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Giurisprudenza

Congiunti in dichiarazione per scelta:
responsabili in solido per dovere

L’assenza di capi d’imputazione a carico della consorte, non coinvolta a nessun titolo nel procedimento penale del marito, non ha alcun effetto in ambito tributario

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In caso di dichiarazione congiunta dei redditi, anche la moglie risponde dei ricavi in nero contestati dal Fisco all'altro coniuge evasore, non rilevando la circostanza che la prima è estranea alla frode fiscale.
In questi termini ha sentenziato la Corte di cassazione che, con la sentenza 19026 del 10 settembre, nel ribadire un principio fortemente consolidato in tema di dichiarazione congiunta (cfr Cassazione 27005/2007 e 5202/2003), ha ritenuto sussistente la responsabilità solidale, laddove i redditi contestati al marito sono il provento di fatti illeciti, integranti una fattispecie da reato.

 
Il fatto
Il contenzioso riguarda un commercialista a cui l’ufficio aveva contestato l'omessa contabilizzazione di proventi da attività illecita, consistente in un'operazione di false fatturazioni realizzate nell'interesse di alcune società inattive.
L'accertamento veniva notificato anche alla moglie che si era detta estranea all'attività del marito.
 
La Ctp accoglieva parzialmente il ricorso dei coniugi; in particolare, i giudici di primo grado, sulla scorta della sentenza (ex articolo 444 cpp – patteggiamento) emessa dal giudice penale nei confronti del marito, riqualificavano il profitto tratto dalla commissione dell'illecito “nei limiti del 5 -10 per cento del fatturato”.
 
Successivamente la Ctr, su appello di entrambi i coniugi, riteneva fondata la pretesa erariale nella misura del 10% del fatturato, oltre le relative sanzioni, mentre escludeva la responsabilità solidale della moglie nei confronti dell'Erario, visto che dagli atti processuali era emersa la sua totale estraneità alla frode.
 
A questo punto, il contenzioso approdava in Cassazione su ricorso dell’ufficio, articolato in questi termini: violazione dell'articolo 654, avendo i giudici della Ctr ritenuto di potere estendere al giudizio tributario gli effetti del giudicato penale emesso dal Gup, in applicazione della pena su richiesta dell'imputato ex articolo 444; violazione e falsa applicazione dell'articolo 17 della legge 114/1997, dovendo ritenersi legittimo l'avviso di accertamento conseguente all'attività illecita di uno dei due coniugi, stante il requisito della dichiarazione congiunta.
 
La decisione
Il ragionamento del collegio di merito, circa l'assenza di responsabilità a carico della moglie non coinvolta a nessun titolo nel procedimento penale del marito, non ha convinto i giudici di legittimità, che hanno cassato la sentenza impugnata, decidendo la causa nel merito.
 
In relazione al primo motivo di ricorso, la Corte ha ricordato “che la struttura e la finalità del giudizio tributario, volto ad accertare l'obbligazione tributaria, mal si conciliano con l'efficacia vincolante del giudicato conseguito in sede penale, che può essere valutato ai fini del libero convincimento del giudice ex art.116 cpc solo come elemento a carattere presuntivo ed indiziario”.
In particolare, evidenziano i giudici, “l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto, può essere ritenuto responsabile fiscalmente, laddove l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario”.
 
Nel merito, invece, si ribadisce con forza quanto sancito ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 17, legge 114/1977, avallando in toto il meccanismo procedurale applicato dal Fisco.
Secondo quanto previsto dal citato articolo 17, in caso di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi, gli accertamenti in rettifica sono effettuati a nome di entrambi e notificati solo nei confronti del marito, anche se la moglie è responsabile in solido per il pagamento delle imposte, sanzioni e interessi.
 
Nello specifico, si tratta di un’ipotesi di solidarietà dipendente (cfr Cassazione, sentenza 19056/2006), non lesiva dei “principi di eguaglianza e capacità contributiva”, visto che la redazione della dichiarazione congiunta è frutto di una libera scelta dei contribuenti, consapevoli delle conseguenze giuridiche e fiscali che essa comporta.
Tale disciplina, di certo, non viola il diritto di difesa della moglie, potendo quest’ultima far valere le proprie ragioni e “impugnare, anche per il merito, il primo avviso a lei successivamente notificato (cfr: Cass n.19239/2012; Cass.15570/2010)”.
 
Ad avviso della Corte, la responsabilità solidale dei coniugi, che hanno presentato dichiarazione congiunta dei redditi, opera anche nel caso in cui i redditi accertati nei confronti del marito siano costituiti da proventi derivanti da reato (cfr Cassazione 27005/2007 e 5202/2003), posto che il richiamato articolo 17 pone “sullo stesso piano i coniugi che abbiano presentato dichiarazione congiunta dichiarandoli entrambi responsabili in solido per il pagamento delle imposte e che, con la volontaria, libera scelta di presentare la dichiarazione congiunta i coniugi dichiaranti hanno accettato anche i rischi inerenti alla disciplina propria dell'istituto”.
 
Ovviamente, sottolinea la Cassazione, non essendo l'obbligazione assunta dal coniuge “relativa ad un proprio debito, ma derivante da vincolo di solidarietà nei confronti dall'altro coniuge, ove la contestazione del maggior reddito nei confronti di quest'ultimo venga a cadere, cade anche l’obbligazione assunta, in via solidale, dall’altro coniuge”; si tratta del logico corollario del principio di accessorietà, di cui la fideiussione, in ambito civilistico, è la principale espressione.
 
In definitiva, la presunzione di solidarietà passiva, in campo fiscale, si spiega con l’esigenza di agevolare e garantire la riscossione del credito erariale, anche se le contestazioni muovono da fatti illeciti.
Difatti, la solidarietà tributaria si presenta, allo stesso modo di quella civilistica, come un modo di attuazione del rapporto obbligatorio che può manifestarsi sia come contitolarità di una posizione debitoria fra più soggetti, caratterizzata dall’esistenza di un interesse comune a tutti (solidarietà paritetica), sia – come nel caso in esame – come una situazione di presenza di più obbligati, con un interesse unisoggettivo, riferibile cioè a uno solo (solidarietà dipendente).
Circostanza, questa, che non comporta il rischio di responsabilità oggettiva a carico della moglie rimasta estranea alla frode, visto che i coniugi sono messi, fin dall’inizio, nella condizione di scegliere le modalità di presentazione della dichiarazione.
 
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, infatti, la dichiarazione dei redditi congiunta costituisce una facoltà che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, “produce conseguenze (vantaggiose ed eventualmente svantaggiose) che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime, a prescindere dalle successive vicende del matrimonio”. (Cassazione, ordinanza 17160/2014).
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