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Giurisprudenza

Il contributo all’energia elettrica
non è un’accisa “armonizzata”

All’attenzione della Corte di giustizia dell’Ue la compatibilità del Cspe francese con le norme che regolano la possibilità per gli Stati membri di introdurre imposizioni

La Corte di giustizia ha qualificato come “altra imposta indiretta” il Cspe ovvero il contributo al servizio pubblico dell’energia elettrica applicato dalla Repubblica francese, con consequenziale diritto al rimborso, in proporzione alla parte del gettito, da quest’ultima generato, destinata a finalità non specifiche, nei limiti previsti dalla normativa Ue.
 
I fatti in causa
Una società francese, nei cui diritti era subentrata un’altra compagine, presentava una domanda di restituzione del contributo al servizio pubblico dell’energia elettrica (di seguito, anche Cspe), versato dal 2005 al 2009.
Detta società, in particolare, riteneva che l’imposta indiretta in parola fosse contraria all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12, in quanto essa non perseguiva alcuna finalità specifica, ai sensi di tale disposizione.

La procedura amministrativa e contenziosa nazionale
Dopo che il ministero competente aveva respinto l’istanza di rimborso, la compagine sociale proponeva ricorso avanti al Tribunale amministrativo di Parigi, diretto alla restituzione del Cspe assolto.
Il Collegio ha respinto il ricorso e, a seguito di gravame della società, anche la Corte amministrativa di appello di Parigi respingeva l’appello avverso la sentenza di prime cure.
La vertenza finiva dinanzi al Consiglio di Stato francese.

Le questioni pregiudiziali
In questo contesto, il Consiglio di Stato, sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
  1. qualora uno Stato membro, successivamente all’entrata in vigore della direttiva 2003/96, non abbia adottato, in un primo momento, alcuna disposizione volta a creare un’accisa sul consumo dell’energia elettrica, ma abbia mantenuto, accanto alle imposte locali, un’imposizione indiretta prevista in precedenza e gravante sul suddetto consumo,
    • se la compatibilità dell’imposizione di cui trattasi con le direttive 92/12 e 2003/96 debba essere valutata tenendo conto delle condizioni fissate dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 per l’esistenza di un’“altra imposizione indiretta”, vale a dire il fatto che siano perseguite una o più finalità specifiche e che siano rispettate talune regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’Iva
    • oppure se il mantenimento di un’“altra imposizione indiretta” sia possibile soltanto in presenza dell’accisa armonizzata e, infine, se in tal caso il contributo in questione possa essere considerato come costitutivo di un’accisa siffatta, la cui compatibilità con le due suddette direttive dovrebbe allora essere valutata alla luce dell’insieme delle norme di armonizzazione da esse previste
  2. se un contributo fondato sul consumo di energia elettrica il cui gettito è diretto sia al finanziamento delle spese collegate alla produzione di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili e cogenerazione sia all’introduzione di tariffe geograficamente uniformi e di riduzioni del prezzo dell’energia elettrica per le famiglie in situazioni di precarietà debba essere considerato come volto a perseguire finalità specifiche ai sensi delle disposizioni dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva del 25 febbraio 1992, riprese dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva del 16 dicembre 2008
  3. nel caso in cui solo talune delle finalità perseguite potessero essere qualificate come specifiche ai sensi di dette disposizioni, se i contribuenti possano esigere comunque il rimborso integrale del contributo controverso o soltanto un rimborso parziale in funzione della parte, nel totale delle spese che esso finanzia, che non corrisponde a una finalità specifica
  4. nel caso in cui, in base alla risposta data alle questioni che precedono, il regime del Cspe sia, in tutto o in parte, incompatibile con le regole di imposizione dell’elettricità previste dal diritto dell’Unione, se l’articolo 18, paragrafo 10, secondo comma, della direttiva del 27 ottobre 2003 debba essere interpretato nel senso che, fino al 1° gennaio 2009, il rispetto dei livelli minimi di imposizione previsti dalla direttiva in parola rappresentava, tra le regole di imposizione previste dal diritto dell’Unione, il solo obbligo gravante sulla Repubblica francese.
La pronuncia della Corte
La Corte di giustizia inizia con l’esame dell’ultima questione pregiudiziale a essa sottoposta, rispondendo positivamente.
In proposito, i togati comunitari ricordano che l’articolo 3 della direttiva 2003/96 ha esteso il campo d’applicazione della direttiva 92/12 all’energia elettrica. Ai sensi dell’articolo 28, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/96, il termine per il recepimento di tale direttiva è scaduto il 31 dicembre 2003, atteso che la medesima è entrata in vigore il 1° gennaio 2004.
Tuttavia, l’articolo 18, paragrafo 10, secondo comma, della direttiva 2003/96 prevedeva un periodo transitorio fino al 1° gennaio 2009 per consentire alla Repubblica francese di adeguare il suo regime fiscale dell’energia elettrica alla direttiva in parola. Tale disposizione prevedeva che, fino a tale data, detto Stato membro doveva prendere in considerazione “il livello globale medio dell’attuale tassazione locale dell’elettricità”, per valutare il rispetto delle aliquote minime stabilite nella suddetta direttiva.
A partire dal 1° gennaio 2009, la Francia doveva, pertanto, adeguare il suo regime fiscale dell’energia elettrica alle disposizioni della direttiva 2003/96.

Contributo al servizio elettrico e accisa armonizzata
Passando alla prima questione pregiudiziale, gli eurogiudici ricordano che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 prevede che l’energia elettrica può essere oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche, purché esse rispettino le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’Iva.
In questo senso, nella direttiva 92/12 non vi è nulla che permetta di giungere alla conclusione secondo cui, nell’ambito del sistema di imposizione del consumo di energia dell’Unione europea, la facoltà per gli Stati membri di introdurre altre imposte indirette, sarebbe subordinata all’attuazione di un’accisa armonizzata.
L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 non può, quindi, essere interpretato nel senso che esso condizioni la validità di altre imposte indirette gravanti sull’energia elettrica, eventualmente mantenute in vigore o istituite dai Paesi Ue.
Per quanto riguarda, poi, la seconda parte della prima questione pregiudiziale, la Corte, in sintesi, dispone che la conformità del Cspe alle direttive 92/12 e 2003/96 dovrà essere valutata alla luce dei criteri di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12, per l’esistenza di altre imposte indirette aventi finalità specifiche.

Il Cspe è un’imposta indiretta?
Relativamente alla seconda questione, poi, la Corte specifica che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 consente agli Stati membri di introdurre o mantenere un’imposizione indiretta diversa dall’accisa istituita da detta direttiva se, da un lato, tale imposizione persegue una finalità specifica e, dall’altro, rispetta le regole d’imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’Iva per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta.
Affinché si possa considerare quale imposta che persegua una finalità specifica ai sensi della menzionata disposizione, continua la Corte, un tributo deve essere volto, di per sé, a garantire la finalità specifica invocata.
Ciò si verificherebbe, segnatamente, quando il relativo gettito fosse obbligatoriamente utilizzato al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola, nonché a promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione.

Nel caso di specie, è emerso che il Cspe era volto a finanziare finalità ambientali tramite il pagamento dei costi supplementari derivanti dall’obbligo di acquisto, da parte dei fornitori, dell’energia elettrica ottenuta da fonti energetiche rinnovabili e da cogenerazione.
In secondo luogo, il contributo aveva lo scopo di sostenere obiettivi di coesione territoriale e sociale, compensando i costi supplementari di produzione nelle zone non interconnesse alla rete metropolitana continentale, le perdite di entrate e i costi di gestione aggiuntivi sostenuti dai fornitori di energia elettrica a seguito, da un lato, della tariffazione speciale dell’energia elettrica considerata “prodotto di prima necessità” e, dall’altro, della partecipazione di questi ultimi al regime istituito a favore delle persone in situazione di precarietà.
In terzo luogo, il Cspe era volto a finanziare i costi relativi al funzionamento amministrativo del mediatore nazionale per l’energia e per la Cassa depositi e prestiti per la gestione del contributo stesso.
In sintesi, all’esito dell’analisi della destinazione, a causa della sua finalità ambientale, il Cspe, a giudizio della Corte, perseguiva proprio una finalità specifica.

Ciò posto, i giudice Ue passavano ad analizzare se il Cspe rispettasse o no le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’Iva per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12.
Ebbene, rilevano i togati di Lussemburgo, la struttura del contributo non corrispondeva a quella dell’Iva, in quanto, da un lato, l’importo non era proporzionale al prezzo del bene su cui gravava, atteso che esso è calcolato sulla base del volume di energia elettrica consumata e, dall’altro, la riscossione era effettuata all’atto dell’immissione in consumo dell’energia elettrica e non in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione, come avviene per l’Iva.

Quanto, poi, alle somiglianze esistenti tra le regole di imposizione proprie del Cspe e quelle relative alle accise, la Corte osserva che detto contributo era, al pari di quello delle accise, calcolato in base ai kW consumati.
Per quanto riguarda, poi, l’esigibilità, come previsto dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 92/12 per le accise, il contributo diviene esigibile al momento dell’immissione in consumo dell’energia elettrica.

Inoltre, con riferimento al controllo dell’imposta, in forza della normativa francese interessata, i fornitori di energia elettrica prelevavano il Cspe, che veniva poi trasferito alla Cassa depositi e ridistribuita ai vari fornitori. Tuttavia, il controllo della riscossione spettava allo Stato, tramite la Commissione per la regolamentazione dell’energia e la competenza, quanto al contenzioso relativo a tale riscossione, spettava al giudice amministrativo, al pari di quanto previsto in materia di imposte indirette.
Di conseguenza, risultava che il Cspe rispettasse le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise e soddisfaceva quindi la seconda condizione stabilita dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12.

Rimborso e violazione del diritto Ue
Infine, analizzando la terza questione, la Corte chiarisce che gli Stati membri sono tenuti, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione.
Di conseguenza, tenuto conto della risposta fornita alla seconda questione, e a condizione che le somme indebitamente versate a titolo del Cspe non siano state direttamente traslate dalla ricorrente nel procedimento principale, in quanto consumatore finale di elettricità, sui propri clienti, la Corte dispone che la ricorrente avrà diritto al rimborso di tali somme, in proporzione alla parte dei proventi generati dal Cspe che sono stati assegnati al finanziamento degli obiettivi della coesione territoriale e sociale e delle finalità puramente amministrative, in particolare al funzionamento amministrativo del mediatore nazionale dell’Energia e della Cassa depositi per la gestione del Cspe.
Inoltre, conclude la Corte, la ricorrente nel procedimento principale potrà chiedere il rimborso di tali somme soltanto a partire dal 1° gennaio 2009, data in cui gli effetti della direttiva 2003/96 sono divenuti obbligatori nei confronti della Repubblica francese.

Conclusioni
Questi i “verdetti” della Corte:
  1. l’articolo 18, paragrafo 10, secondo comma, della direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, deve essere interpretato nel senso che, fino al 1° gennaio 2009, il rispetto dei livelli minimi di imposizione previsti dalla direttiva in parola rappresentava, tra le regole di imposizione dell’elettricità previste dal diritto dell’Unione, il solo obbligo gravante sulla Repubblica francese
  2. l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12/Cee del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione e ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, deve essere interpretato nel senso che l’introduzione di un’altra imposta indiretta gravante sull’energia elettrica non è condizionata dall’attuazione di un’accisa armonizzata e che, atteso che un’imposta come quella di cui trattasi nel procedimento principale non costituisce una accisa siffatta, la sua conformità alle direttive 92/12 e 2003/96 deve essere valutata alla luce delle condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 per l’esistenza di altre imposte indirette aventi finalità specifiche
  3. l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 deve essere interpretato nel senso che un’imposta come quella in questione nel procedimento principale può essere qualificata come “altra imposta indiretta”, alla luce della sua finalità ambientale, volta al finanziamento dei costi supplementari connessi all’obbligo di acquisto di energia verde, esclusi i suoi obiettivi di coesione territoriale e sociale, come la perequazione tariffaria geografica e la riduzione del prezzo dell’energia elettrica per le famiglie in condizioni di precarietà, nonché i suoi obiettivi puramente amministrativi, segnatamente, il finanziamento dei costi relativi al funzionamento amministrativo delle autorità o delle istituzioni pubbliche quali il mediatore nazionale per l’energia e la Cassa depositi e prestiti, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio del rispetto delle regole di imposizione applicabili ai fini delle accise
  4. il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che i contribuenti interessati possono chiedere il rimborso parziale di un’imposta, come quella di cui al procedimento principale, in proporzione alla parte del gettito da quest’ultima generato destinata a finalità non specifiche, a condizione che tale imposta non sia stata traslata da tali contribuenti sui propri clienti, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
 
Data della sentenza
25 luglio 2018
 
Numero della causa
Causa C-5/2017
 
Nome delle parti
Commissioners for Her Majesty's Revenue and Customs
contro
DPAS Limited.
 
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