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Giurisprudenza

Il condono non regge la detrazione
se l’operazione manca di certezza

Nel caso di non disponibilità delle fatture originali utili a circoscrivere le caratteristiche della transazione, le prove supplenti sono esclusivamente quelle previste dalla normativa

L’istanza di ammissione al condono previsto dalla Finanziaria 2003 (legge 289/2002) e la relativa dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi non costituiscono prove valide al riconoscimento della detrazione Iva relativa al credito maturato in un anno in cui il contribuente ha omesso di presentare la dichiarazione.
Ad affermarlo, la Cassazione con la sentenza 22747 del 9 novembre 2016.
 
Il fatto
L’Agenzia delle Entrate, a seguito di controllo automatizzato (articolo 36-bis, Dpr 600/1973) della dichiarazione dei redditi 2001, non riconosceva a una società cooperativa a responsabilità limitata il credito Iva utilizzato nello stesso anno d’imposta, ma maturato negli anni precedenti, per i quali non risultavano presentate le dichiarazioni.
La Commissione tributaria regionale della Campania, accogliendo le motivazioni della contribuente, annullava la cartella di pagamento relativa alla maggiore imposta accertata. Secondo la Ctr, l’esistenza del credito relativo al 2000 era desumibile dall’istanza, presentata dalla società, di accesso al condono previsto dalla legge 289/2002, e dalla relativa dichiarazione integrativa per la regolarizzazione degli anni precedenti.
 
La sentenza
L’Agenzia delle Entrate impugna per cassazione la sentenza d’appello.
Per l’Amministrazione finanziaria, infatti, la domanda di sanatoria e la dichiarazione integrativa fornite in copia dalla società, non costituiscono prova valida della sussistenza del credito nel periodo di omessa dichiarazione e, di conseguenza, non legittimano la detrazione Iva.
 
Il caso, chiarisce la sentenza, si distingue da quello, apparentemente simile, trattato nella pronuncia 17757/2016 dalle sezioni unite della stessa Corte. In entrambi i contenziosi, infatti, la lite nasce da un credito maturato in un anno per il quale il contribuente ha omesso di presentare la dichiarazione.
Nel giudizio precedente, le sezioni unite, muovendo dal principio di neutralità dell’imposta, hanno dato ragione al contribuente e affermato che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta, risultante dalle dichiarazioni periodiche e dai versamenti regolari, può essere dedotta entro il secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.
In particolare, la pronuncia, dando rilevanza agli elementi sostanziali del comportamento fiscale, ha sostenuto che il diritto alla detrazione non può essere negato in presenza di prove utili a dimostrare l’imponibilità delle operazioni e la soggettività passiva degli acquirenti.
Dello stesso tenore la sentenza 17758/2016 relativa a una cartella esattoriale emessa a seguito di un controllo formale automatizzato.
 
Da quanto predetto, si capisce, quindi, che il punto focale della questione, nel giudizio in esame, è verificare se le prove portate dalla cooperativa siano idonee a confermare l’eccedenza di imposta reclamata e detratta.
 
La risposta della Corte suprema è no.
I giudici prendono nuovamente input dalla sentenza 17757/2016, che agli adempimenti di tipo dichiarativo, di registrazione e “consimili” dà valenza “meramente riepilogativa e illustrativa dei dati contabili”, diretti, in pratica, soltanto a facilitare i controlli dell’Agenzia delle Entrate sull’esatta riscossione dell’imposta.
 
Ad attestare la legittimità della detrazione e la correttezza dell’operazione sono, invece, i documenti indicati nella circolare 21/2013 dell’Agenzia delle Entrate e, quindi, “registri Iva e relative liquidazioni, dichiarazione cartacea per l’annualità omessa” e “documenti inerenti e/o equipollenti” alle fatture. Come si può vedere, tra questi non compaiono le prove esibite dalla cooperativa (richiesta di condono e dichiarazione integrativa) che, quindi, non possono ritenersi atti idonei a legittimare la detrazione, perché non contengono informazioni adatte a dimostrare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento del credito. Mancano, infatti, i dati essenziali indicati nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 23 febbraio 2013.
 
E se ciò non bastasse, senza cercare ulteriori elementi rispetto a quelli già disponibili, è la stessa Finanziaria 2003 a fornire la risposta definitiva per chiudere il contenzioso precisando, al terzo comma dell’articolo 8 e al nono comma dell’articolo 9, che “la dichiarazione integrativa non costituisce titolo costituisce titolo per il rimborso di ritenute, acconti e crediti d'imposta precedentemente non dichiarati, né per il riconoscimento di esenzioni o agevolazioni non richieste in precedenza, ovvero detrazioni d’imposta diverse da quelle originariamente dichiarate”.
 
Dalla parte dell’Amministrazione finanziaria anche il diritto comunitario, secondo cui gli Stati membri possono richiedere, per il riconoscimento della detrazione Iva, in mancanza di norme specifiche, gli originali delle fatture e stabilire, in loro sostituzione, quali prove possono essere considerate valide e quali no.
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