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Giurisprudenza

Contratto di pronti contro termine
due i presupposti, due le tassazioni

La ritenuta effettuata sugli interessi maturati sui titoli non esclude l’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d'imposta del 12,50% sul relativo differenziale

due dita
L’articolo 2 del Dl n. 378/1992 – poi abrogato dall'articolo 16 del Dlgs n. 461/1997, di riordino della tassazione sulle rendite finanziarie – introdusse nel primo comma dell’articolo 41 del Tuir, nella numerazione precedente all’entrata in vigore dell’Ires, la lettera b-bis, con la quale veniva disciplinata la tassazione sulle operazioni di pronti contro termine, ossia di quel contratto col quale (di regola redatti nella stessa data) tra le stesse parti e con riferimento agli stessi titoli, due soggetti pongono in essere due operazioni contrattuali tra loro opposte e complementari. Più precisamente, vi è un’operazione a pronti, consistente nella cessione immediata di titoli azionari o obbligazionari da parte, generalmente, di un istituto finanziario a favore di un soggetto, generalmente privato, e una contrapposta operazione a termine, ossia di cessione da parte del precedente acquirente allo stesso istituto, a un prezzo prestabilito superiore a quello di acquisto in quanto maggiorato del rateo di interesse convenuto.
 
La sentenza della Corte di cassazione n. 4299/2015 opera una corretta interpretazione della disciplina sulla tassazione dei proventi derivanti da tali operazioni rinvenendo, in primo luogo, la relativa causa giuridica nel collegamento funzionale dei due contratti individuato per l’originario acquirente - poi cedente a termine (usualmente a breve, ossia nell’arco di uno/tre mesi) - nell'investimento finanziario, e per l’originario cedente - poi acquirente a termine - nel conseguimento di liquidità da utilizzare per le proprie attività.
 
La norma impositiva introdotta nella citata lettera b-bis dell’articolo 41 prevedeva che i proventi derivanti dalle cessioni a termine di obbligazioni e titoli similari sono costituiti dalla differenza tra il corrispettivo globale della cessione e quello dell'acquisto e che dal corrispettivo globale della cessione si deducono i redditi maturati nel periodo di valenza del contratto, in quanto soggetti alla ritenuta alla fonte prevista dall’articolo 26, comma 1 del Dpr n. 600/1973.
Il secondo comma dell’articolo 2 del Dl n. 378/1992 previde che, sul differenziale in tal modo rilevato, se percepito da soggetti diversi da quelli che subiscono la ritenuta alla fonte a titolo d'acconto sugli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e dei titoli similari, i soggetti eroganti (individuati nell'articolo 23, comma 1, del Dpr n. 600/1973) che intervengono in qualità di acquirenti nelle cessioni operano una ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 12,50%, con obbligo di rivalsa.
È da tenere conto che la tassazione con la cennata aliquota fissa del 12,50% su tale differenziale avviene in capo all'una o all'altra parte del contratto in dipendenza della circostanza che il prezzo di riacquisto della cedola sia risultato maggiore o minore rispetto a quello dell'acquisto, con l’effetto che si è di fronte a due tassazioni fondate su autonomi e differenti presupposti e non a una complementarietà/alternatività dell’applicazione delle due ritenute.
 
La controversia oggetto della decisione di legittimità in nota attiene all’istanza del venditore a pronti/acquirente a termine di rimborso della ritenuta alla fonte del 12,50% sul differenziale, perché operata sull'intero ammontare degli interessi maturati (nel caso di specie su titoli di Stato) dal contratto di pronti contro termine, anziché sui proventi scaturenti dalla “differenza tra il corrispettivo globale della cessione e quello dell'acquisto se l'acquisto è contestuale alla stipula del contratto a termine e gli interessi cedolari maturati nel periodo di valenza del contratto sui titoli oggetto dei pronti contro termine”, già soggetti a ritenuta alla fonte del 12,50% da parte del soggetto emittente i titoli.
 
Il giudice di appello ha concordato con tale tesi, ritenendo che non dovevano essere versate ritenute su quella parte del differenziale che, essendo già assoggettato a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta e non d'acconto, non costituiva reddito di capitale ex articolo 41 del Tuir, né base per il prelievo alla fonte, in quanto detto differenziale presentava un valore negativo, essendo maturati, nel periodo, interessi cedolari superiori al valore differenziale tra prezzi a termine e a pronti.
 
La decisione della Corte regolatrice del diritto ha cassato senza rinvio tale pronuncia di merito, affermando che la ragione per la quale gli interessi (già soggetti, ex articolo 26 citato, a separata tassazione), maturati nel periodo di valenza del contratto, vanno dedotti dal prezzo globale della cessione “risiede nel fatto che, in tal modo, il legislatore assoggetta ad imposta (quale reddito di capitale) solo l'eventuale plusvalore effettivamente derivato dalla cessione del titolo”.
 
Non si riscontrano precedenti negli esatti termini, ma possiamo ricordare che la suprema Corte, con la pronuncia n. 8257/2008, in tema di determinazione del reddito d’impresa, ha statuito che la previsione dell’articolo 56, comma 3-ter del Tuir ante 2004, secondo cui gli interessi relativi a titoli compravenduti nell’ambito di operazioni di pronti contro termine concorrono a formare il reddito del cessionario per l’ammontare maturato nel periodo del contratto, deve interpretarsi nel senso che il cessionario a pronti dei titoli deve assoggettare a tassazione l’intero ammontare degli interessi percepiti. In tale ipotesi, difatti, la ritenuta effettuata è a titolo di acconto e non di imposta, in quanto soggetto che vede tassare tali proventi nell’ambito della determinazione complessiva del suo reddito d’impresa.
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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