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Giurisprudenza

La “conoscibilità” dei documenti
autorizza la ricostruzione presuntiva

Riprodotto in motivazione il contenuto essenziale dell’atto, è corretto l’operato dell’ufficio che ha legittimamente deciso di non allegare l’atto sul quale l’accertamento si fondava

ricostruzione

L’accertamento basato sullo “spesometro integrato” è legittimo anche senza allegazione dell’elenco clienti e fornitori. È corretto infatti l’operato dell’ufficio che, nel caso di accertamento motivato per relationem, non allega gli ulteriori documenti su cui si fonda la pretesa tributaria quando la motivazione ne riproduce il contenuto essenziale, ossia tutti gli elementi necessari al contribuente per esercitare il proprio diritto alla difesa e, eventualmente, al giudice per accedere alle informazioni su cui si basa l’accertamento del reddito imponibile.
Questo in estrema sintesi il contenuto dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 1134 del 20 gennaio 2020.

Il fatto
La controversia concerne il ricorso proposto da una società contro un avviso di accertamento ai fini Iva, emesso dall’Agenzia delle entrate sulla base delle risultanze di un controllo fiscale. Avendo constatato l’omessa presentazione della dichiarazione nel periodo d’imposta accertato e non avendo ricevuto risposta alla richiesta di documenti, l’ufficio aveva proceduto alla ricostruzione presuntiva del volume d’affari sulla base delle informazioni contenute nell’elenco clienti/fornitori, ricavando anche l’imposta evasa.
Il ricorso proposto avverso l’atto impositivo è stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale e la decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale, sul presupposto del difetto di motivazione dell’atto. In particolare i giudici d’appello hanno considerato l’atto illegittimo perché la motivazione non recava in allegato l’elenco dei clienti/fornitori sul quale era fondato l’avviso di accertamento. Tale omissione, a parere del giudice di merito, aveva privato la contribuente del diritto di difesa perché non consentiva la ricostruzione dell’imponibile fiscale accertato. Il prospetto riportato, infatti, conteneva esclusivamente i dati della controparte e l’imponibile delle operazioni ricostruite, ma nulla recava circa “la natura delle prestazioni, il loro esatto singolo importo e la data in cui si sarebbero svolte.”
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la decisione d’appello deducendo, come motivo principale, violazione dell’articolo 7 della legge n. 212/2000 e dell’articolo 43 del Dpr n. 600/1973 nella parte in cui la sentenza ha escluso valenza probatoria ai dati contenuti nel cosiddetto “spesometro integrato”, utilizzati dall’ufficio ai fini ricostruttivi in ragione della mancata risposta da parte della contribuente alla richiesta di documentazione inviata dall’ufficio.
Il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria è stato accolto dai giudici della suprema Corte che hanno deciso per la cassazione della sentenza impugnata, rinviata alla Ctr in diversa composizione.

La decisione
Nel procedimento in commento la Ctr ha dichiarato l’illegittimità dell’avviso di accertamento sul presupposto del difetto di motivazione perché l’atto, motivato per relationem, non recava in allegato l’ulteriore documento (nel caso di specie l’elenco clienti e fornitori) sul quale era fondato l’accertamento dell’ufficio, in apparente violazione dell’articolo 7, comma 1, della legge n. 212/2000 che dispone l’obbligo di allegazione nell’ipotesi in cui, nella motivazione dell’atto impositivo, si faccia riferimento ad un altro atto.
La Corte di cassazione ha invece criticato l’operato del giudice di merito, palesemente erroneo perché contrario al principio per cui non è necessaria la materiale allegazione dell’atto richiamato nella motivazione ogniqualvolta l’Amministrazione finanziaria pone il contribuente nella posizione di poter conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali.
La pronuncia in commento richiama il concetto di “conoscibilità” dei documenti richiamati dall’Amministrazione finanziaria, marcando ancora una volta l’approccio sostanziale e non meramente formale della Corte di cassazione in merito alla valutazione della motivazione degli atti tributari.
Invero, in tema di motivazione per relationem, l’obbligo di allegazione del documento richiamato nella motivazione dell’atto impositivo, previsto dall’articolo 7 della legge n. 212/2000, deve essere coniugato con il disposto di cui all’articolo 42 del Dpr n.. 600/1973 per cui, se la motivazione fa riferimento ad un altro atto “non conosciuto ne' ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

In altri termini, la motivazione dell’atto tributario può ben richiamare elementi di fatto contenuti in altri atti o documenti, collegati all’atto notificato, ma non per questo sorge un obbligo assoluto di allegazione dei medesimi, a condizione che la motivazione ne riproduca il “contenuto essenziale”. Proprio su tale locuzione si sono concentrate diverse pronunce della Corte di cassazione, costantemente concorde nel ritenere che per tale debba intendersi “l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato e la cui indicazione consenta al contribuente –e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale- di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento.” (cfr. Cassazione n. 20943/2019, n. 20416/2018, n. 9323/2017, 26472/2014).

Calando tale principio al caso di specie, caratterizzato da una condotta omissiva della società, la Corte di cassazione ha ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento perché recante la specifica indicazione degli elementi concernenti le negoziazioni della società accertata con i terzi e gli importi delle relative prestazioni. Di conseguenza, avendone riprodotto in motivazione il contenuto essenziale, deve ritenersi corretto l’operato dell’ufficio che ha legittimamente deciso di non allegare l’atto sul quale l’accertamento si fondava.
 

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