Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Corte Ue, su acquisto quote sociali e riduzione base imponibile

Legittima la norma tedesca per la quale il beneficio spetta solo se la transazione è tra soggetti residenti

Con la sentenza C-182/08 del 17 settembre, la prima sezione della Corte di giustizia Ue ha chiarito, in materia di imposta sulle società e libera circolazione dei capitali, che, ai sensi dell’articolo 56 del Trattato Ce, è pienamente legittima una normativa nazionale in forza della quale la diminuzione di valore di quote sociali non influisce sulla determinazione della base imponibile di un soggetto residente, qualora questi abbia acquisito le quote in una società di capitali residente e da un socio non residente. Al contrario, in caso di acquisizione di quote da un socio residente, il ridotto valore delle stesse riduce la base imponibile dell’acquirente.
 
La domanda di pronuncia pregiudiziale, a cui hanno dato risposta i giudici comunitari, riguarda l’interpretazione degli articoli 43 e 56 del Trattato Ce ed è sorta da una controversia tra l’Amministrazione finanziaria della Germania e una società in accomandita semplice di diritto tedesco, i cui soci accomandatari sono diverse società a responsabilità limitata.
La questione, arrivata all’analisi delle massime autorità giurisdizionali tedesche, è se, ai sensi dei citati articoli, sia da ritenere illegittima o meno la normativa nazionale secondo la quale la diminuzione di valore delle quote di partecipazione dovuta a distribuzioni di utili possa influire sulla determinazione della base imponibile nel caso in cui un soggetto passivo, legittimato alla detrazione dell’imposta sui redditi delle società, abbia acquisito una quota di partecipazione di una società di capitali, con illimitato obbligo d’imposta, da un socio non legittimato alla suddetta detrazione, laddove, nel caso di acquisto da un socio legittimato, detta diminuzione di valore comporta una corrispondente riduzione della base imponibile dell’acquirente.
 
Nel diritto tedesco è previsto che, per evitare la doppia imposizione degli utili distribuiti dalle società stabilite in Germania ai soggetti passivi ivi residenti, è concesso a questi ultimi il diritto di imputare integralmente, sulla propria imposta, quella sulle società pagata dalle distributrici.
Dunque, nel momento in cui la partecipazione detenuta in una persona giuridica faccia parte del capitale di gestione del soggetto passivo residente, quest’ultimo ha il diritto di ridurre, al momento della percezione del dividendo, il valore delle quote nel suo bilancio fiscale, diminuendo il valore di una quota del valore della distribuzione afferente alla quota stessa.
Al contrario, i redditi dei soggetti passivi non residenti, derivanti da distribuzioni di utili di società residenti, nonché gli utili relativi alla cessione di quote detenute in simili società, non sono soggetti all’imposta sui redditi o quella sulle società tedesche. I contribuenti non residenti non possono neanche chiedere l’applicazione del sistema dell’imputazione integrale agli utili loro distribuiti da società residenti e, quindi, non beneficiano di un credito d’imposta a concorrenza dell’ammontare dell’imposta pagata dalla società distributrice residente.
I non residenti sono dunque assoggettati solo a un obbligo fiscale limitato e non hanno diritto all’imputazione dell’imposta sulle società.
 
Sulla scorta della considerazione di diritto per la quale, se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitarla nel rispetto del diritto comunitario, la Corte di giustizia Ue è stata chiamata a sindacare se le pertinenti disposizioni del Trattato Ce ostino a una normativa di uno Stato membro, in forza della quale la diminuzione di valore delle quote sociali dovuta alla distribuzione di dividendi non influisce sulla determinazione della base imponibile di un soggetto passivo residente, qualora questi abbia acquistato quote di una società di capitali residente da un socio di quote non residente, laddove, in caso di acquisto di tali quote da un socio residente, detta diminuzione di valore comporta la riduzione della base imponibile dell’acquirente.
 
I giudici sovranazionali hanno, in primo luogo, sottolineato come la cessione di partecipazioni nelle società residenti da parte di investitori non residenti costituisce, ai sensi della normativa comunitaria, un movimento di capitali e come, per costante giurisprudenza, rientrano nel campo di applicazione del Trattato le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di un cittadino di uno Stato membro, nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni di tale società e da consentirgli di indirizzarne le attività.
 
La normativa nazionale in esame, hanno proseguito i giudici, comporta che, qualora un soggetto passivo residente abbia acquistato quote di una società di capitali residente da un socio non residente, la diminuzione di valore di tali quote, dovuta alla distribuzione di dividendi, non influisce sulla determinazione della base imponibile dell’acquirente, laddove, in caso di acquisizione di quote da un socio residente, detta diminuzione di valore riduce la base imponibile dell’acquirente.
Non vi è dubbio, quindi, che la possibilità riconosciuta a un contribuente di dedurre dai propri utili imponibili le perdite relative all’ammortamento parziale delle quote detenute nella società, quando la diminuzione del valore delle quote dipende dalla distribuzione dell’utile, rappresenti un beneficio fiscale.
Il fatto, poi, che tale beneficio venga accordato a un soggetto passivo residente, solo nel caso di acquisto di quote di una società residente da un socio residente, fa sì che le quote detenute dai non residenti siano meno attraenti. Di conseguenza, c’è una minore propensione ad acquistarle da parte di contribuenti residenti.
Per i giudici comunitari, la norma in esame configura, in linea di principio, una non giustificata restrizione alla libera circolazione dei capitali.
 
Ciononostante, occorre tuttavia appurare se siffatta restrizione possa essere giustificata alla luce delle altre disposizioni del Trattato.
Per la Corte, innanzitutto, vanno distinti i trattamenti diseguali consentiti (articolo 56, Trattato Ce) dalle discriminazioni vietate dal n. 3 dello stesso articolo.
In merito, dall’esame delle pronunce in esame risulta che una normativa tributaria nazionale può considerarsi compatibile con le disposizioni del Trattato solo se la differenza di trattamento riguarda situazioni che non siano oggettivamente paragonabili o che sia giustificata da motivi di interesse generale.
 
Nel caso in esame, la disparità di trattamento concerne unicamente i soci residenti a seconda che questi abbiano acquisito le loro quote di una società residente da un socio residente ovvero da un socio non residente. Per giustificare la normativa interna in materia di imposte sulla società, il governo tedesco ha avanzato argomenti collegati alla necessità di preservare la coerenza del regime tributario tedesco, di garantire l’imposizione dei redditi prodotti sul territorio e di impedire montature fittizie aventi lo scopo di eludere la normativa tedesca.
 
In tale ottica, i giudici europei hanno affermato che, quanto all’argomento relativo alla necessità di preservare la coerenza del regime tributario tedesco, il diritto comunitario ammette la necessità di salvaguardare la coerenza di un regime fiscale.
Inoltre, per quanto concerne la tematica relativa alla necessità di garantire allo Stato tedesco l’esercizio della propria competenza fiscale con riferimento alle attività realizzate sul suo territorio, nonostante la giurisprudenza abbia più volte precisato che la riduzione delle entrate tributarie non può essere considerata una ragione imperativa di interesse generale, la Corte ha affermato che possono esservi comportamenti atti a compromettere il diritto degli Stati membri di esercitare la loro competenza fiscale.
Ne consegue che una disciplina come quella oggetto della causa principale può essere giustificata dalla necessità di salvaguardare una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati Ce.

In ultimo, quanto agli argomenti relativi alla necessità di lottare contro l’evasione fiscale e di impedire comportamenti esclusivamente miranti a eludere il regime fiscale tedesco, si deve rilevare che una misura nazionale che ostacoli la libera circolazione dei capitali è giustificabile laddove concerna specificamente le montature di puro artificio, prive di effettività economica, il cui unico fine è ottenere un beneficio fiscale.
Pertanto, la prima sezione della Corte di giustizia Ue ha precisato che “l’art. 73 B del Trattato CE (divenuto art. 56 CE) deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro, in forza della quale la diminuzione di valore di quote sociali dovuta alla distribuzione di dividendi non influisce sulla determinazione della base imponibile di un soggetto passivo residente qualora questi abbia acquisito quote in una società di capitali residente da un socio non residente, laddove, in caso di acquisizione di quote da un socio residente, siffatta diminuzione di valore riduce la base imponibile dell’acquirente. Quanto sopra affermato trova applicazione nei casi in cui una tale normativa non va al di là di quanto necessario per salvaguardare una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri nonché per impedire montature di puro artificio, prive di effettività economica e realizzate al solo scopo di usufruire indebitamente di un beneficio fiscale”.
URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/corte-ue-acquisto-quote-sociali-e-riduzione-base-imponibile