Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Contrasto giurisprudenziale sui poteri istruttori del giudice tributario

L'incertezza riguarda l'individuazione dei limiti entro i quali vanno esercitati

_656.jpg

Con una serie di pronunce, la Corte di cassazione è intervenuta in materia di poteri istruttori del giudice tributario, disciplinati dall'articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (cfr. sez. V, 11 gennaio 2006, n. 330; 11 gennaio 2006, n. 366; 20 gennaio 2006, n. 1134).

In particolare, con la sentenza n. 330, la suprema Corte ha considerato legittima la decisione del giudice tributario che, di fronte al difetto di prova della pretesa tributaria, ha disposto una stima Ute, assunta poi come punto di riferimento per la decisione. Infatti, a parere della Corte "nel processo tributario, a norma dell'art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, le Commissioni tributarie, dotate di ampio potere estimativo anche sostitutivo, avvalendosi dei larghi poteri istruttori ad esse attribuiti possono acquisire aliunde gli elementi di decisione, demandando all'Ute accertamenti ritenuti necessari, prescindendo dall'accertamento dell'ufficio e dall'eventuale difetto di prova del suo assunto".

Con le sentenze n. 366 e n. 1134, la Corte ha ritenuto invece che il giudice tributario non può utilizzare gli strumenti di cui all'articolo 7 del decreto sul contenzioso tributario per supplire alle insufficienze probatorie della parte.
In particolare, con la pronuncia n. 366, la Cassazione ha considerato illegittimo il comportamento del giudice che dispone l'acquisizione della stima Ute non prodotta dall'Amministrazione; con la sentenza n. 1134, viene considerata non utilizzabile la stima Ute prodotta dalle parti, fuori dei termini di legge, a seguito della richiesta di acquisizione di documenti effettuata dal giudice ex articolo 7, comma 3, del Dlgs 546/92.
Infatti, secondo i giudici di legittimità, il citato articolo 7, che attribuisce alle Commissioni tributarie i poteri istruttori di ufficio, costituisce una norma eccezionale che non può essere utilizzata come rimedio ordinario per sopperire alle lacune probatorie delle parti, dal momento che il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d'ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell'onere probatorio, salvo che sia impossibile o sommamente difficile esercitarlo.

Le tre sentenze in argomento esprimono il contrasto giurisprudenziale formatosi in relazione alla individuazione dei limiti entro i quali i poteri istruttori dei giudici tributari possono essere esercitati.
L'articolo 7 del Dlgs 546/92 riconosce, infatti, alle Commissioni tributarie la possibilità di esercitare, "ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti", ampi poteri istruttori al fine di rafforzare il proprio convincimento.
In particolare, le Commissioni tributarie:

  • ai sensi del comma 1, possono esercitare "tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta".
    Pertanto, i giudici tributari, al fine di verificare la fondatezza e legittimità delle pretese avanzate dalle parti del giudizio, nei limiti dei fatti da esse dedotti, possono esercitare tutte le facoltà disciplinate dalle seguenti norme:
    • articoli 32 e 33 del Dpr 600/73, in materia di poteri degli uffici e di "accessi, ispezioni e verifiche"
    • articoli 51 e 52 del Dpr 633/72, in tema di poteri in materia di Iva
    • articolo 51 del Dpr 131/86, in materia di imposta di registro
    • articolo 47 del Dpr 346/90, per l'imposta sulle successioni e donazioni
    • articolo 13 del Dpr 347/90, in materia di imposte ipotecarie e catastali
  • ai sensi del comma 2, "quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica"
  • ai sensi del comma 3 (ora abrogato dall'articolo 3-bis del decreto legge 203/2005, convertito con modifiche dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248), hanno sempre "facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia".

Dal disposto dell'articolo 7 si desume che il processo tributario ha natura dispositiva quanto alla allegazione dei fatti, in quanto spetta esclusivamente alle parti la delimitazione del thema decidendum della controversia, ma ha natura inquisitoria quanto alla ricerca delle prove, in quanto il giudice tributario ha la possibilità di disporre d'ufficio di tutti i mezzi istruttori che ritiene necessari per una piena comprensione della materia del contendere, così come delineata dalle parti.
Il rischio prospettato in dottrina è che le Commissioni tributarie, data l'ampiezza dei poteri istruttori a esse spettanti, non si limitino a svolgere una funzione integratrice dell'attività istruttoria delle parti, ma si sostituiscano a esse, con una travalicazione dei limiti delineati dai fatti allegati dalle parti, snaturando la natura dispositiva del processo tributario.

In merito, ha assunto e assume rilevante importanza l'attività interpretativa della giurisprudenza, sia per la qualificazione di tali poteri istruttori, come facoltà o obbligo del giudice tributario, sia per la individuazione dei limiti entro i quali gli stessi possono e devono essere esercitati.
Sembra ormai consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'esercizio dei poteri istruttori del giudice tributario, di cui all'articolo 7 del decreto sul processo tributario, costituisce una facoltà discrezionale, in quanto meramente integrativa dell'onere probatorio delle parti, le quali fra l'altro non possono dolersi dell'uso che di essi il giudice abbia fatto (cfr. Cass. sez. V, 28 ottobre 2003, n. 16161; 9 maggio 2003, n. 7129).

Infatti, ritenere che il giudice tributario sia obbligato a sopperire di sua iniziativa alle lacune difensive dei contribuenti, esercitando così i poteri istruttori in funzione sostitutiva della attività probatoria di cui sono onerati i contendenti, è incompatibile con la posizione di terzietà del giudice tributario, il quale, data la natura dispositiva del processo tributario, deve esercitare i poteri istruttori "solo ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti", cioè al solo scopo di eliminare l'incertezza che ancora gravi sui fatti introdotti dalle parti nel giudizio (cfr. Cass. sez. V, 15 settembre 2003, n. 13504).
Secondo la Cassazione, il giudice è tenuto ad acquisire d'ufficio le prove solo quando sia impossibile o sommamente difficile per la parte assolvere l'onere probatorio, o comunque quando la situazione probatoria prospettata dalle parti non consente l'emissione di una sentenza adeguatamente motivata (cfr. Cass, 7 febbraio 2001, n. 1701; 25 maggio 2002, n. 7678; 30 maggio 2005, n. 11485).

Più controversa invece appare l'individuazione dei limiti entro i quali tali poteri possono essere esercitati.
Secondo un filone giurisprudenziale, peraltro minoritario, di cui è espressione la citata sentenza n. 330/2006, le Commissioni tributarie sono dotate di larghi poteri istruttori, esercitabili anche in sostituzione dell'iniziativa delle parti, in modo tale che i giudici tributari possono acquisire aliunde gli elementi di decisione prescindendo dagli accertamenti dell'ufficio e dagli eventuali difetti di prova (cfr. Cass. sez. V, 8 maggio 2000, n. 5776; 1° luglio 2003, n. 10374).
Altro orientamento della giurisprudenza, cui si uniformano le sentenze n. 366 e n. 1134 del 2006, ritiene invece che i poteri istruttori del giudice tributario svolgono una funzione solo integrativa dell'attività probatoria delle parti, e, pertanto, non possono costituire un rimedio alle lacune probatorie del giudizio né tanto meno espediente per una rideterminazione del thema decidendum della controversia (cfr. Cass. 24 novembre 2000, n. 15214; 15 giugno 2001, n. 8134; 4 maggio 2004 n. 8439).
Secondo tale ultimo orientamento, infatti, riconoscere al giudice tributario la possibilità di esercitare i poteri istruttori di cui all'articolo 7 citato anche nel caso in cui le parti non abbiano ottemperato all'onere probatorio, stravolge il carattere dispositivo del processo tributario, in quanto sarebbe il giudice stesso, e non le parti, a creare il supporto fattuale per la decisione della controversia. Inoltre, consentire l'acquisizione d'ufficio di prove non presentate dalle parti comporterebbe un aggiramento dei termini perentori previsti dalla legge per i depositi documentali.

La medesima esigenza di ricondurre i poteri istruttori delle Commissioni nei limiti del carattere dispositivo del processo tributario, oltre che dei termini perentori di produzione dei documenti, ha ispirato le recenti modifiche legislative in materia.
Infatti il citato articolo 3-bis del decreto legge 203/2005 ha abrogato il comma 3 dell'articolo 7, che, come anticipato, consentiva ai giudici tributari di ordinare in qualsiasi momento alle parti il deposito di documenti, a prescindere dal decorso dei termini di legge.
Secondo l'orientamento dominante della giurisprudenza, si trattava di un potere non sostitutivo dell'onere probatorio delle parti, ma integrativo e, quindi, esercitabile, solo nei casi in cui la parte non avesse potuto produrre la prova per fatti a essa non imputabili (cfr. Cass. sez V, n. 8439 del 2004 ).

Ma la formulazione alquanto generica della norma aveva dato adito a interpretazioni estensive, tanto da arrivare a sostenere che il giudice tributario avesse l'obbligo, e non la facoltà, di acquisire d'ufficio le prove, in caso di inerzia delle parti, stravolgendo il sistema degli oneri probatori (cfr. Cass. sez. V, 10 novembre 2000, n. 14624).
Pertanto, il legislatore, nell'intento di ridimensionare i poteri del giudice tributario, ha abrogato tale disposizione, "eliminando così ogni possibile limitazione al principio di legalità consacrato sul piano probatorio dall'art. 2697 del codice civile che impone dimostrazione - da parte di chi esercita lo ius impositionis - dei presupposti di fatto del credito fiscale controverso (in debenza e/o ammontare) e - da parte del soggetto passivo - dell'esistenza di evenienze estintive e/o modificative dell'obbligazione tributaria dedotta in lite" (cfr. Cass. sez. V, n. 366 del 2006).

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/contrasto-giurisprudenziale-sui-poteri-istruttori-del-giudice