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Giurisprudenza

Corte Ue: fa la differenza la prova dell'inadempienza

Gli eurogiudici hanno respinto il ricorso della Commissione contro il Portogallo per mancanza di elementi

la sede della corte di giustizia europea

La Corte di Giustizia dell'Unione europea (sentenza del 17 giugno 2010 - procedimento C-105/08) ha respinto il ricorso con cui la Commissione europea ha chiesto di constatare che il Portogallo assoggetta gli interessi versati a istituti finanziari non residenti nel Paese a una imposta più elevata di quella applicata agli interessi versati a istituti finanziari residenti nel territorio. In questo modo viene limitata la libera prestazione dei servizi di credito ipotecario e di altre forme di credito da parte di istituti finanziari residenti in altri Stati membri e in Stati che sono parti dell'accordo sullo spazio economico europeo del 2 maggio 1992. Di conseguenza il Portogallo viene meno agli obblighi imposti dagli articoli 49 CE e 56 Ce, nonché degli articoli 36 e 40 dell'accordo See.


L'antefatto e il procedimento

Il procedimento precontenzioso ai danni della Repubblica portoghese inizia nel marzo 2005 con l'invio di una lettera di diffida con cui la Commissione pone l'attenzione sul fatto che la normativa lusitana, assoggettando gli interessi ipotecari percepiti da istituti finanziari non residenti a una imposta più gravosa di quella applicata agli interessi percepiti da istituti finanziari residenti, limita la prestazione dei servizi di credito ipotecario e di altri tipi di credito da parte degli istituti finanziari stranieri, violando così gli articoli 49 CE e 56 CE, e 36 e 40 dell'accordo See. Nel dicembre dello stesso anno la Commissione, non persuasa  dalle risposte provenienti da Lisbona, invia a tale Stato membro un parere motivato, invitandolo ad adottare i provvedimenti necessari a conformarsi ad esso. La Repubblica portoghese risponde affermando recisamente che la propria normativa in materia è pienamente conforme al diritto comunitario, essendo per di più giustificata da ragioni di coerenza e di logica interna del sistema tributario nazionale. La Commissione, restando su posizioni antitetiche rispetto al paese membro, decide dunque di proporre ricorso alla corte Ue.

La normativa portoghese
Analizzando la normativa portoghese, rileviamo come ai sensi dell'articolo 4, n. 2, del Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas colectivas (codice dell'imposta sulle società), le persone giuridiche e gli altri enti che non abbiano la loro sede o direzione effettiva nel territorio nazionale sono soggette all'imposta sulle società unicamente  in relazione ai redditi conseguiti in tale territorio. Secondo il successivo articolo 4, n. 3, lett. c), tra i redditi interessati figurano gli interessi pagati da debitori che risiedano o abbiano la loro sede o direzione effettiva nel territorio nazionale, o il cui pagamento sia imputabile ad una stabile organizzazione stabilita in detto Stato. In assenza poi di una convenzione volta a prevenire la doppia imposizione, siffatti redditi sono assoggettati ad un'aliquota di imposta del 20%, prelevata attraverso una ritenuta definitiva alla fonte. Le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra la Repubblica portoghese e gli altri Stati membri dell'Unione europea nonché gli Stati parti dell'accordo See prevedono invece che l'aliquota applicata a tali redditi dallo Stato in cui si trova la loro fonte si situi tra il 10% e il 15%. La tassazione dei redditi da interessi percepiti da istituti finanziari non residenti ha quale base d'imposta l'importo lordo dei redditi, mentre i redditi da interessi percepiti dagli istituti finanziari residenti sono compresi nel reddito imponibile di questi ultimi. Nel calcolo di tale reddito sono dedotte le spese sopportate. Tale reddito è assoggettato all'aliquota generale del 25% ai sensi dell'articolo 80, n. 1, del codice dell'imposta sulle società.

La posizione della Commissione europea
In merito, la Commissione afferma che, quand'anche l'aliquota di imposta applicabile ai redditi degli istituti finanziari non residenti sia inferiore a quella che colpisce gli analoghi redditi degli istituti finanziari residenti, l'onere tributario sopportato in Portogallo dai primi è, di fatto, maggiore, in quanto, contrariamente agli enti residenti, questi non possono dedurre dall'ammontare dei redditi assoggettati ad imposta le spese professionali direttamente connesse all'attività esercitata, risolvendosi quindi in una chiara discriminazione a danno degli istituti finanziari non residenti. Infatti,   la normativa lusitana, prevedendo una ritenuta alla fonte ad un'aliquota compresa tra il 10% e il 20% che colpisce l'ammontare lordo degli interessi percepiti in Portogallo, scoraggerebbe gli istituti di credito stranieri dall'offrire i loro servizi in Portogallo, a meno che il loro margine di utile, nelle operazioni interessate, non fosse notevolmente superiore all'aliquota dell'imposta ritenuta alla fonte. Dunque, a giudizio della  Commissione, gli istituti finanziari residenti e gli istituti finanziari non residenti si trovano in una palese situazione di diversità di trattamento. Inoltre, sempre la Commissione rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo di Lisbona, non spetta allo Stato di residenza stabilire, con misure convenzionali o unilaterali volte ad evitare la doppia imposizione, l'onere tributario che graverà infine sull'investitore, competendogli, al contrario, l'onere di eliminare una discriminazione contenuta nella sua normativa.

La tesi del Portogallo
La Repubblica portoghese sostiene invece che il trattamento discriminatorio dedotto dalla Commissione si basa esclusivamente su di una semplice presunzione ed anche supponendo che esistano casi in cui, tenuto conto delle circostanze concrete dell'operazione finanziaria, possa essere constatata una differenza di pressione fiscale tra la tassazione degli interessi ottenuti da istituti finanziari residenti e la tassazione degli interessi percepiti da istituti finanziari non residenti, tale differenza di trattamento non è discriminatoria e non comporta alcuna limitazione della libertà sancite agli articoli 49 CE e 56 CE e dall'accordo See.  Infatti, sempre secondo il giudizio lusitano, la situazione degli istituti finanziari residenti e quella degli istituti finanziari non residenti non sarebbe oggettivamente analoga, cosicché l'esistenza di una differenza di trattamento riguardante la base imponibile relativa agli interessi percepiti nel territorio portoghese sarebbe giustificata. Tale differenza risulterebbe poi dalla particolare natura delle operazioni finanziarie e delle prestazioni di servizi relative alla concessione di crediti, derivante dal fatto che non è in genere possibile stabilire un nesso caratteristico tra i costi sopportati e i redditi ottenuti, né associare, per ogni singola operazione, i profitti realizzati e i fondi utilizzati per il finanziamento. La Repubblica portoghese sottolinea in ultimo che, in ogni caso, la normativa controversa deve essere considerata giustificata da motivi imperativi di interesse generale, invocando al riguardo la salvaguardia della ripartizione del potere impositivo, in conformità al principio di territorialità fiscale, e la lotta all'evasione fiscale.

Il giudizio della Corte
I giudici della Corte, chiamati ad esprimersi definitivamente in merito, hanno preliminarmente ricordato come, secondo giurisprudenza comunitaria costante, nell'ambito di un procedimento per inadempimento di uno Stato membro, spetta alla Commissione provare la sussistenza dell'asserito inadempimento, fornendo alla Corte gli elementi di fatto necessari al giudizio. Nel caso di specie, hanno sottolineato gli euro giudici, per dimostrare che la normativa portoghese presenta discriminazioni  tra gli enti residenti e quelli non residenti, con una pressione più elevata di questi ultimi, la Commissione ricorre ad un esempio numerico fondato sulla premessa che il margine di utile realizzato dall'ente di cui trattasi in tale esempio corrisponda al 10%. Ebbene, tale margine di utile riveste un ruolo determinante quando si tratta di esaminare se una normativa comporta o meno una tassazione più elevata degli enti non residenti, non essendo infatti l'aliquota di imposizione l'unico elemento di cui tener conto al riguardo. Dal momento che il governo portoghese, da un lato, contesta tale calcolo, che la Commissione stessa definisce "teorico", in quanto la premessa su cui si basa non ha alcun nesso con la realtà e, dall'altro, presenta un calcolo, basato su un altro margine di utile, che conduce al risultato che gli enti residenti sono tassati in modo più oneroso, la Corte afferma a chiare lettere che spettava, alla Commissione provare che le cifre su cui si basava il suo calcolo rispecchiavano la realtà economica e non erano il frutto di mera supposizione.

Le conclusioni
La Commissione non ha invece fornito, nel corso del procedimento scritto, in udienza e neanche a seguito di espressa richiesta della Corte, il minimo elemento concludente che potesse dimostrare la veridicità delle cifre da essa avanzate a sostegno della propria tesi per dimostrare che l'esempio numerico riportato non costituisce soltanto una semplice ipotesi di scuola. Non avendo, dunque,  la Commissione dimostrato l'inadempimento contestato alla Repubblica portoghese, la Corte ha respinto il ricorso.
 

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