessi

Rispettato il principio enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza 162/2001

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E' legittimo che l'Amministrazione finanziaria richieda a una società, ammessa al concordato preventivo con cessione di beni, gli interessi sull'Iva dovuta e non versata tempestivamente; infatti, l'ammissione del creditore alla procedura concorsuale non determina la sospensione della decorrenza dei termini.
Così si sono espressi i giudici di piazza Cavour in una interessante sentenza (la n. 22881 depositata lo scorso 11 novembre), nella quale hanno deciso - rievocando la sentenza della Consulta del 28 maggio 2001, n. 162 - una questione di Iva nell'ambito di una procedura concorsuale.

Ma procediamo con ordine.
Una società in concordato preventivo con cessione di beni impugna - con esito negativo - l'ingiunzione di pagamento degli interessi sull'Iva dovuta (e non versata tempestivamente) relativa a due annualità.
I giudici dell'appello, invece, accolgono le doglianze della società fondate, tra le altre, sulla non debenza degli interessi richiesti dall'ufficio perché concernenti periodi successivi alla data della sentenza di omologazione del concordato preventivo.
La Commissione tributaria centrale, in parziale accoglimento del ricorso dell'ufficio, dichiara non dovuti gli interessi dalla data della sentenza di omologazione del concordato.

L'Amministrazione finanziaria chiede la cassazione della sentenza della Commissione di terzo grado deducendo, tra gli altri motivi, anche la violazione e falsa applicazione degli articoli 54, 55 e 169 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), nonché degli articoli 61 e 62 del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, non avendo la Commissione tributaria centrale tenuto conto che, trattandosi di credito per interessi assistito da privilegio ex articolo 62 del Dpr 633/1972, l'ammissione della società a procedura concorsuale non determina la sospensione della decorrenza degli interessi, giusta quanto previsto dall'articolo 55 della legge fallimentare.

Per la fattispecie che in questa sede rileva, la censura formulata dalla parte pubblica è stata accolta e, per l'effetto, la sentenza impugnata è stata rinviata al giudice del gravame.
Al riguardo, la Corte precisa che il credito Iva oggetto dell'odierno contenzioso è garantito da privilegio ai sensi dell'articolo 62, comma 3, del Dpr 633/1972, il quale dispone che i crediti erariali per le imposte, le pene pecuniarie e le soprattasse dovute ai sensi del citato decreto Iva hanno privilegio generale sui beni mobili del debito, secondo l'ordine stabilito dall'articolo 2778 del codice civile.

Di converso, l'articolo 55 della legge fallimentare prevede che la dichiarazione di fallimento - al pari del provvedimento di omologazione del concordato, stante l'applicabilità del citato articolo 55 anche a tale ultima procedura, ex articolo 169 della legge fallimentare - sospende il corso degli interessi (convenzionali o legali) fino alla chiusura della procedura stessa, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio.
Il citato articolo 55, comma 1, tuttavia, nel disciplinare l'estensione della prelazione agli interessi, fa salvo il disposto dell'articolo 54, comma 3, sempre della legge fallimentare, che richiama gli articoli 2788 e 2855 c.c., concernenti soltanto il pegno e l'ipoteca.
Pertanto, il prospettato quadro normativo e un'attenta lettura del combinato disposto degli articoli 54 e 55 della legge fallimentare, dovrebbero portarci, nella fattispecie in esame, a escludere dal computo degli interessi quelli relativi al credito privilegiato di cui all'articolo 2749 c.c., che resterebbero sospesi per tutta la durata della procedura concorsuale.

Ma non è proprio così.
I giudici di piazza Cavour, infatti, nel decidere la causa, si conformano alla sentenza del 28 maggio 2001, n. 162, della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 54, comma 3, della legge fallimentare, nella parte in cui non richiama, ai fini dell'estensione del diritto di prelazione agli interessi, l'articolo 2749 c.c.
Con la riferita decisione, il giudice delle leggi ha sancito l'illegittimità costituzionale dell'articolo 54 della legge fallimentare rispetto all'articolo 3 della Costituzione per la disparità di trattamento tra crediti pignoratizi e ipotecari da una parte e privilegiati dall'altra.

Infatti, l'articolo 54, nel regolare l'estensione del diritto di prelazione agli interessi, mentre richiama gli articoli 2788 e 2855 del codice civile (relativi al pegno e all'ipoteca), omette qualsiasi riferimento all'articolo 2749, relativo all'estensione del privilegio.
Con la conseguenza che, secondo un pacifico indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia di esecuzione concorsuale, l'inapplicabilità dell'articolo 2749 comporta la collocazione semplicemente chirografaria degli interessi sui crediti privilegiati.

Per la Consulta, non c'è nessuna ragione giustificativa della deroga in tal modo apportata alla disciplina civilistica e della disparità di trattamento che si viene a determinare a danno dei creditori privilegiati in sede di esecuzione concorsuale rispetto ai creditori privilegiati, ai quali, agendo in sede di esecuzione individuale, l'articolo 2749 c.c. si applica.
Da qui, l'incostituzionalità del citato articolo 54, comma 3, della legge fallimentare.
In conclusione, l'ammissione al concordato preventivo non sospende il decorso degli interessi sui crediti privilegiati che, in questo modo, vengono di fatto sottratti all'azione dei creditori chirografari.


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