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Giurisprudenza

La Consulta ridisegna i confini della giurisdizione fiscale

Delimitata la sfera di competenza delle commissioni tributarie in materia di Cosap e Tosap

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Con la recente sentenza 64 del 10 marzo, la Corte costituzionale ha inciso in modo netto sulla giurisdizione delle Commissioni tributarie, sancendo l'illegittimità costituzionale dell'attribuzione a tali organi giurisdizionali della cognizione delle cause in merito al canone per l'occupazione di aree pubbliche (Cosap), che a norma della vigente legislazione è alternativo alla relativa tassa (Tosap).
La sentenza 64/2008 della Corte costituzionale è di grande interesse per la definizione di tributo e per la delimitazione della giurisdizione tributaria che contiene.

Il quadro normativo di fondo
La Finanziaria del 2003 aveva modificato l'articolo 2 del Dlgs 546/1992, estendendo la giurisdizione tributaria anche alle controversie sulla debenza della Cosap.
Ciò ha determinato un ampliamento delle materie riservate a tale giurisdizione, che ha sollevato subito il dubbio di incostituzionalità della novità normativa; la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi su due questioni, che rivestono un ruolo fondamentale nell'ambito del diritto tributario in generale e in quello del contenzioso, in particolare.

La prima questione: la conformità alla Costituzione della giurisdizione tributaria
Ripercorrendone l'iter logico-argomentativo, il giudice delle leggi ha ricordato quanto dispongono l'articolo 102 e la VI disposizione transitorie:

 

  1. è vietato creare nuovi giudici speciali, diversi da quelli preesistenti alla vigente Costituzione
  2. è fatto obbligo, al legislatore ordinario, di procedere alla revisione dei detti giudici speciali anteriori alla Costituzione, ad eccezione di quelli (Consiglio di Stato, Corte dei conti) previsti da altre norme costituzionali.

Sulla base di tale assunto, la Corte ha affermato che non è vietato modificare la disciplina normativa delle Commissioni tributarie anteriori alla Costituzione, a condizione che il risultato della revisione sia pur sempre conforme ai principi e alle norme della Costituzione vigente, sicché è costituzionalmente accettabile solo una modifica che non alteri la natura della giurisdizione tributaria, così come essa venne originariamente configurata.

Sul punto di quale sia tale originaria natura, la Consulta, con l'ordinanza 144/1998, ebbe modo di chiarire, a proposito dei Dlgs 545 e 546 del 1992, di riordino della disciplina ordinamentale delle Commissioni tributarie e di quella processuale del contenzioso tributario, che la modifica di tale normativa pur comportando, tra l'altro, l'ampliamento delle competenze delle stesse Commissioni tributarie (con l'aggiunta delle imposte locali), non violava l'articolo 102 della Costituzione in quanto la loro giurisdizione rimaneva confinata alle controversie tributarie.
In conclusione, quindi, secondo i giudici costituzionali, il legislatore non ha la discrezionalità di attribuire alle Commissioni tributarie (considerate, fin dalla fondamentale sentenza 287/1974, organi speciali di giurisdizione), tutte le controversie relative a prestazioni patrimoniali imposte che non siano tributi.
La giurisdizione tributaria può essere riconosciuta costituzionalmente legittima (cfr. sentenze 287/1974 e 215/1976) solo se a essa sono devolute materie propriamente tributarie. Si giunge così alla seconda questione attinente, più in generale, alla nozione di tributo.

La seconda questione: la nozione di tributo
Il punto di diritto affermato dalla Consulta (ai giudici tributari vanno solo controversie in materia tributaria) investe in pieno la nozione di tributo rilevante ai fini costituzionali e in particolare se sia possibile operare ancora una distinzione tra tassa e imposta.
Secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, al fine di qualificare una controversia come tributaria, è del tutto irrilevante il nomen juris che il legislatore attribuisce a essa.
Al contrario, per definire la materia tributaria, è necessario riferirsi all'articolo 53 della Costituzione piuttosto che all'articolo 23, in quanto la coattività è sì elemento essenziale del tributo, ma non distintivo.

Pertanto, non è tributario ogni prelievo coattivo, come i canoni in esame, che sono pur sempre prestazioni patrimoniali imposte, ma solo quei prelievi che, sebbene coattivi, presentano, da un lato, un nesso sostanziale con un presupposto economicamente valutabile, rilevante quale indice di capacità contributiva e, dall'altro, un vincolo di destinazione del gettito derivante da tale prelievo a concorrere a coprire le spese pubbliche (v. sentenze 26/1982, 63/1990, 73/2005).
Di conseguenza, ove sia accertata la mancanza di tale nesso, si deve affermare la natura non tributaria della materia e, di conseguenza, l'impossibilità di attribuirla alla cognizione dei giudici tributari, per illegittimità costituzionale.

Ad esempio, non sarebbe sufficiente, al fine di negare lo "snaturamento" della materia attribuita alla giurisdizione tributaria, affermare che le controversie relative ad alcuni particolari canoni, pur non avendo natura tributaria, sono legittimamente attribuite alla cognizione delle commissioni tributarie per la sola ragione che il fatto generatore delle suddette prestazioni patrimoniali è simile al presupposto che, in passato, avevano avuto alcuni tributi.
Neppure sarebbe sufficiente addurre mere ragioni di opportunità per giustificare, sul piano costituzionale, la cognizione, da parte dei giudici tributari, di controversie non tributarie riguardanti fattispecie in qualche misura simili a quelle propriamente tributarie.

Al contrario, il difetto della natura tributaria della controversia fa necessariamente venir meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che l'attribuzione a tale giudice della cognizione della suddetta controversia si risolve inevitabilmente nella creazione, costituzionalmente vietata, di un "nuovo" giudice speciale e nella consequenziale devoluzione della controversia alla giurisdizione ordinaria.

Impatto della sentenza in esame
Nel caso di specie, la pronuncia in discorso determina uno spostamento di giurisdizione, a favore del giudice ordinario, delle controversie relative al canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (articolo 63 del Dlgs 446/1997).
Infatti, secondo la giurisprudenza della Cassazione, il Cosap non avrebbe natura tributaria (sentenze 14864/2006, 1239/2005, 12167/2003) e le relative controversie, vertendo su diritti soggettivi, appartengono naturalmente (ex articoli 25 e 102 della Costituzione) alla giurisdizione del giudice ordinario.

Più in generale, al di là del caso specifico, la pronuncia rischia di sconvolgere l'attuale assetto della giurisdizione tributaria, riducendo l'ambito di competenza delle Commissioni tributarie e, nel contempo, allargando quello della giurisdizione ordinaria.
Tutti gli obblighi patrimoniali dei cittadini nei confronti dell'amministrazione pubblica, se non sono qualificabili come tributi, in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, escludono, per definizione, la giurisdizione delle Commissioni tributarie.
Il rischio è che l'intero settore delle imposte locali, e soprattutto delle tasse (alle quali non si applica l'articolo 53 della Costituzione, come evidenziato nella fondamentale sentenza della Consulta 23/1968), passi in blocco al giudice ordinario, competente in materia in base all'articolo 9 del Codice di procedura civile.

Infine, ulteriore ricaduta di questa decisione riguarda l'articolo 75 della Costituzione, la cui portata applicativa tenderà a espandersi alle leggi istitutive di obblighi non tributari, le quali risultano ora suscettibili di referendum abrogativo.

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