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Giurisprudenza

Controlli bancari, non servono né convocazioni né verbali

Nessuna norma impone all’ufficio di invitare preventivamente il contribuente per dargli la possibilità di giustificare le movimentazioni oggetto di verifica

aula cassazione
L’utilizzazione, da parte dell’Amministrazione, dei movimenti dei conti correnti bancari nella disponibilità del contribuente, a fine di accertamento, è legittima anche in assenza di preventiva convocazione dell’interessato. Inoltre, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e in merito alla deducibilità di costi di impresa non regolarmente registrati ai sensi dell’articolo 2215 cc, l’abrogazione del sesto comma dell’articolo 75 del Dpr 695/96 non comporta l’automatica deducibilità dei costi suddetti, ma implica soltanto la possibilità, prima assolutamente preclusa al contribuente, di provarli anche con mezzi diversi dalle scritture contabili.
Questi i due importanti principi di diritto stabiliti dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 10964 del 14 maggio 2007.

Il fatto
Il titolare di un’impresa aveva proposto ricorso avverso tre avvisi di accertamento con i quali l’ufficio aveva rettificato i redditi d’impresa da lui precedentemente dichiarati. Tali accertamenti erano scaturiti da indagini bancarie condotte sui suoi conti correnti e su quello di una sua dipendente, da cui erano risultate operazioni attive e passive non contabilizzate che i contribuenti non erano riusciti a dimostrare non inerenti all’attività d’impresa, nonché dal riscontro di costi registrati, in violazione dell’articolo 22 del Dpr 600/1973, prima della vidimazione del libro giornale.

La Commissione tributaria provinciale aveva accolto i ricorsi, annullando integralmente gli accertamenti in questione.

I giudici di appello avevano poi confermato l’illegittimità delle riprese basate sulle risultanze dei conti correnti considerando che, in violazione dell’articolo 32 del Dpr 600/73, l’ufficio:

 

  1. non aveva convocato il titolare e gli altri intestatari dei conti oggetto di verifica per dare loro la possibilità di giustificare le movimentazioni avvenute sui conti medesimi
  2. non aveva redatto verbale apposito
  3. non aveva consegnato copia di detto verbale agli interessati.

Avevano inoltre ribadito l’illegittimità dei recuperi relativi ai costi contabilizzati in ritardo in quanto, questi ultimi, seguivano regolarmente l’ordine cronologico, ritenendo inoltre che il ritardo nell’annotazione, non superando i dieci giorni, rientrava nel termine più ampio (sessanta giorni) consentito dalla legge.

La posizione dell’Amministrazione
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale, l’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Con i primi due motivi di ricorso, l’Amministrazione ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 32, comma 1, n. 2 e dell’articolo 33 del Dpr 600/73, lamentando che i giudici del gravame non avevano tenuto conto del fatto che, in ipotesi di accertamenti fondati sulle risultanze di conti correnti bancari, l’interpello degli interessati è una facoltà e non un obbligo dell’ufficio, per cui questo è tenuto agli adempimenti previsti nelle disposizioni richiamate solo se e in quanto si proceda effettivamente all’interpello.

Con il terzo motivo di impugnazione, l’Amministrazione finanziaria ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 22 del Dpr 600/73 in relazione al capo della sentenza che ha ritenuto illegittima la ripresa dei costi reputati registrati: quest’ultima non era fondata sulla tardiva registrazione delle operazioni, ma sull’avvenuta annotazione delle operazioni medesime sul libro giornale in epoca antecedente alla sua vidimazione, annotazione costituente violazione dell’articolo 2215 cc. I costi in rassegna erano, dunque, indeducibili in quanto irregolarmente registrati su libri non ancora vidimati, non potendo addursi a contrario che l’articolo 22 non prevede, quale sanzione, l’indeducibilità dei costi irregolarmente registrati.

La decisione della Corte
La sentenza in esame ha accolto pienamente il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
Relativamente ai primi due motivi, i giudici hanno stabilito che l’utilizzazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, a fine di accertamento, è legittima anche in assenza di preventiva convocazione dell’interessato, giacché nessuna norma impone detta convocazione per consentirgli di giustificare le operazioni bancarie oggetto di verifica.
Deve, peraltro, considerarsi che gli articoli 32 del Dpr 600/73 e 51, comma 2, n. 2, del Dpr 633/72, pongono una presunzione legale, ancorché semplice, in forza della quale i versamenti su conto corrente bancario - in assenza di prova contraria del contribuente, che attesti la loro inerenza all’imponibile dichiarato ovvero a operazioni non imponibili - si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa.

Quanto al terzo motivo d’impugnazione, anch’esso ritenuto fondato, i giudici hanno puntualizzato che la sanzione dell’indeducibilità dei costi irregolarmente registrati, pur non contemplata nella previsione dell’articolo 22 del Dpr 600/73, era sancita dall’articolo 75, comma 6, del Dpr 917/86, abrogato dall’articolo 5 del Dpr 695/99. Tale abrogazione, però, non ha consentito l’automatica deducibilità dei costi registrati in violazione del combinato disposto degli articoli 22 del Dpr 600/73 e 2215 cc (una volta assolutamente indeducibili in forza della previsione di cui all’articolo 75, comma 6, del Dpr 917/86), bensì - non incidendo sull’ordinario criterio della ripartizione dell’onere della prova - ha comportato l’effetto, più limitato, di ammettere il contribuente alla prova dei costi suddetti (in precedenza radicalmente preclusa), anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché costituenti elementi certi e precisi.

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