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Giurisprudenza

Confisca di somme cointestate, ok.
Lo “scudo” non ripara dal penale

I giudici di legittimità confermano la misura cautelare sulla base della stretta correlazione con il principio di disponibilità del bene da parte dell’indagato

scudo
Sono soggette a confisca le somme, oggetto di rientro dei capitali secondo il cosiddetto “scudo fiscale” (articolo 13-bis, Dl 78/2009), depositate sul conto corrente bancario cointestato fra il contribuente e i familiari.
Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 45353 del 6 dicembre.

I fatti
A seguito del sequestro preventivo, presso un istituto di credito, di circa tre milioni di euro, disposto in relazione all’esistenza di indizi di violazione della normativa tributaria (ex articolo 1, comma 143, della legge 244/2007), la contribuente, dichiarandosi persona estranea ai fatti, ha chiesto al Gip di ottenere la restituzione di una parte della predetta somma. A parere della signora, inoltre, avrebbe potuto trovare applicazione la presunzione di contitolarità delle somme in parti uguali (articolo 1298 cc) poiché si trattava di proventi di provenienza certa (derivanti dalla vendita di un immobile, del cui ricavato le spettava la quota del 44% circa).
 
Contro il provvedimento di diniego del Gip, la contribuente ha presentato appello.
Il tribunale, rigettando il ricorso, ha rilevato che la provenienza delle somme sequestrate, in gran parte frutto del rientro di capitali depositati all’estero, non poteva essere ricondotta con certezza all’operazione immobiliare e che, comunque, la previsione dell’articolo 322-ter cp consentiva di sottoporre a sequestro i beni nella disponibilità dell’indagato o del reo e, quindi, anche l’intera somma di denaro presente sul conto corrente bancario intestato congiuntamente a lei e ai suoi genitori.
Il giudice del riesame, inoltre, ha osservato che la transazione era avvenuta a circa 14 milioni di euro, versati dall’acquirente dell’immobile sul conto estero e non vi era stata alcuna indicazione della successiva ripartizione della somma tra i cointestatari.
 
La signora ha impugnato l’ordinanza in Cassazione, lamentando violazione, errata applicazione della legge e vizio di motivazione, in quanto il tribunale d’appello aveva mantenuto la misura su beni che, solo per la terza parte (circa 1.450.000 euro), dovevano considerarsi di sua pacifica pertinenza. Ciò, sia in ossequio alle presunzioni ex articolo 1298 cc sia perché la somma depositata sul conto sarebbe stata “coperta” per gran parte dallo scudo. Di conseguenza, la signora chiedeva la restituzione della parte rimanente (circa 362mila euro).
 
La Cassazione, con la sentenza 45353/2011, ha rigettato il ricorso e ha ribadito che “…nell’ipotesi di unico conto corrente bancario cointestato con soggetto estraneo al reato la misura reale provvisoria ‘si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato’ e non possono operare limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni operanti ai sensi del codice civile nel rapporto di solidarietà tra creditori o debitori, ai sensi dell’art. 1289 oppure nel rapporto tra l’istituto bancario e soggetto o soggetti depositanti, ai sensi dell’art. 1834…”.
Inoltre, “la prevalenza della cautela penale sulla disciplina di natura civilistica è giustificata dall’esigenza di evitare che nelle more dell’adozione del provvedimento definitivo di confisca vengano comunque dispersi beni che si trovano nella disponibilità dell’indagato”.
 
Osservazioni
Ancora una volta la Corte ritiene assoggettabili a sequestro preventivo, in vista della confisca per equivalente, i beni cointestati con terzi ma comunque nella disponibilità dell’indagato. E giunge a tale conclusione per due motivi: la prevalenza delle norme del codice penale su quelle del codice civile; l’assenza di un principio di “non punibilità” illimitata per le fattispecie coperte dallo scudo fiscale.
Poiché lo scopo dell’articolo 322-ter cp è quello di evitare che i beni, che si trovino nella disponibilità dell’indagato, possano essere definitivamente dispersi, lo stesso indagato non può invocare eventuali presunzioni o vincoli regolanti i rapporti interni tra creditori e debitori solidali (Cassazione, 40175/2007 e 24633/2006).
I giudici di legittimità confermano la misura cautelare sulla base della stretta correlazione con il principio di disponibilità del bene da parte del reo: l’articolo 322-ter cp, infatti, consente la confisca, cui è finalizzato il sequestro preventivo, sui beni dei quali il reo abbia la disponibilità, salva prova contraria (che può risultare dagli elementi esposti dalle parti e di quelli acquisiti nel corso del giudizio di merito – Cassazione, 18527/2011).
 
A tale riguardo, la Cassazione ha ritenuto legittimo sia il sequestro delle somme depositate su un conto corrente cointestato tra coniugi conviventi (non avendo l’imputato dimostrato la reale consistenza degli incrementi di propria pertinenza al fine di superare la presunzione che le somme in deposito, di cui aveva piena disponibilità, spettano a ciascuno dei cointestatari in parti uguali – Cassazione, 44940/2008) sia il sequestro dei beni ceduti a un terzo con patto fiduciario di retrovendita (Cassazione, 10838/2006).
 
Inoltre, l’adozione della misura cautelare non può trovare limite nella circostanza che il contribuente abbia aderito allo scudo fiscale. Il Dl 78/2009, infatti, non contiene nessuna clausola generica e onnicomprensiva di “non punibilità” per i contribuenti che hanno pagato un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute (illecitamente) fuori dal territorio dello Stato.
E’ vero che l’articolo 13-bis dello stesso Dl prevede il beneficio fiscale della sterilizzazione del capitale rimpatriato e altri effetti premiali tra cui l’esclusione della punibilità per alcuni reati fiscali. Ma non senza limiti.
A tale riguardo, la Cassazione ha ridimensionato l’efficacia penale dello scudo fiscale (28724/2011), affermando che per la non punibilità occorre sia un legame diretto tra i reati tributari commessi e le somme oggetto di rimpatrio (o regolarizzazione) sia la sussistenza di determinati reati legati a condotte illecite espressamente previste (articolo 1, Dl 103/2009 e articolo 14, Dl 350/2001).

Di conseguenza, non essendo presenti tali condizioni, la Corte, nella fattispecie sottoposta al suo vaglio, ha ritenuto che “la sussistenza del ‘fumus’ di reato e l’entità delle somme in sequestro rispetto a quella delle somme dovute da parte degli indagati giustificano il permanere del vincolo sull’intero importo sequestrato”.
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