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Giurisprudenza

La contabilità è nascosta o distrutta
se la prova è rinvenuta presso terzi

La condotta penalmente rilevante è dimostrata dal ritrovamento, in sede di verifica alla società fornitrice, delle fatture di vendita poi non reperite presso le società acquirenti

Ai fini dell’integrazione della condotta materiale del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall’articolo 10 del Dlgs 74/2000, la prova della originaria esistenza del documento, che si assume occultato o distrutto, può essere fornita anche mediante il rinvenimento, presso il fornitore, di fatture di vendita che l’acquirente, per contro, non è in condizione di esibire.
Questo, in sintesi, il principio affermato dalla terza sezione penale della Corte suprema nella sentenza n. 19106 del 9 maggio 2016.
 
La vicenda processuale
Nel corso di una verifica fiscale effettuata nei confronti di una società esercente l’attività di commercio all’ingrosso di generi alimentari venivano rinvenute alcune fatture attive intestate a due società acquirenti.
Dai controlli incrociati successivamente svolti, tuttavia, emergeva che dette società erano prive di un’adeguata struttura organizzativa, non avevano mai assolto i propri obblighi dichiarativi e non erano in grado di esibire la documentazione contabile e fiscale obbligatoria.
Alla luce di tali circostanze, si procedeva per il reato di “occultamento o distruzione di documenti contabili”, di cui all’articolo 10 del Dlgs 74/2000, nei confronti dei rappresentanti legali di dette società, che venivano riconosciuti colpevoli e condannati in entrambi i gradi di merito.
 
Avverso la pronuncia della Corte d’appello le parti proponevano ricorso deducendo, tra l’altro:
  • la violazione di legge penale e il vizio di motivazione in relazione alla configurazione dell’elemento oggettivo del reato, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente la condotta materiale, senza che vi fosse prova dell’esistenza del documento contabile che si assumeva occultato o distrutto, non potendo essa considerarsi integrata nel caso di mera mancata istituzione e tenuta delle scritture contabili
  • il vizio di motivazione, in relazione all’affermazione della responsabilità penale, per avere la Corte erroneamente attribuito la stessa al ricorrente, mero amministratore di diritto della società, omettendo di considerare il ruolo, di reale gestore e amministratore di fatto, svolto da altro soggetto, pure coimputato nell’ambito del medesimo procedimento.
La sentenza della Corte suprema
Con la pronuncia in commento, entrambi i ricorsi proposti vengono rigettati, in quanto ritenuti manifestamente infondati.
Premesso che la disposizione di cui all’articolo 10 del Dlgs 74/2000 prevede “una doppia alternativa condotta riferita ai documenti contabili (la distruzione e l’occultamento, totali o parziali), un dolo specifico di evasione, propria o di terzi e un evento costitutivo, rappresentato dalla sopravvenuta impossibilità di ricostruire, mediante i documenti, i redditi o il volume d’affari ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”, la Corte osserva quanto segue.
 
In merito alla ricorrenza dell’elemento oggettivo del reato, i giudici di legittimità, superando l’orientamento più risalente, secondo il quale sarebbe idonea, a tal fine, anche la condotta di chi si limiti a omettere l’istituzione e la tenuta della documentazione contabile (cfr Cassazione, 28656/2009), affermano di condividere un diverso e più recente indirizzo interpretativo che richiede, per l’integrazione della fattispecie penalmente rilevante, un comportamento attivo e commissivo di distruzione o di occultamento delle scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione (cfr Cassazione, 38224/2010 e 11643/2015).
 
Appare, infatti, evidente, ad avviso della Corte, “che si tratta di un reato a condotta vincolata commissiva con un evento di danno, rappresentato dalla perdita della funzione descrittiva della documentazione contabile. Ne consegue che la condotta del reato de quo non può sostanziarsi in un mero comportamento omissivo, ossia il non aver tenuto le scritture in modo tale che sia stata obiettivamente più difficoltosa, ancorché non impossibile, la ricostruzione ex aliunde ai fini fiscali della situazione contabile, ma richiede … un quid pluris a contenuto commissivo, consistente nell’occultamento o nella distruzione di tali scritture”.
 
Ebbene, ad avviso dei giudici di legittimità, la prova di tale occultamento o distruzione è stata individuata dalla Corte territoriale, con motivazione logica, aderente all’interpretazione della norma incriminatrice di cui sopra e giuridicamente corretta, nel rinvenimento, in sede di verifica nei confronti della società fornitrice, delle fatture di vendita successivamente non reperite, per contro, presso le società acquirenti.
 
La Corte, al riguardo – richiamando quanto dalla stessa affermato nella precedente sentenza 15236/2015 – ribadisce la correttezza della decisione di merito, laddove ha argomentato la condotta del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili con riferimento alle fatture passive, respingendo, quindi, l’obiezione secondo cui l’occultamento di una documentazione favorevole sarebbe automaticamente incompatibile con il dolo specifico di evasione richiesto dalla norma.
Invero, le fatture passive, oltre a incidere, comunque, sulla ricostruzione dei redditi del destinatario delle stesse, in quanto rappresentative di costi sostenuti, sono altresì dimostrative di un reddito in capo all’emittente, sicché risulta integrata anche la previsione del dolo specifico, atteso che quest’ultimo consiste testualmente, non solo nel fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, altresì, nel consentire l’evasione a terzi.
 
In merito, poi, all’attribuzione della responsabilità penale in capo all’amministratore di diritto della società acquirente, nessuna censura, ad avviso della Cassazione, può essere mossa all’operato della Corte d’appello, che, correttamente, ha ritenuto che la responsabilità dell’amministratore di diritto non possa essere esclusa dalla presenza di un amministratore “di fatto” nella gestione societaria, il quale risponde come autore principale, mentre il primo, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ai sensi degli articoli 40, comma 2, del codice penale e 2392 del codice civile.
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