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Giurisprudenza

Condono, proroga dei termini sotto attacco

Sollevata questione di legittimità costituzionale della norma la possibile soluzione in un precedente intervento della Consulta

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I termini stabiliti, a pena di decadenza, per le notifiche degli avvisi di accertamento, ai fini delle imposte sui redditi e dell'Iva, sono prorogati di due anni nei confronti dei contribuenti che non si sono avvalsi del condono. A stabilirlo è l'articolo 10 della legge 289/2002. Con l'ordinanza n. 141 del 24 agosto 2007, l'undicesima sezione della Commissione tributaria provinciale di Cosenza ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale (in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione) di tale proroga dei termini, sospendendo il giudizio e rimettendo gli atti alla Consulta.

Secondo la Ctp, la disposizione censurata violerebbe inoltre il divieto di proroga dei termini di decadenza e prescrizione dettati dall'articolo 3 dello Statuto del contribuente e, nella misura in cui impone la presentazione delle istanze di definizione di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge 289/2002 al fine di evitare l'automatismo normativo dell'estensione di un biennio dei termini di accertamento, anche il principio di ragionevolezza. La proroga, infine, operando unicamente a favore dell'Amministrazione finanziaria, lederebbe anche i principi di imparzialità e di buon andamento.

I giudici di Cosenza hanno ricordato che l'articolo 1 dello Statuto del contribuente stabilisce che "Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali"; principio questo rafforzato dall'articolo 3, in base al quale "i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati".

La Commissione tributaria ha richiamato, infine, la Cassazione che, nella sentenza n. 17576 del 12 febbraio 2002, ha ricordato che "quale che possa essere l'incidenza dei quattro enunciati normativi contenuti nel comma 1 dell'art. 1 della L. n. 212 del 2000 (e cioè: autoqualificazione delle disposizioni dello Statuto come attuative delle norme costituzionali richiamate e come "principi generali dell'ordinamento tributario"; divieto di deroga o modifica delle disposizioni stesse in modo "tacito", ovvero mediante leggi speciali), complessivamente considerati, sull'efficacia delle disposizioni statutarie dal punto di vista del sistema costituzionale delle fonti…è certo, però, che alle specifiche "clausole rafforzative" di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come principi generali dell'ordinamento tributario deve essere attribuito un preciso valore normativo. Infatti quest'ultima espressione, in particolare, deve essere intesa come formulazione sintetica di quattro diversi e specifici significati: in primo luogo, quello di "principi generali del diritto, dell'azione amministrativa e dell'ordinamento particolare tributari"…; in secondo luogo, quello di "principi fondamentali della legislazione tributaria", tesi a vincolare in vario modo l'attività del futuro legislatore tributario, statale e regionale…; in terzo luogo, quello di "principi fondamentali della materia tributaria" ...; ed infine, quello di "norme fondamentali di grande riforma economico sociale"..."

La Ctp ha, peraltro, ricordato anche ai principi comunitari che evidenziano come "nella legislazione degli Stati membri non può esservi contrasto con il principio di affidamento, di certezza nei rapporti e con quello di non discriminazione, che emerge in tutta la sua portata punitiva".

Forse però, a ben vedere, le conclusioni dei giudici calabresi sono state un po' troppo "drastiche".

Va ricordato che una disposizione analoga a quella dell'articolo 10 della legge 289/2002 era già stata dettata dall'articolo 57, comma 2, del precedente condono (legge 30 dicembre 1991, n. 413). Ma proprio con riferimento alla pregressa normativa, sia la Corte costituzionale sia la Cassazione hanno già riconosciuto legittimo l'operato del legislatore.

La Suprema corte, infatti, con la sentenza n. 25727 del 10 dicembre 2007 (successiva anche alla stessa ordinanza della Ctp di Cosenza) ha stabilito che "la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza prevista dall'art. 57 della L. 30 dicembre 1991, n. 413 opera sia per le ipotesi del termine pendente anteriormente al periodo di sospensione sia per il termine il cui dies a quo cada all'interno di detto periodo", riconoscendo, così, anche se solo implicitamente, la legittimità della sospensione dei termini.

Con la sentenza n. 17010 del 2 dicembre 2002, sempre la Cassazione, questa volta in maniera esplicita, davanti ad analoga eccezione di incostituzionalità, aveva evidenziato che la sospensione dei termini di accertamento in occasione del condono è "…ispirata al principio di ragionevolezza - è obiettivamente correlata alle esigenze funzionali ed operative della Amministrazione Finanziaria nell'interesse generale della definizione delle situazioni e pendenze tributarie, situazione resa alquanto critica dal notevole carico di lavoro degli Uffici Finanziari. Tale regolamentazione normativa non crea alcuna ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti, che - ove versino in posizioni identiche o analoghe, come innanzi disciplinate - sono tutti posti in condizioni di pervenire a definizione agevolata, utilizzando gli strumenti legali, né crea alcun ingiustificato privilegio per il Fisco. Ovviamente, non rilevano eventuali disparità di fatto. Pertanto, la sollevata eccezione di illegittimità costituzionale deve ritenersi manifestamente infondata".

Peraltro, la Corte costituzionale era stata ancora più chiara, quando, in relazione alla medesima questione, con la sentenza n. 375 del 23 luglio 2002, puntualizzava che "non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 57, comma 2, secondo periodo della L. n. 413/1991, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui si dispone la sospensione dei termini degli accertamenti tributari anche con riguardo alle situazioni escluse ratione temporis dal condono fiscale previsto dalla legge medesima in quanto è costituzionalmente legittima la facoltà di dilazione dei termini di prescrizione e decadenza in una situazione di effettivo e concreto rischio di disservizio conseguente alla gestione amministrativa del condono…".

La Consulta sottolineava, infatti, che il regime differenziato introdotto dalla disposizione censurata mirava a ovviare al sensibile aggravio di lavoro che prevedibilmente sarebbe derivato agli uffici finanziari dalla necessità di eseguire le operazioni di verifica richieste dalle dichiarazioni integrative dei contribuenti che si sarebbero avvalsi del condono, con conseguenti rischi di disservizio e di decorrenza degli ordinari termini di prescrizione e di decadenza della pretesa fiscale.
Solo per fronteggiare, dunque, questa eccezionale e transitoria situazione, il legislatore era (legittimamente) intervenuto sui termini in questione, perché, per un limitato periodo di tempo, gli uffici potessero essere sgravati di alcune attività, tra cui quelle connesse all'accertamento e alla liquidazione delle imposte.

Ma la Corte costituzionale andava oltre e ricordava, giustamente, che "ai fini della valutazione di bilanciamento di valori, richiesta dalla censura mossa dal giudice rimettente, è determinante il rilievo che la tutela della pretesa fiscale dell'Amministrazione, sottesa al complessivo sistema tributario, trova una precisa garanzia nell'art. 53, comma 1, della Costituzione, secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese Pubbliche".

Insomma, non esistono norme costituzionali di serie A (quelle a favore dei singoli contribuenti) e norme costituzionali di serie B (quelle a favore dell'Amministrazione finanziaria, peraltro garante dei diritti della collettività dei contribuenti).

La Consulta ricordava inoltre che, proprio in ragione del rango costituzionale della ricordata garanzia, era stata ritenuta non fondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina che prevede la possibilità di proroga dei termini di decadenza e di prescrizione nel caso di mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari, affermando in particolare che "l'attività di accertamento e di riscossione delle imposte ha carattere di specialità e natura di valore primario, onde è giustificata la dilatazione di quei termini qualora una situazione contingente, come il disservizio degli uffici, possa comprometterla" (sentenza n. 177 del 1992; cfr anche la sentenza n. 238 del 1984).

Pertanto, concludeva la Corte, "come si è ritenuto che non sia costituzionalmente illegittima la facoltà di proroga dei termini di prescrizione e decadenza in caso di accertato disservizio degli uffici finanziari - analogamente deve considerarsi immune da censure una disposizione, quale quella impugnata, che in via preventiva preveda, per un limitato periodo di tempo, la sospensione di tali termini in una situazione di effettivo e concreto rischio di disservizio conseguente alla gestione amministrativa del condono".

La troppa enfasi con la quale la Ctp ha sostenuto l'ipotesi di incostituzionalità dell'articolo 10 della legge 289/2002, va, quindi, senza dubbio respinta.
Per coerenza, del resto, se la eccezionalità della situazione giustifica vantaggi anche ai fini penali (e su questo non sembra che nessuno abbia mai sollevato eccezioni di incostituzionalità), la stessa considerazione deve valere allora nei confronti dell'azione dell'Amministrazione finanziaria.

Se tutto questo non bastasse, è bene, infine, evidenziare che proprio le previsioni dello Statuto del contribuente (che, si ricorda, valgono sia per l'Amministrazione che per gli stessi contribuenti) confermano la legittimità della proroga, soprattutto in considerazione del richiamo operato dall'articolo 1, comma 1, della legge 212/2000, all'articolo 97 della Costituzione, secondo cui l'attività della Pubblica Amministrazione deve essere attuata secondo i principi del buon andamento e della imparzialità.
La possibilità di accertare e recuperare le imposte evase costituisce, infatti, senza dubbio, un esempio di buon andamento della Pubblica Amministrazione.

In conclusione, anche se la sopra citata ordinanza pare aver spinto molti contribuenti a tentare la via della eccezione di incostituzionalità, sembra proprio che tale eccezione sia destinata a essere dichiarata infondata e comunque inammissibile.
Nessuna violazione, né del principio di uguaglianza né tanto meno del diritto alla difesa deriva, infatti, dalla proroga dei termini di accertamento. Proroga eccezionale in quanto collegata a un fenomeno eccezionale, quale appunto la stagione dei condoni.

Sollevare inoltre, come accade nella maggior parte dei ricorsi che sposano tale linea, eccezione di nullità di un accertamento per decadenza dei termini, quando tali termini sono stabiliti dalla legge vigente, non ha alcun fondamento giuridico.
Aspetti il ricorrente, almeno, la (molto improbabile) sentenza di incostituzionalità della Consulta.
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