La sentenza n. 12674 del 13/06/2005 della Corte di cassazione ha statuito che è ammissibile un accertamento analitico-induttivo a un'impresa alberghiera(1), pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto configgente con le regole fondamentali della ragionevolezza.
Giova osservare che il giudice del gravame aveva accolto l'appello del contribuente, annullando l'avviso di accertamento, poiché "basarsi sulla media dei ricarichi, da applicare ai costi delle varie materie e prodotti utilizzati, è un criterio sommario e approssimativo, se non altro perché non è detto che le quantità utilizzate per la confezione dei piatti o la somministrazione di bevande siano sempre le stesse, per cui le ricostruzioni dell'ufficio non hanno il carattere di prova certa, proprio perché basate su dati incerti".
In particolare , per il giudice di legittimità la pretesa erariale è fondata poiché:
- l'Amministrazione finanziaria, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ha operato un accertamento di tipo analitico-induttivo, il quale muove dai costi sostenuti ed esposti in contabilità dall'impresa per ritenere insufficienti i ricavi dichiarati; sulla base, infatti, dei ricarichi applicati negli esercizi consimili, si è ritenuto che detti ricavi non possano scendere sotto una soglia minima di redditività, con applicazione di un ricarico minimo del 200 per cento sul costo degli ingredienti e delle materie prime adoperate nell'esercizio
- l'Amministrazione ha ribadito di non avere applicato percentuali medie, bensì percentuali minime(2)
- dinanzi a una istruttoria documentale, la Commissione di secondo grado ha annullato l'avviso di accertamento con una motivazione di carattere generale: che l'applicazione di percentuali di ricarico costituisca di per sé un dato incerto, non adatto a corroborare un accertamento di maggiori ricavi. Tale conclusione, oltre che motivata in modo apodittico(3), è certamente errata. La giurisprudenza costante ritiene che anche in presenza di contabilità formalmente regolare, i ricavi possano essere ritenuti falsi in base alla loro sproporzione per difetto rispetto ai costi; e che in tale contesto sia possibile un accertamento analitico-induttivo, il quale tenga conto delle poste passive indicate dal contribuente per ricostruire i ricavi effettivi. Trattasi non già di accertamento induttivo tout court, ma di accertamento analitico-induttivo, che è sempre legittimo quando l'esposizione dei ricavi sia talmente ridotta rispetto ai costi da indurre a ritenere antieconomica la gestione. A proposito, si veda Cassazione 27.11.2000, n. 15266, che ha ritenuto ammissibile un accertamento induttivo "pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto configgente con le regole fondamentali della ragionevolezza". Nello stesso senso, Cassazione 9.2.2001, n. 1821, la quale ritiene legittimo un accertamento induttivo quando, pur in presenza di una contabilità formalmente corretta, essa possa essere considerata inattendibile in relazione all'antieconomicità del comportamento del contribuente.
In senso conforme si vedano ancora Cassazione 3.5.2002 n. 6337, 22.5.2002 n. 7487, 25.5.2002 n. 7690, 27.9.2002 n. 13995, quest'ultima in tema di applicazione delle percentuali medie degli studi di settore, che ha ritenuto non automaticamente applicabili. Nel presente caso, si tratta di percentuali minime.
NOTE:
1) La sezione. tributaria della suprema Corte di cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 9884 del 1° marzo 2002, depositata l'8 luglio 2002, che ha così statuito: "Nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità essendo sufficiente che l'esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d'impresa, ai sensi dell'art. 39 comma 1, lettera d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo l'accertamento che ricostruisce i ricavi di un'impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto capace, anche di per sé solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati (pur dovendosi, del pari ragionevolmente, sottrarre dal totale i tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l'uso da parte dei camerieri e simili)".
2) La suprema Corte di cassazione, con sentenza n. 15310 del 29/11/2000, ha così statuito: "In presenza di una contabilità regolarmente tenuta, l'accertamento dei maggiori ricavi dell'impresa non può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, difformità che, ove non raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tale da privare detta contabilità di ogni attendibilità, rimane sul piano dell'indizio, ove si consideri che gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su rigorosi criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo, e non possono, pertanto, da soli, senza il conforto di altri elementi, sia pure parimenti indiziari, configurare una prova per presunzioni".
3) Vd. Angelo Buscema, "La motivazione apparente è censurabile in cassazione" in FISCOoggi del 4 agosto 2004.