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Giurisprudenza

Contributi al Fondo “salvabanche”:
per il calcolo solo regole tassative

Non è applicabile alcun regime agevolato per le passività infragruppo anche nei casi di “unione di fatto” o di interconnessioni esistenti tra un ente e altri istituti di uno stesso sistema

tavole della legge

Secondo la Corte di giustizia Ue, dalla quantificazione dei contributi al Fondo “salvabanche” non sono escluse le passività risultanti da operazioni concluse tra una banca di secondo livello e i membri di una compagine, che detta banca forma insieme a istituti di credito cooperativo, cui fornisce servizi di vario tipo senza avere il controllo degli stessi, e non comprendenti prestiti concessi su base non concorrenziale e senza scopo di lucro, al fine di promuovere gli obiettivi di politica pubblica di un’amministrazione centrale o regionale di uno Stato membro (causa C-414/2018).
 
I fatti
Al centro della controversia vi era una banca italiana, posta al vertice di una rete di aziende di credito, con l’obiettivo di dare supporto all’operatività, tra l’altro, degli istituti di credito cooperativo in Italia.
A tal fine, essa forniva a dette banche servizi di pagamento, di monetica, di regolamento e custodia di titoli, nonché servizi di natura finanziaria, e operava come centrale finanziaria del sistema del credito cooperativo. A quest’ultimo titolo, essa offriva, in particolare, alle banche suddette, una serie di servizi per accedere in modo strutturato alla gamma dei finanziamenti collateralizzati, disponibili sia presso la Bce sia sul mercato.
In tale contesto, essa aveva costituito un gruppo al quale avevano aderito circa 190 banche di credito cooperativo, allo scopo esclusivo di partecipare alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine mirate, messe in atto dalla Bce.

L’ingiunzione della Banca d’Italia
La Banca d’Italia richiedeva, quindi, a tale istituto il pagamento – che riteneva dovuto – di contributi ordinari, straordinari e addizionali al Fondo nazionale di risoluzione unico italiano, nonché il pagamento di un contributo ex ante a detto Fondo, come stabilito dal Comitato di risoluzione unico.
 
Il ricorso al Tar Lazio
La banca ingiunta ricorreva al Tar Lazio, eccependo che la Banca d’Italia avesse erroneamente preso in considerazione, ai fini del calcolo dei contributi in questione, le passività connesse ai rapporti tra essa e talune banche di credito cooperativo, quando, invece, le stesse avrebbero dovuto essere escluse da tale quantificazione, in virtù di un’applicazione, in via analogica, delle disposizioni del regolamento delegato 2015/63, relative alle passività infragruppo o agli enti creditizi che gestiscono prestiti agevolati.
 
La questione pregiudiziale
Dunque, il Tar Lazio, sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte la questione pregiudiziale che segue:

  • se l’articolo 5, paragrafo l, in particolare alle lettere a) e f), del regolamento delegato 2015/63, interpretato alla luce dei principi rinvenibili all’interno di tale fonte normativa, nonché nella direttiva 2014/59, nel regolamento n. 806/2014 e nell’articolo 120 Tfue e in base alle regole fondamentali di parità di trattamento, non discriminazione e proporzionalità di cui all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché del divieto di doppia contribuzione, ai fini del calcolo dei contributi di cui all’articolo 103, paragrafo 2, della direttiva 2014/59, osti a un’applicazione del regime previsto per le passività infragruppo anche nel caso di gruppo “di fatto” o, comunque, nel caso di interconnessioni esistenti tra un ente e altre banche di un medesimo sistema.

Se, invece, sempre alla luce dei suddetti principi, il trattamento di favore riservato alle passività agevolate nel medesimo articolo 5 possa trovare applicazione, per via analogica, anche alle passività di una banca cosiddetta “di secondo livello” verso le altre banche del sistema del credito cooperativo o se quest’ultima caratteristica di un ente, concretamente operante come istituto centrale all’interno di una compagine interconnessa e integrata di piccole banche, anche nei rapporti con la Bce e con il mercato finanziario, debba comunque condurre, in base alla disciplina vigente, a qualche correttivo nella prospettazione dei dati finanziari da parte dell’Autorità nazionale di risoluzione agli organismi dell’Unione e nella determinazione dei contributi dovuti dall’ente al Fondo di risoluzione, in forza delle sue effettive passività e del suo concreto profilo di rischio.

La sentenza
Dopo aver limitato la ricevibilità della questione pregiudiziale ove si riferisce al calcolo dei contributi ordinari, straordinari e addizionali al Fondo nazionale di risoluzione italiano, la Corte di giustizia premette che l’articolo 102, paragrafo 1, della direttiva 2014/59 stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché, entro il 31 dicembre 2024, i loro rispettivi meccanismi di finanziamento dispongano di mezzi finanziari pari ad almeno l’1% dell’ammontare dei depositi protetti di tutti gli enti creditizi autorizzati nel loro rispettivo territorio.
Risulta, in particolare, dall’articolo 103, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva che, al fine di raggiungere tale livello‑obiettivo, uno Stato membro deve provvedere affinché, presso ciascun ente creditizio autorizzato nel suo territorio, venga riscosso un contributo proporzionale all’ammontare delle sue passività, esclusi i fondi propri, meno i depositi protetti, rapportato alle passività aggregate, esclusi i fondi propri, meno i depositi protetti, di tutti gli enti creditizi autorizzati nel territorio nazionale di tale Stato.
 
La correzione del contributo annuale
L’articolo 103, paragrafo 2, secondo comma, della citata direttiva precisa, inoltre, che tali contributi sono corretti in funzione del profilo di rischio degli enti creditizi.
In questo senso, è stato adottato, da parte della Commissione, l’articolo 5 del regolamento delegato 2015/63, il quale, sotto il titolo “Correzione del contributo annuale di base in funzione del rischio”, ha previsto l’esclusione di alcune passività dal calcolo dei contributi contemplati all’articolo 103, paragrafo 2, della direttiva 2014/59.
La suddetta esclusione dal calcolo deve essere applicata alle passività infragruppo derivanti da operazioni realizzate da un ente creditizio con un altro appartenente al medesimo gruppo, a condizione che siano soddisfatte alcune condizioni supplementari.
Inoltre, detta disposizione può essere applicata soltanto alle operazioni tra due enti creditizi appartenenti a un medesimo gruppo.


Il caso concreto
I togati comunitari, nel chiarire la nozione di gruppo sulla base delle direttive di riferimento, ricordano che il rapporto “madre‑figlia” presuppone una forma di controllo implicante che l’impresa madre disponga della maggioranza dei diritti di voto in seno alla propria figlia, di un diritto di nomina o di revoca di taluni dirigenti della figlia, oppure di un’influenza dominante sulla stessa.
Ebbene, relazioni tra enti creditizi come quelle evocate dal giudice del rinvio, intercorrenti tra una banca di secondo livello e i suoi partner e consistenti nella fornitura di servizi di vario tipo da parte della prima, non possono essere considerate idonee a dimostrare l’esistenza di un gruppo in seno al quale possano esistere delle “passività infragruppo”.
Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), del menzionato regolamento delegato contempla alcune passività “in caso di ente che gestisce prestiti agevolati”.
La nozione di prestito agevolato – continuano i giudici di Lussemburgo – comprende i prestiti concessi da un istituto di credito agevolato, o per il tramite di un ente creditizio intermediario, su base non concorrenziale e senza scopo di lucro, al fine di promuovere gli obiettivi di politica pubblica di un’amministrazione centrale o regionale di uno Stato membro.
Tuttavia, poiché questi criteri si riferiscono sia a condizioni di esercizio specifiche sia al perseguimento di alcuni obiettivi predeterminati, il semplice fatto che delle banche cooperative facciano parte di una compagine, quale quella di cui al procedimento principale, non è idoneo a dimostrare che la banca di secondo livello appartenente a tale gruppo possa essere considerata come un ente creditizio che gestisce prestiti agevolati, il che è sufficiente per escludere che una parte delle sue passività possa soddisfare i requisiti enunciati all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), del regolamento delegato 2015/63.
Infine, la Corte di giustizia si premura di chiarire che l’articolo 5, paragrafo 1, del citato regolamento delegato non conferisce un potere discrezionale alle autorità competenti per escludere talune passività a titolo della correzione, in funzione del rischio, dei contributi previsti dall’articolo 103, paragrafo 2, della direttiva 2014/59, bensì, al contrario, elenca in maniera precisa le condizioni in presenza delle quali una passività costituisce l’oggetto di un’esclusione siffatta.
Né a un diverso risultato è possibile pervenire con la presa in considerazione dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di proporzionalità: ciò, infatti, non può giustificare un diverso risultato, dal momento che il regolamento delegato 2015/63 ha distinto delle situazioni che presentano particolarità notevoli, direttamente connesse ai rischi presentati dalle passività in questione.
 
Conclusioni
L’articolo 103, paragrafo 2, della direttiva 2014/59/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e l’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e f), del regolamento delegato (Ue) 2015/63 della Commissione, del 21 ottobre 2014, devono essere interpretati nel senso che le passività risultanti da operazioni concluse tra una banca di secondo livello e i membri di una compagine, che detta banca forma insieme a istituti cooperativi cui fornisce servizi di vario tipo senza avere il controllo degli stessi, e non comprendenti prestiti concessi su base non concorrenziale e senza scopo di lucro al fine di promuovere gli obiettivi di politica pubblica di un’amministrazione centrale o regionale di uno Stato membro, non sono escluse dal calcolo dei contributi a un Fondo nazionale di risoluzione contemplati dal citato articolo 103, paragrafo 2.
 
Fonte:
Data della sentenza
3 dicembre 2019  

Numero della causa
C-414/2018

Nome delle parti
Iccrea banca spa Istituto centrale del Credito cooperativo
contro
Banca d’Italia.

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