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Giurisprudenza

Il consolidato non esclude il reato.
Rilevanti le singole dichiarazioni

L’adesione al regime non sottrae l’imprenditore, in deroga al divieto sancito dall’articolo 9, dalla responsabilità penale per i delitti previsti dagli articoli 2 e 8 del Dlgs 74/2000

In caso di false fatturazioni tra società dello stesso gruppo, le singole dichiarazioni reddituali delle imprese consolidate sono da ritenersi inficiate da “elementi passivi fittizi” e da considerarsi, dunque, penalmente rilevanti, configurandosi le fattispecie delittuose di emissione e utilizzo di documenti per operazioni inesistenti.
 
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11034 del 13 marzo scorso.
 
I reati contestati e i giudizi di merito
Nella sua qualità di legale rappresentante di una società in regime di consolidato nazionale, un imprenditore era indagato per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000), e di emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8 del medesimo decreto). Al termine del giudizio di primo grado il tribunale lo condannava alla pena detentiva. La Corte di appello, a parziale riforma della pronuncia, riduceva parzialmente la reclusione inflitta. Avverso la sentenza di secondo grado l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo l’esclusione del concorso tra i reati ascrittigli e l’insussistenza del dolo specifico richiesto dalle fattispecie criminose.
 
Il giudizio di legittimità e le precisazioni della corte
Il ricorrente ha ritenuto, in primo luogo, non configurabile il concorso, previsto dall’articolo 9 del Dlgs 74/2000, tra i reati disciplinati dagli articoli 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) dello stesso decreto, essendo congiunte nella sua persona sia la posizione di emittente che quella di utilizzatore delle false fatture.
 
La Corte non ha ritenuto meritevole di accoglimento questa doglianza.
Nell’esaminare l’eccezione della parte ricorrente, i giudici di legittimità hanno evidenziato come l’emissione di fatture per operazioni inesistenti configuri un’ipotesi indipendente e distinta da quella, a essa speculare, dell’utilizzazione fraudolenta degli stessi documenti fittizi.
Pur essendo connotate da un’evidente complementarietà (all’emissione del documento fittizio corrisponde, infatti, la ricezione e il susseguente utilizzo in sede di dichiarazione), le due condotte sono da reputarsi “ontologicamente incompatibili nelle rispettive strutture precettive, così da escludere qualsivoglia possibilità di concorso dell’emittente con l’utilizzatore”.
 
Sul punto la Corte sottolinea che l’articolo 9 del Dlgs 74/2000, in deroga ai principi generali sul concorso di persone nel reato (articoli 110 e seguenti del codice penale), dispone da un lato che “l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 2”, e dall’altro che “chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 8”.
Il divieto sancito dall’articolo 9 presuppone, dunque, che chi emette le fatture false e chi le utilizza siano persone fisiche distinte; nella vicenda in esame, invece, posto che l’emissione delle fatture false e il loro utilizzo sono riconducibili allo stesso soggetto, il divieto suddetto non può trovare applicazione. Difatti, l’imputato, da un lato ha direttamente prodotto le fatture false, quale legale rappresentante o amministratore di una società del gruppo e, dall’altro, ha indicato le stesse fatture quali elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale di un’altra società, dallo stesso amministrata.
 
Il ricorrente ha lamentato, inoltre, l’insussistenza del dolo specifico prescritto dalle fattispecie di reato, in quanto la finalità evasiva sarebbe da escludersi in base alla circostanza che entrambe le società amministrate fanno parte dello stesso gruppo. Andrebbe quindi esclusa – secondo l’imputato – la possibilità, per ciascuna società del gruppo, di conseguire un proprio vantaggio, in quanto i maggiori costi di una compagine sarebbero compensati dai maggiori ricavi dell’altra.
 
A tal proposito la Corte ha sottolineato che la disciplina del consolidato nazionale (articoli 117 e seguenti del Tuir) consente di far sorgere un’unica obbligazione tributaria a fronte di più soggetti passivi legati tra di loro da un rapporto di controllo. La tassazione di gruppo che viene a crearsi permette di determinare, in modo aggregato, la base imponibile; ciò nonostante, ogni società che fa parte del consolidato, compresa la consolidante, è tenuta a presentare una propria dichiarazione reddituale.
In questo contesto, la società consolidante deve presentare un’ulteriore dichiarazione (modello Cnm) che riepiloga la somma algebrica dei redditi e delle perdite delle società del gruppo, e deve, inoltre, procedere alla liquidazione dell’imposta dovuta all’Erario.
Come chiarito dai giudici di legittimità, soltanto le dichiarazioni presentate dalle società singolarmente considerate possono configurare la fattispecie delittuosa prevista dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti); infatti, è solo in queste dichiarazioni che sono ravvisabili “eventuali elementi passivi fittizi” derivanti dall’utilizzo di fatture false.
Di conseguenza – precisa la Corte – non rileva penalmente la dichiarazione presentata dalla consolidante: questa dichiarazione risulta, infatti, influenzata da un’eventuale indicazione di elementi passivi fittizi avvenuta a monte, nelle singole dichiarazioni di ciascuna società del gruppo.
 
D’altro canto, deve ritenersi sussistente altresì il reato ex articolo 8 del Dlgs 74/2000 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) da parte dell’imputato quale amministratore della società che emette le fatture per operazioni inesistenti; la fattispecie delittuosa si perfeziona con l’emissione di fatture o altri documenti ideologicamente falsi a prescindere dal loro concreto utilizzo e dalla dichiarazione fiscale “di gruppo” della consolidante.
Il ricorso è stato, pertanto, rigettato, con annessa condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 cpp, al pagamento delle spese processuali.
 
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