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Giurisprudenza

La contestazione di esterovestizione
prescinde dall’abuso del diritto

Legittimi gli avvisi di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva notificati a una società di autotrasporto ritenuta, dalla Guardia di finanza, un soggetto occulto

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In tema di soggettività passiva ai fini Ires, i concorrenti criteri di collegamento previsti dall'articolo 73, comma 3 del Tuir si applicano al fine di attrarre in Italia la residenza di entità formalmente costituite all’estero, indipendentemente dalla sussistenza di finalità elusive volte a perseguire uno specifico vantaggio fiscale, che altrimenti non spetterebbe. Questo il principio di diritto enunciato dalla sezione tributaria della Corte di cassazione nella sentenza n. 34723 pubblicata il 25 novembre 2022.

Contenuto della sentenza
La controversia vede coinvolta una società di diritto sloveno a cui l’Agenzia delle entrate aveva notificato una serie di avvisi di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva in quanto l’ente, esercente attività di autotrasporto, all’esito della verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza era stato qualificato come soggetto esterovestito. Il ricorso proposto dalla società è stato respinto nel merito in entrambi i gradi di giudizio.
La società ha quindi impugnato la decisione della Ctr lamentando, in prima battuta, violazione dell’articolo 73, comma 3 del Tuir che, ai fini delle imposte dirette, considera fiscalmente residenti le società (e gli enti) che, per la maggior parte del periodo di imposta, hanno la sede legale, la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato.

A tal riguardo, lo status di soggetto passivo ai fini Ires è acquisito al verificarsi della sussistenza di un rapporto tra il soggetto giuridico ed il territorio di riferimento ravvisabile, alternativamente, sulla base del requisito formale della sede legale o dei requisiti fattuali che tengono conto della peculiare attività economica prevalentemente esercitata per conseguire lo scopo sociale o del luogo da cui promanano gli impulsi volitivi inerenti l'attività di gestione dell'ente.
Ai fini dell'imponibilità del reddito d'impresa, la Corte di cassazione ha richiamato il dettato dell'articolo 5 del modello di convenzione Ocse contro le doppie imposizioni, secondo cui il requisito necessario per l’applicazione dell’imposizione Ires è la presenza di un soggetto non residente in Italia, che si concretizza con la presenza di una "stabile organizzazione", i cui elementi costitutivi sono quello materiale ed oggettivo della "sede fissa di affari", e quello dinamico dell'esercizio in tutto o in parte della sua attività. Oltretutto detti elementi devono sussistere con riferimento al singolo anno d'imposta, considerata la loro propensione a variare nel tempo.

A completamento dell’analisi la Cassazione ha richiamato il concetto di "centro di attività stabile" ai fini Iva previsto dalla sesta direttiva n. 77/388/Cee, per cui è necessario che tale centro di attività presenti un grado sufficiente di stabilità ed una struttura idonea a rendere possibile lo svolgimento autonomo delle relative operazioni, che non si limiti all’esercizio di attività meramente preparatorie o ausiliari all’impresa (ad esempio l'assunzione del personale o l'acquisto dei mezzi tecnici necessari allo svolgimento delle attività dell'impresa).

Nel caso di specie la Ctr aveva condotto una attenta analisi che ha confermato la bontà degli elementi sostanziali sorti in sede di controllo (luogo dell'organizzazione dell'attività di impresa e della direzione), che hanno individuato in Italia la sede dell’amministrazione della società, in conflitto con il dato formale della sede legale stabilita all’estero.

Con un ulteriore motivo di doglianza la società ha lamentato che, a fronte della contestazione di esterovestizione, l’Amministrazione finanziaria non avesse provato né l’indebito vantaggio fiscale né l’insussistenza di valide ragioni economiche da parte della società. Ciò in quanto, secondo la ricostruzione della ricorrente, la fattispecie dell’esterovestizione rientrerebbe tout court nell’alveo dei fenomeni elusivi (e non evasivi).

La Corte di cassazione ha ritenuto, invece, che la contestazione di esterovestizione richieda un esame concreto dei criteri di collegamento previsti dall'articolo 73, comma 3 del Tuir - sede legale, dell'amministrazione o oggetto principale- a prescindere dal rilievo sul carattere abusivo della collocazione estera della società controllata. In altre parole, la verifica della residenza fiscale in Italia di una società formalmente residente all’estero, ai sensi del richiamato articolo 73, non richiede necessariamente l'imputazione e l'accertamento di una finalità elusiva volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale, che altrimenti non le spetterebbe.

Il collegio di legittimità, nel rigettare il ricorso della società, ha concluso sul punto affermando il seguente principio di diritto: “In materia di imposte sui redditi delle società, l'applicazione dei concorrenti criteri di collegamento di cui all'articolo 73, comma 3, Dpr n. 917/1986, della sede legale o sede dell'amministrazione od oggetto principale in Italia è compatibile con la contestazione da parte della Amministrazione finanziaria alla parte contribuente di un'evasione fiscale, a prescindere dall'accertamento di un 'eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe”.
Così decidendo, il Collegio di legittimità ha dato continuità al filone giurisprudenziale in base al quale la contestazione di esterovestizione prescinde dalla sussistenza di qualsivoglia forma di abuso del diritto, già affermato dalle sentenze n. 23150/2022 e n. 11709/2022 e n. 11710/2022. Tuttavia, per completezza si rileva l’esistenza di un altrettanto nutrito orientamento contrario della stessa Cassazione, secondo cui il fenomeno dell’esterovestizione rientrerebbe tra i fenomeni abusivi (Cassazione, sentenza n. 4463/2022, n. 7454/2022 e n. 8297/2022).

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