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Giurisprudenza

La conformità al diritto comunitario va verificata anche d’ufficio

Confermata l’esenzione dall’imposta di registro soltanto per le mere fusioni di società

aula della Corte di cassazione
Il principio di effettività della normativa comunitaria comporta che la verifica di conformità del diritto nazionale con quello comunitario deve essere svolta anche d’ufficio, e può comportare anche nuovi accertamenti di fatto, come nell’ipotesi di jus superveniens. Qualora, quindi, la questione sia posta nel giudizio nel giudizio di legittimità e la Corte di cassazione non disponga del necessario materiale fattuale, è necessario che la controversia sia rimessa al giudice di merito per gli accertamenti di fatto.
Questo il principio sancito dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 16130 del 20 luglio 2007, con la quale, in definitiva, è stato affermato che gli atti consistenti in un conferimento di beni immobili o di complessi aziendali non possono beneficiare dell’agevolazione prevista dalle direttive comunitarie e, quindi, sono da assoggettare a imposta di registro secondo l’ordinario regime nazionale.

La vicenda
La controversia in esame è scaturita dall’impugnazione di un diniego di rimborso relativo all’imposta proporzionale versata per la registrazione dell’atto pubblico con il quale una società veniva scissa e le attività costituenti la divisione venivano conferite a un’altra società. La ricorrente, in sostanza, chiedeva l’applicazione dell’agevolazione prevista dalle direttive comunitarie n. 69/335, n. 73/80 e n. 85/303.

La domanda veniva respinta in primo grado in quanto l’atto doveva essere tassato secondo la normativa interna all’epoca vigente, senza possibilità di applicazione retroattiva delle norme di recepimento delle direttive.
La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello della società, osservando che le direttive erano sufficientemente precise e incondizionate, per cui, sussistevano i presupposti per l’esonero dall’imposta di registro.
Da qui, il ricorso per cassazione dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha sostenuto, in via principale, che le suddette direttive non vietavano di applicare un’imposta proporzionale di trasferimento al conferimento in società di un’azienda commerciale, il che era avvenuto attraverso l’operazione di scissione e incorporazione.

Le motivazioni
La Corte, ritenendo infondata la questione preliminare di inammissibilità del ricorso proposta dalla difesa delle società, ha evidenziato che nella specie "trattandosi di verificare la conformità del regime ordinario di tassazione (secondo quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria) al diritto comunitario, in forza del principio di effettività contenuto nell’art. 10 del Trattato dell’Unione Europea, l’indagine deve essere compiuta d’ufficio, anche a prescindere da specifiche istanze di parte, con conseguente inoperatività di preclusioni processuali, quali quelli derivanti dalla caratteristica di processo ad oggetto chiuso, come il giudizio di cassazione".
Tale regola, enunciata da una costante giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, è stata interamente recepita dalla giurisprudenza interna di legittimità con la sentenza a Sezioni unite n. 26984 del 18 dicembre 2006.
In definitiva, la regola dell’autosufficienza del ricorso non può ostare all’attuazione piena del principio di effettività, in quanto è dovere del giudice l’applicazione puntuale del diritto comunitario al rapporto in contestazione, con le necessarie indagini di fatto.

Passando al merito della questione, i Supremi giudici hanno accolto le censure svolte dall’Amministrazione finanziaria, la cui tesi è risultata suffragata sia dalla giurisprudenza interna che da quella comunitaria (cfr. Cassazione, sentenza n. 10059/2000 e Corte di giustizia, causa C-42/96).

In particolare, da una parte la giurisprudenza comunitaria ha affermato che, in forza della deroga contenuta nell’articolo 12, n. 1, lettera b), della direttiva n. 69/335, gli Stati membri possono riscuotere un’imposta sul trasferimento in caso di conferimento a una società di beni immobili o di complessi aziendali, in quanto l’imposizione colpisce il primo fenomeno, e non una concentrazione di capitali, con il solo limite del divieto di discriminazione rispetto al regime fiscale di operazioni similari. Dall’altra, la giurisprudenza interna ha ritenuto che l’agevolazione della già citata direttiva non si applichi all’imposta di registro dovuta a seguito di conferimento di immobili in società (cfr. Cassazione, sentenze nn. 11155/2000, 1001/2001, 11377/2000, 17050/2006).

Conclusioni
La Corte di cassazione ha aderito pienamente al suddetto orientamento giurisprudenziale, affermando che, ove gli atti sottoposti a registrazione fossero consistiti in un conferimento di immobili o complessi aziendali, gli stessi non potevano beneficiare dell’agevolazione prevista dalle direttive ed erano, quindi, da assoggettare a imposta di registro secondo l’ordinario regime nazionale.
L’applicazione di tali principi ha comportato la cassazione con rinvio della sentenza impugnata con assorbimento delle altre censure, in quanto la Corte non poteva stabilire se gli atti in contestazione avessero o meno dato luogo al conferimento di beni, di rami d’azienda o di complessi aziendali, ovvero a fusione di società. In quest’ultima ipotesi, non si sarebbe verificato un trasferimento di singoli beni, ma una successione dell’incorporante o della nuova società nel complesso di rapporti giuridici facenti capo alla società incorporata o alle società fuse, ipotesi per la quale non opera la riserva contenuta nell’articolo 12, n. 1, lettera b), della direttiva e, quindi, va esclusa l’applicazione dell’imposta di registro.
In conclusione, è stato affermato che il giudice del rinvio dovrà anche applicare i principi in materia di onere della prova, i quali impongono che i presupposti di un regime fiscale agevolativo devono essere provati dal soggetto che ne invoca l’applicazione.
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