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Giurisprudenza

I controlli effettuati in ufficio
non mettono "in attesa" l'avviso

Né occorre il contraddittorio preventivo con il contribuente, salvo che non sia la norma specifica a richiederlo o disposizioni comunitarie che, comunque, da sole, non bastano

immagine di un controllo fatto "a tavolino"
In tema di tributi non armonizzati, le garanzie fissate nell'articolo 12, comma 7, della legge 212/2000 (Statuto del contribuente) e, segnatamente, il divieto per l'ufficio di emettere l'avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente.
Questo, in sintesi, il principio di diritto ribadito dalla Corte di cassazione con l'ordinanza 14861 del 20 luglio 2016.

La vicenda processuale
La controversia trae origine dall'impugnazione dell'avviso di accertamento con il quale l'Amministrazione finanziaria, espletate le indagini bancarie nei confronti del titolare di un'azienda agricola, recuperava a tassazione, ai fini delle imposte dirette e dell'Iva, le movimentazioni rilevate sui conti correnti allo stesso riconducibili e non supportate da idonea giustificazione.
In particolare, il ricorrente eccepiva la violazione dell'articolo 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, a norma del quale: "Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine", salvo che ricorra particolare e motivata urgenza. Nel caso di specie, l'atto impositivo era stato emesso trenta giorni dopo l'inizio dell'attività di controllo.

L'adita Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso con sentenza che, tuttavia, veniva integralmente riformata a seguito dell'appello proposto dalla parte. I giudici del gravame, invero, richiamando la pronuncia delle sezioni unite 18184/2013, ritenevano che la suddetta garanzia procedimentale operasse non solo in relazione agli accertamenti emessi all'esito di verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente, ma anche nei casi di accertamento frutto di un'istruttoria svolta presso la sede dell'ufficio (accertamenti "a tavolino").

Avverso detta pronuncia l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione per violazione di legge, evidenziando come la corretta lettura dell'articolo 12, comma 7, della legge 212/2000 portasse a circoscrivere l'applicazione delle garanzie ivi prescritte esclusivamente agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali destinati all'esercizio dell'attività. Per contro, nel caso di specie, si era in presenza di un controllo "a tavolino", in quanto i funzionari dell'Agenzia avevano eseguito unicamente un accesso mirato presso il depositario delle scritture contabili, al mero fine di acquisire documentazione rilevante, da esaminare successivamente nella sede dell'ufficio in contraddittorio con il contribuente.

Con la pronuncia in commento, la Corte suprema, conformandosi all'orientamento espresso in tema dalle sezioni unite, giudica fondata la censura mossa dall'ufficio e, in accoglimento del ricorso, dispone la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Ctr, in altra composizione, per il riesame degli ulteriori motivi di appello.

Osservazioni
Il punto centrale della controversia concerne, evidentemente, l'ambito di applicazione delle garanzie procedimentali sancite dalla norma su richiamata dello Statuto del contribuente (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell'ufficio di valutarle; divieto per l'ufficio di emettere l'atto impositivo prima della scadenza del termine dilatorio in oggetto, salvi i casi di motivata urgenza).
La questione è stata recentemente rimessa alle sezioni unite della Corte di cassazione per la soluzione del contrasto giurisprudenziale insorto al riguardo all'interno della sezione tributaria.

Invero, pur in presenza di un pressoché unanime orientamento interpretativo contrario, alcune pronunce affermano l'esistenza di un principio generale, immanente all'ordinamento e di derivazione comunitaria, che impone l'osservanza del contraddittorio endoprocedimentale in rapporto a qualsiasi atto dell'amministrazione fiscale lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, indipendentemente dal fatto che tale necessità sia puntualmente sancita da una norma positiva.
Con sentenza 24823/2015, le sezioni unite hanno escluso che "sulla base della normativa nazionale, possa, in via interpretativa, postularsi l'esistenza di un principio generale, per il quale l'Amministrazione finanziaria, anche in assenza di specifica disposizione, sia tenuta ad attivare, pena la nullità dell'atto, il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente".
Conseguentemente, per quanto concerne i tributi non armonizzati, "le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l'operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali".

In tal senso, argomenta la Corte, depongono univocamente tanto il dato testuale della rubrica ("Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali"), quanto, soprattutto, quello del primo comma dell'articolo 12 della legge 212/2000 che, esplicitamente, si riferisce agli "accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali". Del resto, la ragione di una tale scelta interpretativa è agevolmente riscontrabile nella peculiarità stessa di tali verifiche, caratterizzate dall'autoritativa intromissione dell'Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente, alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli: ciò che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire gli elementi acquisiti presso i locali aziendali.

Diversa l'impostazione adottata in tema di contraddittorio endoprocedimentale dall'ordinamento europeo.
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia emerge che il rispetto del contraddittorio nell'ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell'ordinamento europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l'Amministrazione si proponga di adottare, nei confronti di un soggetto, un atto a esso lesivo, sicché il destinatario di un provvedimento teso a incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista, in ordine agli elementi sui quali l'Agenzia intende fondare la propria decisione.
Il principio è, peraltro, attualmente codificato nell'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Pertanto, conclude la Corte, nel campo dei tributi armonizzati, l'obbligo del contraddittorio assume rilievo generalizzato, pena la nullità del conclusivo atto impositivo. Tale vincolo, tuttavia, non è assunto dalla giurisprudenza comunitaria in termini assoluti e puramente formali, ma incontra un limite: perché la relativa violazione determini l'annullamento dell'atto adottato al termine del procedimento amministrativo, occorre la prova che, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento stesso avrebbe potuto comportare un risultato diverso.
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