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Giurisprudenza

Conti bancari: presunzione di redditi
anche per i lavoratori dipendenti

Le movimentazioni non giustificabili dalla dichiarazione dei redditi possono allertare l’ufficio finanziario, indipendentemente dalla “tipologia” di contribuente

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È legittimo l’accertamento fondato sulle risultanze delle indagine bancarie condotte dall’Amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente che non sia lavoratore autonomo, a prescindere, quindi, dal tipo di attività svolta.
È questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione nella sentenza n. 8047 del 3 aprile.
I giudici di legittimità estendono anche ai lavoratori dipendenti la presunzione legale d’imponibilità prevista dagli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972 e posta a fondamento degli accertamenti bancari.

Sulla questione la Cassazione si era già espressa con la sentenza 19692/2011. In quella circostanza, i giudici di legittimità chiarivano, in linea con quanto statuito di recente, che “gli artt. 32 e 38 Dpr 600/1973 hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazione dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengono” (cfr Cassazione 1401/2011).

Accertamento bancario: inversione dell’onere della prova
In tema di accertamento delle imposte dirette, l’articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973, introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare di conti correnti bancari. Norma del tutto omologa, ai fini Iva, è prevista dall’articolo 51, primo comma, n. 2), del Dpr 633/1972.
Ciò significa “che la stessa legge ritiene certo fino a prova contraria, che deve essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un conto corrente intestato al contribuente sono al medesimo imputabili” (si vedano, tra le più recenti, le seguenti sentenze della Corte di cassazione: 20858/2007, 16720/2007, 13819/2007, 6743/2007, 19330/2006 e 14675/2006).

Il contribuente sottoposto a indagine fiscale deve rendere prova contraria, ossia dimostrare che le movimentazioni bancarie risultanti dal suo conto e non contabilizzate non generano reddito.
Il valore probatorio degli elementi raccolti (versamenti su conti non giustificati), pertanto, esonera l’ufficio dal dimostrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall’articolo 2729 del codice civile, con riferimento alle presunzioni semplici, la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice.
Le presunzioni legali relative previste dall’articolo 2728 del codice civile (presunzioni bancarie, redditometro), invece, dispensano l’Amministrazione dalla prova che però è trasferita in senso negativo a carico del contribuente.

Iter giuridico
Il contenzioso in esame origina da un avviso di rettifica Iva emesso dall’ufficio sulla base di elementi presuntivi, nello specifico versamenti non giustificati sul conte del contribuente.
I giudici di legittimità, pur respingendo il ricorso dell’Amministrazione, chiariscono che “L'art. 51 comma 2, nn. 2) e 7), del Dpr. 26 ottobre 1972 n. 633 accorda all'ufficio, in tema di Iva, il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione”.

Nel passaggio successivo, i giudici osservano che la presunzione d’imponibilità “ha portata generale e riguarda le dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, a prescindere dall'attività svolta”.
In definitiva, grava sul contribuente l’onere di provare la non imponibilità delle somme versate perché già contabilizzate o esenti da imposta, circostanza quest’ultima ampiamente provata dal ricorrente.
Il Collegio di legittimità, inoltre, nel respingere il ricorso incidentale della parte, ribadisce che “rientra nel potere dell'Amministrazione finanziaria, nell'ambito della previsione di legge, di scegliere il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, parte contribuente, in assenza di peculiarità pregiudizievoli, non ha titolo a dolersi della scelta operata (cfr Cassazione 8333/2012).

Osservazioni
In definitiva, le rettifiche conseguenti a indagini finanziarie hanno portata generale, potendo operare nei confronti di qualsiasi contribuente, sebbene l’articolo 32, comma 1, n. 2), nella formulazione applicabile ratione temporis, parlasse di soli “ricavi” e non di “compensi”. (la Finanziaria 2005 ha modificato l’articolo 32 aggiungendovi espressamente il termine “compensi”).
L’utilizzo dell’accezione “ricavi” non impedisce all’ufficio di presumere, per qualsiasi contribuente, che i versamenti effettuati su conti privi di giustificazione costituiscano reddito.
La giurisprudenza ha aggirato il dato testuale facendo riferimento a un presunto uso non tecnico del termine ricavo (cfr Cassazione 4601/2002).

La stessa norma, per come formulata, pone un limite alle sole rettifiche fondate su prelevamenti non contabilizzati.
Una spesa non giustificata, infatti, fa presumere la produzione di reddito per gli imprenditori e i lavoratori non dipendenti, dal momento che solo quest’ultimi sono nella condizione di poter attuare attività di investimento, quali presupposti per il conseguimento di ulteriori redditi.
Di contro i versamenti non giustificati possono, ragionevolmente, indurre l’ufficio al recupero delle somme non dichiarate anche se si tratta di lavoratori dipendenti.
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