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Giurisprudenza

Contenzioso, quando il giudizio Ue prevale sul nazionale

L’avvocato generale della Corte, oppurtuno sospendere i giudizi in attesa che si pronunci la giustizia europea

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I giudici nazionali chiamati ad applicare disposizioni su tributi doganali non possono emettere decisioni in contrasto con il diritto comunitario. Se vi sono procedimenti pendenti è opportuno disporre la sospensione del giudizio in attesa che i giudici Ue si pronuncino sulla decisione della Commissione.

L’Avvocato generale, nelle conclusioni relative al procedimento C-375/07 dinanzi alla Corte di Giustizia Ue, ha esposto la propria tesi sulla rilevanza delle decisioni delle istituzioni comunitarie negli ordinamenti degli Stati membri e alla "buona fede" in materia di assolvimento dei tributi doganali (ex artt. 220, comma 2, lett. b) e 239, comma 1, del codice doganale comunitario, approvato con Regolamento n. 2913/CE del 12 ottobre 1992).

Le origini della controversia
Il caso controverso riguardava un’impresa olandese che aveva importato alcuni prodotti di carta di riso per i quali, in base alla classificazione merceologica attribuita dall’autorità doganale competente, era prevista la corrispondente tariffa sui dazi. L’impresa olandese confidava sulla costante applicazione da parte dell’autorità doganale olandese della tariffa prevista per la classificazione 19019099NC. Tuttavia, nel corso di una verifica svolta nel 1998 la medesima autorità classificava in modo diverso il prodotto (voce 19059020 KN) con applicazione (retroattiva) di dazi più elevati, pagati dalla medesima impresa. Nella fattispecie, l’importatore aveva chiesto il rimborso invocando l’articolo 239, comma 1, del codice doganale per quanto concerne le domande di rimborso o sgravio dei tributi doganali all’importazione per "circostanze che non implicano frode o negligenza da parte dell’interessato" perché aveva confidato sul comportamento in precedenza tenuto dall’autorità doganale competente sulla natura merceologica del prodotto.

Dalle autorità amministrative alla Corte Ue
Ne è derivata una controversia sollevata sia davanti alle autorità amministrative e giudiziarie nazionali olandesi quanto davanti agli organi comunitari per il riconoscimento dei propri diritti. In particolare, la Commissione europea aveva negato il rimborso con decisione del 17 giugno 2004, impugnata davanti al tribunale di I grado che, a sua volta, rigettava il ricorso con sentenza del 30 novembre 2006. Nell’odierna questione, nel corso del giudizio pendente davanti alla Hoge Raad der Nederlanden (la Cassazione olandese) è stata sollevata la questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia relativa alla individuazione della precisa natura merceologica delle merci in oggetto e, in particolare, del corretto comportamento cui sono tenuti i giudici nazionali quando sono pendenti altresì davanti agli organi comunitari dei procedimenti che interessano il diritto comunitario.

Il quadro normativo di riferimento
Il quadro normativo di riferimento, in breve, riguarda il sistema di tassazione doganale di cui all’art. 239 del codice doganale per quanto concerne le domande di rimborso o sgravio dei tributi doganali all’importazione per "circostanze che non implicano frode o negligenza da parte dell’interessato", che richiama il principio di "buona fede" dell’importatore nel caso di errori commessi dalle autorità doganali ex art. 220, par. 2), lett. b), del codice doganale comunitario (codice), nella parte in cui dispone l’esonero dalla "contabilizzazione a posteriori" dei dazi dovuti qualora il soggetto abbia "… agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana". Infine, in materia di rimborsi di dazi doganali, è prevista la competenza concorrente della Commissione europea, nei casi tassativamente previsti dall’art. 905, lett. c), del regolamento comunitario n. 2454/CE del 1993, nel testo modificato dal regolamento n. 1335/03/CE, in vigore dal 1° agosto 2003. In particolare, nel testo attualmente in vigore, la competenza della Commissione è limitata a tre casi tassativi; con riferimento all’ammontare dei dazi contestati, se superi i 500mila euro.

Le soluzioni proposte dall’Avvocato generale
Premessa la correttezza della classificazione merceologica successivamente richiesta dalle autorità doganali, confrontando alcuni precedenti giurisprudenziali, l’avvocato generale si è soffermato sull’interpretazione degli articoli 220, comma 2, lett. b) e 239, comma 1, del codice doganale comunitario. Ritiene l’organo comunitario che si tratta di due applicazioni diverse di un comune principio che conferisce valore alla buona fede dell’importatore nelle controversie del tipo esaminato. Precisamente, l’articolo 220, comma 2, lett. b), del codice riguarda la "contabilizzazione a posteriori", intendendosi come tale il diritto delle autorità doganali di richiedere il pagamento di maggiori dazi per effetto di verifiche e controlli sulle merci. L'articolo 220 individua i casi di esonero dalla contabilizzazione a posteriori, tra cui la buona fede. L’articolo 239, comma 1, del codice doganale, nella parte in cui prevede il diritto al rimborso qualora sia allegata l’esistenza di "situazioni diverse da quelle di cui agli articoli 236, 237 e 238" è di applicazione generale, ponendosi come norma di chiusura per tutte le fattispecie in relazione alle quali può ritenersi che vi sia "buona fede" da parte di chi ha presentato domanda di rimborso (cfr. Corte di Giustizia Ce, sentenza 25 luglio 2008, C-204/07). Sulla questione relativa al comportamento dei giudici nazionali, l’Avvocato generale ha espresso il parere che l’interesse tutelato sia la corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario negli Stati membri.

Le conclusioni
In ipotesi come quelle descritte, il giudice nazionale deve sospendere il procedimento pendente in attesa che la decisione della Commissione divenga definitiva o sia annullata, ovvero egli può proporre a sua volta questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia  (articolo 234 del Trattato CE). Al riguardo, viene citato un precedente della Corte (sentenza 14 dicembre 2000, C-344/98) resa in materia di diritto della concorrenza ed i cui principi sono ritenuti validi anche per le controversie doganali: "… i giudici nazionali, quando si pronunciano su accordi o pratiche che possono costituire ancora oggetto di decisione da parte della Commissione, devono evitare di adottare decisioni incompatibili con una decisione che la Commissione intende adottare (...) anche se quest'ultima è in contrasto con la decisione pronunciata da un giudice nazionale di primo grado".
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